Sicilia. La missione civiltà continua
Ivana Sciacca
“Cu acchianau?”
“Chiddu ‘dda, Musumeci, dissuru. Noi invece abbiamo votato Sammartino. Dicono che è dalla nostra parte, ora ca acchianaru chissi ni levanu a carta Sia!”
“Ma quali…”
“Ah no? Sicura sei?”
“Ca cettu…!”
Due mamme commentano i risultati elettorali, un paio di giorni dopo che è stato eletto come presidente della Regione Sicilia il catanese Nello Musumeci. Un argomento come un altro, senza perderci troppo tempo, che tanto alla fine si sa, “come vanno le cose”.
Queste elezioni le ricorderemo, in particolare, per gli anziani nelle case di cura a cui sono stati estorti voti – qualcuno ha fatto firme false per cercare di vincere. Poi durante lo spoglio, nel seggio di una clinica catanese, ci si chiedeva come mai tutti i votanti avessero fatto lo stesso nome.
Ma le ricorderemo anche per le presenze dei familiari dei candidati, o persone vicine a loro, che distribuivano i pizzini elettorali davanti alla scuola Cesare Battisti a San Cristoforo, o in quella di Librino, proprio durante il voto in corso. “Se non hai preferenze…” dicevano ai votanti “se tanto non hai preferenze, almeno lo dai a lui, che è stato uno che ha fatto tante cose, era pure con Stancanelli…”. E il votante di turno, come se dovesse ripiegare sul gusto limone della granita anziché pistacchio e cioccolato, faceva sì con la testa, assicurandosi soltanto se si trattasse di “destra o sinistra”. Così poi se qualcuno gli domandava almeno sapeva cosa rispondere.
Poi le ricorderemo per altri due record: il sindaco in provincia di Siracusa arrestato in piena campagna elettorale che si dimette da sindaco pur di continuare la corsa alla Regione. E il neoeletto messinese Cateno De Luca arrestato appena tre giorni dopo dalla vittoria.
Gli impresentabili in odor di mafia non solo sono stati candidati, ma alcuni di loro hanno anche vinto. Forse non proprio perché “le cose non cambieranno mai”. Magari perché la metà dei siciliani a votare non ci è nemmeno andata? Indaffarata com’era a fare i conti con le bollette da pagare, o a cercare da chi farsi prestare i soldi per comprare la merenda per il giorno dopo al figlio.
Queste elezioni le ricorderemo la prossima volta che andremo in un ufficio per un certificato e dovremo tornarci mille volte, se qualcuno non ci segnalerà all’impiegato amico a cui rivolgerci. Ma le ricorderemo anche nelle parole dei bambini che hanno paura della polizia ma non di chi li mette in pericolo. E in quelle di alcuni genitori che pensano che l’unico modo per ottenere qualcosa, è quello di affidarsi sempre a qualcun altro.
“Dice che ha già provato la cocaina… Ancora non ha neanche diciotto anni…”
“E noi povere mamme a casa, che non sappiamo cosa succede fuori”.
Noi non ci stiamo. Di queste elezioni, in fondo, non resterà altro che la solita battaglia, tra il nostro diritto di essere liberi, di avere una casa e un lavoro. SENZA DOVER DIRE GRAZIE A NESSUNO. E chi questo diritto continua a rubarcelo facendo credere di “farci un favore”.