a cura di Elio Camilleri
C’era una volta tanti, tanti anni fa, circa 2800, una persona che aveva quasi un’ossessione: dalla mattina alla sera di tutti i giorni che ebbe la sorte di vivere non faceva che pensare alla legge, alle cose giuste da fare e a quelle sbagliate e riprovevoli da evitare.
Si chiamava Caronda e da Catania, dove nacque, andò in giro per tutta la Sicilia, acquistando grande fama di sapiente e di saggio fino a quando la sua città lo richiamò per mettere un po’ di cose a posto.
Caronda volle che i catanesi tutti conoscessero le leggi, almeno quelle più importanti, quelle che riguardavano le regole da seguire quotidianamente per vivere sereni e tranquilli è così le scrisse in forma semplice ed essenziale, chiara e comprensibile sì da essere imparate a memoria ed interiorizzata da tutti.
Volle difendere l’istituto familiare, scoraggiare le separazioni e nuovi matrimoni anche a seguito della vedovanza, obbligando, eventualmente, a contrarre nuovo matrimonio con una persona più anziana del precedente coniuge; ritenne di proteggere gli orfani, assegnandoli ai parenti di parte materna e affidando la gestioni dei beni ai parenti di parte paterna.
Ideò e applicò curiose forme di punizione: a quelli che volevano sottrarsi al servizio militare li obbligò a restare per tre giorni nella pubblica piazza vestiti da donna, ai calunniatori li obbligò a circolare in pubblico con in testa una corona di tamerici.
Chi avesse l’ardire di proporre “emendamenti” alle sue leggi doveva presentarsi in assemblea con un cappio al collo che lo avrebbe soffocato nel caso in cui l’emendamento fosse stato respinto: si racconta che un marito abbandonato dalla moglie riuscì a fare approvare un emendamento con il quale si impediva alla moglie di sposarsi con una persona più giovane.
Obbligò la città a provvedere all’istruzione dei fanciulli e questo fu il primo
caso di “scuola pubblica”. Tra le norme da lui scritte c’era quella che vietava di presentarsi armati in assemblea; Caronda, un giorno, tornato da una perlustrazione in cerca di ladri, non si accorse che era entrato in assemblea armato della spada. Avendoglielo fatto notare, secondo la leggenda, non esitò a estrarre la spada e a trafiggersi mortalmente.