Giovanni Caruso
Dopo la manifestazione antimafia del 30 gennaio, che ha visto movimenti, organizzazioni e cittadini comuni scendere in piazza per chiedere “Via i Ciancio, via i Bianco, via la mafia dai quartieri, dal Comune e dalla città!”, il coordinamento “Catania libera dalla mafia” non interrompe il suo percorso, iniziato il 5 gennaio.
Così, come già deciso, ci siamo incontrati l’11 febbraio nel centro sociale “Palestra Lupo”. Eravamo in tanti per ascoltarci a vicenda e discutere come continuare la lotta comune che ci oppone ai clan mafiosi, a un sistema politico mafioso, a una classe imprenditoriale corrotta dalla mafia.
Ci siamo parlati e ascoltati, e gli interventi e le analisi dell’insoluto “caso Catania” ci hanno portato, con maggiore percezione del problema, a essere pronti ad analizzare e agire con le pratiche di una “polis” che radicalmente venga dal basso.
Proprio come nelle polis (antiche città greche), c’è stata l’attiva partecipazione di noi cittadini alla vita della città. Perché la politica, prima che si sporcasse diventando sinonimo di farsi gli affari propri, non era altro che questo: partecipazione del popolo a ciò che lo riguarda.
La prima cosa che abbiamo voluto sottolineare durante l’assemblea (visto che qualcuno ha insinuato che questo coordinamento potesse avere mire elettorali) è che a noi non interessa alcuna formazione politica per cercare di entrare nel palazzo di città. Per noi la lotta ai poteri mafiosi non è affatto una questione da sfruttare per fini elettorali, ma una questione morale.
È una questione morale l’ingiustizia sociale, madre di tutte le povertà, sia quelle culturali che quelle materiali. È una questione morale la mancanza di una democrazia diretta e partecipata. Ed è una questione morale anche l’assenza di controllo verso coloro che ci dovrebbero amministrare.
Ma sicuramente non basta studiare e analizzare: bisogna che la nostra azione sia anche concreta, il che vuol dire scendere in piazza ogni volta che ce ne sarà bisogno. E nella nostra città, così offesa e mortificata, dovremo farlo sempre più spesso. Dovremo avere dei presidi di “pronto intervento”, e non solo nel “salotto perbene” ma soprattutto nei quartieri popolari, dove la presenza della mafia e la mancanza dello stato opprime il popolo.
Un popolo senza diritti, molte volte trascurato da quella società civile “progressista” che ignora la società reale che vive nei quartieri. Allora, dal Porto a San Cristoforo, da Librino a Monte Po, parliamo in quanto popolo, raccontiamoci cos’è la mafia.
Alziamo tutti insieme la testa giungendo sino al nostro liotru che magari ci sorriderà compiaciuto, e chissà, potrebbe anche dirci:
“Catania, finammenti t’arrusbigghiasti!”