a cura di Elio Camilleri
Se ancora oggi esiste la sede centrale dell’Università dobbiamo ringraziare Andreana Sardo, una donna dagli occhi chiari con qualche chilo in più e qualche centimetro in meno.
Il 6 aprile del 1849 si era abbattuta su Catania la feroce reazione borbonica in risposta alla partecipazione della città ai moti democratici dell’anno precedente e allora numerosi, splendidi palazzi della via Etnea furono devastati dalle fiamme, le abitazioni saccheggiate e ridotte in cumuli di macerie.
Donne violentate e stuprate, migliaia tra morti e feriti, torturati, bastonati e lasciati a rantolare per le strade e nei sotterranei dei palazzi dove avevano cercato riparo.
Ad Andreana Sardo avevano detto che le fiamme stavano cominciando ad ingrossarsi dentro il palazzo dell’Università e lei pensò subito ai preziosi libri della biblioteca, ai laboratori scientifici, a tutti quei materiali didattici che rendevano il “Siculorum Gymnasium” una delle sedi universitarie più prestigiose del tempo. Cercò disperatamente il comandante delle truppe borboniche, generale Nunziante, correndo da una parte all’altra della città, schivando proiettili, scavalcando macerie e cadaveri e lo trovò al bivio di Rinazzo, la dove via Etnea s’incontra con la villa Bellini. Ottenne di poter spegnere l’incendio all’Università e per questo non si risparmiò andando ben oltre le sue possibilità e abilità fisiche, sicché, per le inalazioni, entrò in coma e si riprese solo dopo parecchi giorni.
Fu indotta a chiedere una ricompensa per l’eroismo di quel giorno, ma il governo, allora quello borbonico, dichiarò che il deficit impediva l’accoglimento della richiesta.
Le fu riconosciuta, in seguito, la reversibilità della pensione dello zio bibliotecario ed il permesso di abitare nei mezzanini dell’angolo nord-ovest dell’Università e allora, ogni sera, le portavano le chiavi di quella biblioteca che lei stessa aveva salvato dalla distruzione.