a cura di Elio Camilleri
Non è vero che l’espressione “… e cu parrau Bartolo?” indica disappunto, delusione per una informazione o giudizio che non è stato preso in considerazione.
Io non so se questo modo di dire è ancora diffuso in città e quanto è diffuso, ma, certamente, prima che il linguaggio televisivo avesse conformato le nuove e passate generazioni, quella frase era sicuramente patrimonio di gran parte dei catanesi.
Il fatto curioso è che questa frase, in verità, era usata ed interpretata in modo sbagliato. Infatti il personaggio “Bartolo” non rappresentava una specie di uomo senza qualità, senza carisma e capacità di persuasione.
Diciamo subito che “Bartolo” è realmente esistito e risponde al nome di Giacomo di Bartolo, uomo di grandi qualità morali messe al servizio di Catania nel 1837 nei drammatici giorni del colera, nel 1848 in occasione dei moti antiborbonici e nel 1860 in coincidenza della “liberazione” garibaldina.
Molto deciso ed autorevole si mostrò e fu sempre un galantuomo, sempre disponibile con tutti, anche con quel bambino che andò da lui perché la fornaia rifiutava la moneta di venti centesimi perché asseriva che fosse falsa. Il piccolo andò da lui e lui e lui lo assicurò che la moneta era buona e che, quindi, la fornaia doveva accettarla e volle accompagnarlo personalmente dalla fornaia che non voleva credere che il piccolo era andato proprio da “Bartolo” a chiedere aiuto. Appena lo vide sulla porta accettò quella moneta e Bartolo regalò al piccolo una quantità di pane parecchio superiore ai venti centesimi.
Il bambino di cui si riferisce era il padre di Domenico Macri che riporta questa testimonianza nel libro di Vittorio Consoli e Salvatore Nicolosi dal titolo Immagini di Catania.
Il busto marmoreo di Giacomo di Bartolo si trova alla Villa Bellini nel viale che raccoglie i monumenti dei catanesi illustri.