Le strade buie di San Cristoforo si aprono alla luce
testo Daniela Calcaterra
foto Daniela Calcaterra e Mario Libertini
“Qua ci abita mio cognato, non ci venivo da tanto tempo!” afferma con voce stupita una delle signore, mentre con l’indice solleva gli occhiali per accompagnare lo sguardo. “Questa strada la faccio spesso per andare a lavoro, ma vado così di fretta che non mi ero mai accorta di questo particolare” dice quasi urlando, per superare il suono dei clacson, un’altra signora, mentre cammina a braccetto con una sua amica.
Un’altra signora si ferma di colpo esclamando: “Ma sapete che non mi ero mai accorta di questo balcone… eppure ci abito da sempre!” e solleva appena il sottile bastone per indirizzare lo sguardo di tutti, per poi riprendere il passo raccontando di quanto le piacciono i balconi fioriti. Il chiacchiericcio cresce man mano che camminano e imboccano stradine poco trafficate o al contrario eccessivamente caotiche.
In una città come Catania, anche il semplice atto del camminare, è qualcosa per gente temeraria. La gente coraggiosa, pronta a sfidare una città ostile, c’è, e s’incontra due volte al mese in piazza Federico di Svevia. Sono per lo più ragazze, donne e bambini che hanno deciso di “riscoprire” la città da altri punti di vista.
I percorsi sono sempre diversi, per stupire e farsi ammaliare dalle piccole storie che ognuno di loro conosce dei luoghi. Così si scopre che quel mobilificio in via Petrarca era una scuola elementare, che la maggior parte degli edifici posti su via Grimaldi erano delle piccole industrie… e “che spreco tutto questo spazio inutilizzato, non sarebbe bello farci degli alloggi per chi non ha casa?”. Su via Stella polare scoprono un immondezzaio e qualcuno racconta che quel prefabbricato prima di essere vandalizzato era una scuola.
Tutto questo mentre i bambini corrono, saltano, fanno a gara a chi si arrampica prima sul muretto, a chi salta tre gradini in un solo salto! “Stai attento che ti fai male!” ma prontamente il piccolo rassicura che questo è niente e che può fare di meglio. Sono gli stessi bimbi che poi si emozionano davanti al mare, perché questa volta sono arrivati lì senza mamma e papà… e forse si sentono un po’ più grandi.
Hanno attraversato la trafficata via Dusmet, comprendendo quanto sia importante attraversare sulle strisce pedonali: “accussì su ti pigghiunu ti pagano!” scherza uno dei piccoli con l’altro che gli sta accanto.
Sono felici perché responsabili, e questa felicità la respirano, guardando l’azzurro del cielo che si confonde con quello del mare.
Qualcuno di loro prova anche a disegnare il paesaggio: il porto, i treni che corrono veloci sul viadotto, l’Etna e le tante barche.
Le camminate non servono solo a riscoprire la bellezza, ma soprattutto a far comprendere come sia un diritto di tutti poter camminare su dei marciapiedi liberi da auto, tavolini, dalla merce in vendita e dagli escrementi di animali. Non sarebbe bello camminare guardando ogni tanto in alto? Fermarsi un attimo, per osservare il volo a “V” degli uccelli migratori, senza per questo correre il rischio di essere arrotati. In questa città tutto sembra una conquista: il lungomare liberato, un appuntamento al mese per fasce orarie; la via Etnea, il tratto di via Dusmet in prossimità di porta Uzeda, ma questi sprazzi di vivibilità sembrano potersi realizzare solo nei salotti buoni della città!
La gente che invece s’incontra in piazza Federico di Svevia ha solo un obiettivo, camminare, perché è sempre il primo passo a generare il cambiamento, che poi è la semplice voglia di riscoprire il piacere di stare bene con se stessi e con gli altri, ma soprattutto raccontarsi mentre si percorrono le strade buie che d’improvviso si aprono alla luce di un quartiere che non vuole perdere la speranza.