di Elio Camilleri
Lui non lo sapeva, non lo poteva mai sapere e neppure immaginare ciò che gli sarebbe capitato a Catania. Era arrivato in Sicilia nei primi giorni di maggio del 1924 e a Palermo aveva dovuto sopportare la spocchia mafiosa di Ciccio Cuccia, sindaco di Piana degli Albanesi che si era permesso di criticare S. E. per la numerosa scorta che si era portato appresso.
I quindici giorni programmati del viaggio in Sicilia erano cominciati proprio nel peggiore dei modi e non poteva assolutamente prevedere quello che sarebbe successo a Catania. L’arrivo era stato festoso e il Duce, infatti, fu accolto da una folla oceanica che volle vedere e ascoltare Benito Mussolini affacciato al balcone del Palazzo municipale.
Lui aveva lasciato su una sedia la sua bombetta e su quella sedia era andato per riprenderla alla fine del saluto alla folla, ma la bombetta non stava più là e neppure sulla sedia accanto e neanche sul divano: la bombetta era letteralmente scomparsa.
Lui, visibilmente seccato, lasciò Catania, la bombetta e la Sicilia appena una settimana dall’arrivo e, quindi, con una settimana d’anticipo. La bombetta l’avevano ritrovata, in verità, ma non potevano proprio restituirgliela perché era piena di escrementi, sì era colma di merda.
Il Duce tornò a Catania dopo tredici anni, nell’agosto del 1937, parlò alla folla festante dal balcone del Palazzo dei Chierici, pose la prima pietra per la costruzione del Palazzo di Giustizia, fu coccolato da autorità civili, militari e religiose dopo che era andato in giro per i paesi etnei.
A Nicolosi aveva visitato una scuola in costruzione e aveva consegnato un assegno al Direttore per il completamento dei lavori, ancora più in alto aveva visitato una zona bonificata e quindi destinata a cultura intensiva, aveva, infine, accettato da un giovane scultore dilettante un bustino in bronzo che lo rappresentava con la ben nota espressione maschia e caratterizzata dalla maestosa mascella volitiva.