a cura di Elio Camilleri
Al terzo piano del palazzo di S. Giuliano, proprio di fronte all’Università, il 15 marzo del 1784 il barone Orazio di S. Giuliano uccise a coltellate la giovane, bellissima, moglie Rosalia Petruso Grimaldi ed una cameriera che era accorsa in aiuto della sua padrona.
La governante, devastata dal panico, pose per terra il piccino che aveva in braccio e si precipitò fuori dal palazzo, in piazza, ad urlare tutta la sua disperazione.
Lui era tormentato, ingiustamente, dai sospetti sulla fedeltà della giovane moglie che aveva sposato sette anni prima, quando lei aveva appena sedici anni e che gli aveva dato già tre figli.
Il fatto destò un’enorme impressione in tutta la Sicilia e arrivarono a Catania due compagnie di granatieri per impedirgli di fuggire e per sedare eventuali disordini; fu condannato a morte, bandito dal regno e tutti i suoi beni furono confiscati.
Lui, aiutato dai suoi parenti influenti, potenti e prepotenti si nascose al monastero dei benedettini e poi, si racconta che fuggì verso Malta e che morì in mare o che si salvò.
Altre testimonianze ce lo presentano in Tripolitania sotto altro nome e altra religione sposare ancora una volta una giovanissima fanciulla e diventare, ancora di più, influente, potente e prepotente.
Di questo uxoricidio l’aristocrazia catanese volle favorire l’oblio, ma sono resistenti ancora taluni riferimenti che tendono a mantenerne viva la memoria, come quell’effige in cera posta chiesa della Madonna del Carmine, nell’altare dedicato a santa Lucia.
I segni di quel terribile fatto di sangue sono ancora oggi visibili: se passate da piazza Università e alzate lo sguardo verso il lato sinistro ad angolo del terzo piano vi accorgerete che i due balconi laterali furono allora demoliti e che le aperture furono murate.