L’ ITALIA SPACCATA

di Antonello Longo

Ancora una volta il Meridione viene penalizzato senza che il Parlamento possa fare altro.

illustrazione di Ivana Parisi

Il governo giallo-verde è impegnato in questi giorni a sciogliere il difficile nodo delle autonomie differenziate, cioè delle intese tra lo Stato centrale e le tre grandi regioni del Nord, Lombardia, Veneto ed Emilia-Romagna, che hanno richiesto di estendere la loro competenza su materie molto importanti, come la scuola, la sanità, l’ambiente, le politiche attive del lavoro, trattenendo nei propri territori la più gran parte delle entrate tributarie che vi si riscuotono, senza metterle a disposizione dello Stato per essere ridistribuite fra tutte le regioni secondo criteri di equità e di solidarietà.

In sostanza le regioni più ricche dell’Italia (Nord Italia) tratterranno nei loro territori gran parte del le entrate che dovrebbero andare allo Stato Italiano, con la conseguenza che per le regioni più povere (Sud Italia) sarà impossibile recuperare il divario con il Nord.
Si tratta di un processo avviato con i referendum svolti in Veneto e Lombardia nel 2017 e proseguito, quasi di nascosto, nel 2018, con l’intesa preliminare tra le regioni che hanno chiesto l’autonomia differenziata e il governo Gentiloni. Protocollo firmato a Camere sciolte, quattro giorni prima delle ultime elezioni politiche.

Adesso, sotto la forte pressione della Lega di Salvini e nel confuso imbarazzo del M5S, la questione delle autonomie differenziate è diventata “prioritaria” nel contratto di governo e il consiglio dei ministri è chiamato a definire e rendere definitive quelle intese, che tolgono risorse a tutte le altre regioni, a partire da quelle povere del Sud, per soddisfare l’egoismo sociale delle zone più ricche del Paese.

Quello che sta per avvenire, senza che il Parlamento possa fare altro, a quanto pare, che ratificare l’operato del governo, è una sorta di “secessione dei ricchi”, cioè il distacco definitivo delle regioni del Mezzogiorno dal resto del Paese, e un vero e proprio smantellamento della nostra architettura costituzionale, che tutela i principi fondamentali dell’eguaglianza, dei diritti e dell’unità della Repubblica.

Infatti, come era logico prevedere, sulla scia del Veneto, della Lombardia e dell’Emilia Romagna, anche altre regioni del Nord si stanno muovendo per ottenere più potere e maggiori risorse, mentre lo Stato non ha ancora definito (come vuole la Costituzione) i livelli essenziali delle prestazioni relative ai diritti civili e sociali in tutto il territorio italiano, eliminando ogni disparità tra il Nord e il Sud dell’Italia.

Il criterio, poi, del “Federalismo Fiscale” imposto dalla Lega per mezzo di Calderoli nel 2009, che distribuisce le risorse dello stato verso le regioni e i comuni sulla base di astratte valutazione economiche, senza tenere conto dei bisogni effettivi della popolazione e delle differenze infrastrutturali tra un territorio e l’altro, non fa altro che aggravare le condizioni del Mezzogiorno, allontanandolo sempre di più, e in modo irreversibile, da un contesto europeo di lavoro, di assistenza e servizi per la cittadinanza, di risanamento e di sviluppo, di affrancamento dalla morsa delle mafie che stritola l’economia e la società.

Siamo, allora, ad un passaggio molto delicato per la nostra democrazia costituzionale. Mai come oggi è necessario, soprattutto in una grande realtà urbana come Catania, precipitata nel dissesto finanziario, informare le cittadine e i cittadini, chiamarli alla mobilitazione popolare, renderli consapevoli che la divisione delle risorse e la loro gestione deve restare in un ambito nazionale, in modo condiviso da tutte le regioni e dai comuni, senza privilegiare le realtà che già ricevono di più a danno delle aree più deboli e in difficoltà.