Insieme al grande dolore che provo, mi si affollano nella mente tanti ricordi: noi bambini che giocavamo nel terrazzo, il suo volto segnato dal dolore per la morte del padre, e la dignità con cui lei e la sua famiglia portarono il dramma di quell’infame uccisione.
La determinazione e la forza nel chiedere giustizia e verità per quel delitto mafioso che altri vollero ridurre a una bieca volgarità, la soddisfazione amara quando si conclamò quella verità giudiziaria.
Ricordo, negli ultimi anni, come per caso ci siamo trovati vicini a parlare di Giuseppe Fava, nel raccontare un uomo, non solo giornalista ma padre, un drammaturgo, uno scrittore, insomma, un intellettuale che tanto ha dato a una città bugiarda, matrigna che in parte lo aveva volutamente “insultato” ed Elena li, come una roccia sorretta dalla verità.
Io che parlavo del direttore come maestro per tutti e tutte noi che avevamo vissuto una piccola e grande avventura, che ci insegnò come il giornalismo deve essere verità.
Adesso e da qui, non mi rassegno a questa ingiustizia imposta da madre natura o non sò da quale entità divina, comunque da qualcosa di astratto.
Ma ieri, come se non bastasse, si è consumata un’altra ingiustizia, questa si provocata dall’uomo che ha assolto un altro “uomo”, di cui non farò il nome, per non sporcare la memoria di Elena.
Un “uomo” che ha contribuito a incattivire questa città, a creare quei comitati d’affari, per il potere e il denaro, che ha ucciso il diritto ad essere informato attraverso le bugie e per favorire una politica a lui asservita sia ieri che oggi.
Oggi ci è consentito piangere e provare dolore per la nostra amica Elena, ma già da domani, riprende un percorso di lotta contro l’ingiustizia sociale e le mafie, attraverso, una vera antimafia sociale che realmente venga dal basso.
Lo faremo attraverso i nostri pochi mezzi e con la forza della parola, che sia scritta o urlata con dignità.
Ciao Elena e non dimenticare di darci sempre una mano.
Giovanni Caruso