di Giovanni Caruso
“Quando a capodanno c’è stato il ‘teatro’ di Bianco, le luci della cattedrale erano accese ma i nostri cuori erano spenti” questo dichiara una donna che insieme ad altre donne, bambini e uomini, occupano la navata della cattedrale di Catania dallo scorso 28 novembre.
Arrivano dai quartieri popolari e periferici. Si definiscono “i disagiati della cattedrale” e chiedono una casa e un lavoro, diritti che la nostra Costituzione dovrebbe garantire. Ma il Comune non ne vuol sentire! Preferisce giocare con le parole e le promesse, innalzando la bandiera della “legalità”.
Noi non vogliamo commettere l’errore di mescolare la mafia con i diritti dei “disagiati”, dimenticati dalle istituzioni da sempre. Mentre forze dell’ordine e amministrazione denunciano infiltrazioni mafiose in cattedrale, ci chiediamo cosa sia successo durante la campagna elettorale del 2013 a Librino, dove Bianco ha fatto il pieno di voti? Come mai, sempre a Librino, la municipalità non è stata sciolta per infiltrazioni mafiose, così come denunciato nel 2014 dalla Commissione antimafia regionale?
Inoltre: come mai si permette all’editore Ciancio – rinviato a giudizio per concorso esterno in associazione mafiosa – di essere presente all’inaugurazione dei lavori per il Corso martiri della libertà? Come mai alcuni consiglieri comunali, sospettati di essere contigui ad alcuni clan catanesi, siedono ai banchi del Consiglio comunale? Come mai si permette che uno di questi consiglieri, Riccardo Pellegrino, possa dichiarare che la mafia non esiste, rivendicando l’amicizia con il clan Mazzeo? Nessuno risponde, da troppo tempo, a queste domande. Il Comune anzi risponde ai “disagiati della cattedrale” con un “siete mafiosi!! E in più tra voi c’è un anarchico-fascista!”.
Nelle condizioni di estremo bisogno in cui vivono, queste persone – che hanno gli stessi diritti della Catania perbene – sarebbero disposti a fare il patto con il diavolo per una casa e un lavoro. Ma c’è un peccato originale in tutto ciò? Sono i governi – nazionali, regionali e locali – che continuano a delegare lo stato sociale allo “stato sociale mafioso”. Noi possiamo solo suggerire a questi nostri fratelli e sorelle: uniamoci e facciamoci sentire. Ma a una condizione: fuori la mafia dai comitati, fuori la mafia dalle istituzioni.
Dopodiché non ci resta che rivolgerci ad Agata, patrona di Catania, che con la sua forza in ciò che credeva, resistette alle sofferenze, alle torture e all’Impero romano. A lei chiediamo: quando attraverserai la navata della cattedrale ordina ai fedeli di fermare il fercolo per parlare a quelle donne, a quei bambini e a quegli uomini. Infine urla alla città e al sindaco “Io quest’anno sto con i disagiati, e non farò nulla che dia lustro alla vanagloria del sindaco e della sua giunta”. Agata, pensaci tu!