Caterina D’Urso – foto tratte dal libro “I pecchi” (1963)
Riemerge dal passato la figura di un uomo, prima dietro la fitta nebbia dell’oblio, poi sempre più nitida e riconoscibile. È alto, vigoroso, un bel volto alla Verga, baffoni spioventi ben curati, larghe bretelle ad agganciare le brache. Torna a respirare… attraverso il suo ricordo.
In via Maricchiolo, a Catania, sino al 1973 sorgeva una bottega, un’osteria, “’na putia” insomma che apparteneva a quest’uomo dal portamento austero e dall’animo nobile. Era stato un bel artigliere da montagna in Macedonia nella guerra ’15 – ’18 Don Neddu: sguardo fermo, una fierezza rassicurante sotto quei baffoni importanti. L’oste più signorile e sensibile di Catania. L’osteria l’aveva rilevata dalla suocera (che l’aveva gestita per trent’anni), madre della sua bella “Angelina” (all’anagrafe Clorinda Mirafiori) e se ne curò per oltre cinquant’anni fino al ’73 appunto, anno della sua morte. Un uomo amabile e di grande spessore morale, dedito alla sua bellissima famiglia ed al suo lavoro, con la sua presenza fisica dominava la scena placido e paterno.
Amava la vita Filippo Giannini detto “don Neddu d’acidduzzi”, aveva allestito un bellissimo giardino sul retro da’ putia: un pergolato carico di rampicanti, aiuole fiorite, du’ peri i ficu, bellu limoni; i suoi avventori, specialmente nel periodo estivo, trovavano in esso un’oasi accogliente dove bere qualche bicchiere di vino, consumare la buona cucina di casa, giocare a tresette.
Era un amante della natura e del bello don Neddu, godeva del canto melodioso degli uccelli e per questo gli piaceva tenerne sempre qualcuno dentro delle gabbiette per allietarsi ed allietare.
Negli anni trenta aveva due bei calandri (“carannuli” in siciliano) a cui aveva dato il nome di Pierino e Pierotto che facevano anche da richiamo all’osteria.
I calandri, appartenenti alla famiglia dei passeriformi, sono uccelli intelligentissimi e furbi e Pierino e Pierotto lo manifestavano giornalmente, cantavano allegramente dentro le loro gabbiette e riproducevano tutti i suoni che capitavano intorno (è un’altra caratteristica di questa specie), allietando don Neddu che si prendeva cura di loro amorevolmente e i suoi ospiti che si divertivano a fischiare, miagolare, sillabare nomi per poi essere imitati. Uno dei due uccellini, in particolare, era anche dispettoso nei confronti di quegli avventori che indossavano il cappello e che andavano a sedersi sotto la sua gabbietta, puntualmente, infatti afferrava col becco la vaschettina dell’acqua e la rovesciava sul copricapo del malcapitato provocando l’ilarità degli altri.
Ma… la notte del 17 aprile 1934, dei ladri penetrarono nottetempo nell’osteria e, forse per bloccare gli schiamazzi dei due uccelli, forse per vendicarsi del magro bottino (due o trecento lire), li uccisero brutalmente schiacciando loro il capino.
Grande dolore provocò questo avvenimento in don Neddu, dolore che traboccò dalla sua anima spingendo ad erigere, in un angolo del suo giardino, una tomba per perpetuare il ricordo dei suoi cari uccellini. Tomba sulla quale fece incidere un’epigrafe da lui stesso dettata e la cui invettiva finale denunciava lo sgomento e la rabbia del “padre” dei due amatissimi uccellini:
Qui giacciono i due uccelletti Pierino e Pierotto
che nella notte
del 17 aprile 1934 anno XII rimasero vittime
di alcuni inumani ladri che li uccisero senza pietà il padrone
nella speranza
che a loro tocchi
la stessa sorte
per ricordo
pose
Questa tomba non esiste più da oltre settant’anni, l’11 luglio 1943 fu spazzata via da una bomba caduta nel giardino. Ma la guerra se ha cancellato la prova tangibile di un bel gesto d’amore, non ne ha distrutto la memoria…
Con amore al carissimo bisnonno Neddu.