Quannu si jucava a sciancatedda
di Martina Giongrandi, foto archivio Giovanni Caruso
“Ho 76 anni e ricordo che da piccola ero molto unita con i miei amichetti, i bambini del quartiere. Quando ci riunivamo in cortile capitava spesso di giocare tutti insieme ad acchiappa acchiappa, oppure i maschi a calcio e noi femminucce a battezzare le bambole, e poi compravamo i cestini di cioccolata, nocciole o caramelle per distribuirle e mangiare assieme.”- racconta la signora Carmela, seduta in uno dei divanetti della Feltrinelli con gli occhi lucidi per i bei ricordi.
“Vicino casa mia c’era il cinema Arena Lucciola, ma noi salivamo sulle terrazze vicine e guardavamo il film dal muretto. Avevo soli undici anni e appena finito il film correvo verso casa e, arrivata davanti al portone, chiamavo la mamma a squarciagola per farmi aprire. Una volta c’era più sicurezza, non si usava accompagnare i bambini perché non c’erano tutti questi pericoli, ci si abituava ad andare a piedi, ad essere autonomi fin da piccoli.
All’epoca non c’erano grandi divertimenti, la nostra felicità erano le piccole cose. Ad esempio da ragazzina io e le mie amiche compravamo spesso riviste come “il Grand Hotel” e “Intimità” per leggerle assieme e scambiarcele, oppure ci svagavamo anche soltanto a fare avanti e indietro per il Viale Mario Rapisardi, vicino la mia vecchia casa. Invece qualche volta la sera con la mamma, i miei fratelli ed i cugini andavamo a trovare la signora Maria, che abitava di fronte a noi, per farci raccontare fiabe, storie da spavento o semplici aneddoti del passato, tutti a cerchio attorno a lei.
Rimanevamo ad ascoltarla fino a mezzanotte, perché non c’erano radio, televisioni ed altri aggeggi elettronici. Invece ora con gli altri residenti della palazzina certe volte non mi vedo anche per un anno intero, come se non esistessi per loro e viceversa o al massimo c’è astio. Esco poco e niente ormai, però quando capita vado spesso nella piazzetta vicino casa e lì mi accorgo che i tempi sono veramente cambiati. Mi capita infatti di vedere bambini seduti sulla panchina con gli occhi puntati sul telefono, piuttosto che dondolare sull’altalena lì accanto a loro e puntare il cielo come piaceva tanto a me.
Casa di mia mamma era un luogo di ritrovo per tutta la famiglia ed anche per i vicini. Ad esempio in inverno, visto che non c’erano ancora i moderni riscaldamenti, utilizzavamo la conca con la carbonella per riscaldarci e ci mettevamo tutti lì attorno per farci raccontare la giornata appena conclusa e per stare un po’ accanto a papà, che non vedevamo molto spesso durante il giorno. Una volta c’era meno formalità e più unione. I rapporti erano veri: se volevi vedere una persona non ti nascondevi dietro una telefonata o un messaggio di convenienza, ma ti alzavi dalla sedia e andavi a trovarla a casa sua. Non eravamo mai soli. Ora invece sembra che questa tecnologia avvicini le persone, ma in realtà le allontana spaventosamente sempre di più”.
“Io penso che il libro”- dice sbattendo le dita sulla copia appena comprata di Notre-Dame de Paris di Hugo– “sia in un certo senso la tecnologia più avanzata di tutte, perché è in grado di riscattare le persone, istruire chi non ha avuto la possibilità di studiare e fare vivere esperienze uniche e fantasiose, senza doversi rifugiare dentro ad uno schermo.”