Ecco cosa rischia di accadere dal primo febbraio
Ivana Sciacca
La battaglia per gli asili nido è cominciata nel 2013 ed è, oggi più che mai, ancora in corso: alcuni sono stati chiusi durante lo scorso anno, le rette per quelli rimasti aperti sono vertiginose e ci sono in gioco i posti di lavoro di molte lavoratrici. Si rischia un’ulteriore mortificazione di questo servizio. Catania Bene Comune ha agito attivamente sin dal primo momento per evitare che tutto ciò possa accadere. Abbiamo intervistato uno dei suoi rappresentanti, Matteo Iannitti, per farci spiegare quello che sta succedendo.
I disagi per la chiusura di alcuni asili nido sono iniziati con l’approvazione del Piano di Rientro Finanziario nel 2013. Cosa è avvenuto?
L’idea era quella che bisognasse ripianare in tutti i modi un debito che non avevano causato i cittadini e che in tutti i modi si dovevano rispettare dei vincoli economici che imponeva la Banca Centrale Europea. Invece che fare delle norme che colpissero le grandi proprietà è stato deciso di colpire tutti in maniera indifferenziata. Il Comune di Catania, seguendo questa tendenza, ha approvato il Piano di Rientro Finanziario nel febbraio del 2013. Nell’anno successivo la nuova Amministrazione Bianco, invece di invertire la rotta modificandolo o abolendolo, lo ha tenuto intatto.
Quanti asili c’erano e quanti ne sono stati chiusi lo scorso anno?
Prima c’erano 15 strutture asili nido aperte. Il primo ad essere stato chiuso è stato quello in via Tomaselli, di cui l’amministrazione aveva garantito la riapertura che però non è mai avvenuta.
Gli asili nido restano 14 sino al giugno del 2014. A settembre del 2014 ne sono stati aperti solamente 11: hanno chiuso l’asilo di via Acquicella, quello in via Caduti del Lavoro a Picanello e un altro nel quartiere di San Giovanni Galermo, ossia tutte strutture che si trovano nelle zone più periferiche della città o nel centro di quartieri popolari.
C’è qualche caso in particolare in cui la chiusura degli asili ha avuto conseguenze spiacevoli?
Purtroppo ce ne sono tanti, ma un caso emblematico è quello di una lavoratrice ausiliare negli asili nido che non ha potuto mandare il figlio nella struttura pubblica perché la retta era troppo alta e è stata costretta a mandarlo in una struttura privata più conveniente.
La privatizzazione degli asili va di pari passo con la dequalificazione del servizio. In termini pratici in cosa consiste la dequalificazione?
Al momento in una struttura con 50 bambini vi sono circa 15 persone, tra educatrici e operatrici ausiliari, che lavorano e seguono costantemente i bambini. Con i tagli previsti il personale verrebbe dimezzato e quindi ogni bambino verrebbe seguito di meno. Ma questa è situazione che vorrebbero produrre a partire dal primo febbraio con il nuovo bando che si sta discutendo e che si spera di riuscire a fermare.
L’abolizione della tabella di contribuzione, secondo cui si pagava la retta in base al reddito, non è uno schiaffo al Welfare che il nostro Stato dovrebbe invece perseguire?
La stessa gente che ci amministra oggi da un lato fa le conferenze sul ruolo delle donne nel mondo del lavoro, sull’infanzia, sulla tutela dei minori e dall’altro chiude gli asili, riduce i servizi e licenzia le lavoratrici! Si deve decidere: o si pagano gli interessi alle banche e si rispettano i vincoli finanziari, o si assicurano diritti, servizi e lavoro alla popolazione. Ma c’è bisogno di una partecipazione attiva da parte della cittadinanza per evitare questo meccanismo di demolizione dei servizi sociali.
Qual è stato il ruolo del governo nazionale in questa situazione?
Tutte le normative del Governo Renzi hanno tagliato i finanziamenti agli enti locali. Ma c’è un disinvestimento scientifico nel Welfare ad ogni livello governativo: le risorse per i servizi sociali vengono deviate per coprire altre voci di bilancio.
In che modo è coinvolta la cittadinanza nella lotta per rivendicare questo diritto?
Lunedì 19 gennaio alle ore 17 ci sarà un presidio davanti alla Prefettura. Le lavoratrici hanno lanciato un appello in cui chiedono a tutta la città di unirsi alla loro protesta. Se non dovesse andare bene l’incontro con il Prefetto si parteciperà al Consiglio Comunale del giorno seguente.
A Catania solo il 3,2% dei bambini da 0 a 3 anni ha diritto ad accedere agli asili comunali, mentre il Trattato di Lisbona prevedeva si arrivasse ad una soglia del 33% entro il 2010. E’ tragico perché i soldi ci sono: vengono stanziati in bilancio dall’Amministrazione ma non vengono spesi perché “ci sono pochi bambini” ma se sono pochi è perché le rette sono troppo alte e quindi diventa un circolo vizioso.
Lavoratrici e bambini vanno di pari passo: se il Comune non investirà sugli asili dovrà mandare le lavoratrici a casa. Catania degli asili nido ne ha bisogno ma per soddisfare questo bisogno l’unica via di uscita è abbassare le rette.