Marcella Giammusso
Proviamo ad immaginare, cosa non poco probabile visto che la Regione Siciliana ha dato il via ad altre trivellazioni in Sicilia, che una compagnia petrolifera fosse interessata a costruire una piattaforma e fare trivellazioni per estrarre petrolio o gas dai fondali del mare che bagna la nostra splendida spiaggia nell’immediata periferia di Catania, la Playa.
Uno dei litoranei più belli e più estesi d’Italia frequentato da migliaia di turisti, dove la maggior parte dei cittadini catanesi trascorre intere giornate durante le assolate e calde giornate estive. La spiaggia dorata sulla quale i bambini di tante generazioni hanno avuto la possibilità di divertirsi con giochi acquatici e di massima libertà e spensieratezza.
Pensiamo a quali disastrosi danni potremmo andare incontro se una compagnia decidesse di trivellare i fondali del nostro mare. La nostra bellissima spiaggia sarebbe devastata, l’inquinamento porterebbe notevoli danni alla fauna marina e agli abitanti del territorio causando gravi forme di malattie tumorali.
Senza pensare alle conseguenze che avrebbe la nostra economia basata sulla pesca, dai pescatori ai commercianti di prodotti ittici locali.
Inoltre con l’attuale normativa la compagnia petrolifera che otterrebbe la concessione per le trivellazioni potrebbe continuare le perforazioni fino ad esaurimento del giacimento, e ciò si verificherebbe fra trenta, cinquanta o cento anni. In ogni caso sarà la compagnia petrolifera a decidere quando smettere o sospendere l’ estrazione.
La corsa al petrolio ed il prelievo dell’oro nero è una grande minaccia per il nostro territorio e rappresenta un rischio per l’ambiente e il benessere delle comunità costiere, mentre porta profitti solo alle compagnie petrolifere.
Ricordiamo tutti l’esplosione della piattaforma Deepwater della BP avvenuta ad aprile del 2010 nel Golfo del Messico. Ci fu un’enorme versamento di petrolio nelle acque del golfo che durò 106 giorni, causando il disastro ambientale più grave della storia americana.
L’allora ministro dell’Ambiente Stefania Prestigiacomo a giugno dello stesso anno vietò le attività petrolifere lungo tutta la fascia costiera italiana, portando il limite di interdizione da 5 miglia (poco più di 9 chilometri) a 12 miglia, bloccando tutte le concessioni che ricadevano entro i nuovi limiti. Ma nel 2012 il ministro Corrado Passera decise di azzerare il decreto Prestigiacomo, sbloccando tutte le autorizzazioni concesse alle compagnie petrolifere.
Molte associazioni ambientaliste, ricercatori e uomini comuni hanno cercato di sensibilizzare i governi a questi grossi pericoli. Si sono formati dei comitati che hanno raccolto le firme per indire un referendum popolare su una delle norme di legge che regolano le concessioni alle compagnie petrolifere.
Non tutti i giornali ne parlano, le televisioni ne accennano appena e non tutti gli italiani sono a conoscenza che il 17 aprile si andrà alle urne per un importante votazione contro le trivellazioni a mare. Si tratta di un referendum abrogativo, uno dei pochi strumenti di democrazia diretta che la nostra Costituzione prevede per la cancellazione di una norma o Legge dello Stato. Si chiede di cancellare la norma con cui si dà la possibilità alle compagnie petrolifere di fare trivellazioni in mare entro le 12 miglia dalle coste italiane senza limiti di tempo. Se si vuole proteggere i nostri mari dalle attività petrolifere si deve votare “SI”.
Infatti per essere approvata la proposta occorre che il 50% più uno degli aventi diritto al voto si rechi alle urne elettorali e che la maggioranza dei votanti si esprima con un “SI”. In questo caso i cittadini avranno la possibilità di abrogare la norma.
Il referendum è stato promosso dai cittadini nella consapevolezza di mettere un freno alla devastazione dell’ambiente, mentre chi ci governa sembra che non voglia cambiare la legge visto che gli interessi economici sono enormi. Tant’è che non si fa pubblicità a questo referendum e nessuno ne parla al fine di non raggiungere il quorum dei votanti al fine di annullare la votazione.
Naturalmente non sarà solo questo a salvare la nostra terra dall’inquinamento, bisogna che i governi si impegnino ad investire ed utilizzare energie alternative le quali oltre ad essere più economiche non inquinano e proteggono l’ambiente. Sarebbe il caso che l’Italia avviasse questo percorso, come hanno già fatto altri stati della Comunità Europea. In questo modo si creerebbero inoltre nuovi posti di lavoro.