La fossa dei silenzi

testo Giovanni Caruso, foto Alessandro Romeo

Dall’alto sembra un “formicaio”.

Dal marciapiedi, di quel corso, te ne accorgi guardando attraverso un buco nel consunto muro di cinta.

Osservando attentamente, ti rendi conto che è solo un malsano vuoto urbano.

Dal quel buco nel muro di recinzione che costeggia il marciapiedi di corso martiri della libertà, nella città di Catania, noi entriamo.

Quel luogo, quella fossa è abitata!

Quando la vedemmo dall’alto, non ci sbagliammo!

Scendendo nella fossa, si perdono i fragori urbani, e si ascolta, uno strano silenzio….

A vivere in quella fossa, saranno una trentina fra uomini, donne e bambini, ma anche qualche anziano, riuniti in nuclei familiari, insomma, ci rendiamo conto, che questa è una comunità sociale.

Scendiamo e ci accorgiamo delle prime baracche.

Uguali, tutte uguali, come uguali sono le baracche nelle periferie del mondo.

Lamiere ondulate arrugginite dal tempo, bancali e cartelli pubblicitari, che fino a ieri inneggiavano al consumismo, oggi coperture di povere baracche, e poi, tanto, ma tanto cartone.

Ora capiamo quel silenzio, ora sentiamo quel silenzio, è quello della povertà!

È il silenzio degli ultimi!

Ci vengono incontro i bambini, in un momento ricordo: sembra una scena già vissuta…: Guatemala, “zocalo” del villaggio di Sololà, tanti bambini, e tutti, sorridenti e con le mani aperte.

In questa fossa urbana, i bambini sorridono, ma le mani sono chiuse strette in un pugno.

Con loro, due uomini, ci vengono incontro: “Sono il signor Romeo, della “chiesa cristiana evangelica pentecostale” del quartiere di Picanello, siamo qui e veniamo spesso a portare solidarietà, conforto e qualche aiuto concreto, e voi chi siete?”

Non abbiamo il tempo di rispondere, perché l’altro uomo interviene.

Parla uno stentato italiano e con un accento slavo: “Mi chiamano B., e sono un po’ il portavoce di questa comunità, veniamo tutti dalla Bulgaria.

Tanti come voi vengono qui a curiosare, a cercare storie per far piangere telespettatori e lettori, a far promesse che non vanteranno mai!

Venite a far fotografie, a riprenderci con le telecamere, venite a rubarci la nostra dignità con le vostre menzogne scritte e filmate.

Cosa volete da noi? Non vi permettiamo di fare altre foto!”

Sì, abbiamo capito, sappiamo che quel che dicono è la verità, ma tentiamo di spiegare: “È vero, vogliamo raccontare la vostra storia, ascoltandovi, vogliamo denunciare l’ingiustizia che si consuma in questo posto, e in fine, vogliamo sapere da voi, se già sapete, che nel prossimo autunno, inizieranno i lavori per il recupero di questo spazio, quello che amministratori e imprenditori, chiamano, la conclusione del tanto atteso, risanamento di San Berillo…”

Sia il signor Romeo che B., ci guardano, ed insieme affermano di non sapere nulla, che nessuno, al di fuori di noi, li ha informati, e che comunque sapevano che prima o poi sarebbe successo.

Poi aggiungono: “Per la modernità e il progresso, qualcuno deve essere calpestato, e adesso tocca a noi!”

Non sappiamo cosa dire a tanta rassegnazione… Salutiamo, e ricominciamo a risalire verso la cima di quella fossa, verso quel buco che ci riporta alla “città civile”.

Ma ci piace immaginare i volti di quegli uomini, di quelle donne e bambini, che ci guardano mentre saliamo.

Forse il loro sguardo, mostra rabbia e povertà, ma anche, tanta dignità…

***

Nel prossimo autunno i vuoti urbani di Corso Martiri della libertà saranno riempiti da nuove costruzioni.

L’architetto Cucinella, padre del progetto, promette severità e un buon accordo con la politica. Nessuna variante su questo finalmente il risanamento del quartiere San Berillo sarà completato.

Il partito al governo della città, il partito democratico catanese, il quotidiano “La Sicilia” e “La Repubblica” sono tutti d’accordo, nessuno osa fare critiche. Ma nessuno osa dire o chiedere cosa ne sarà di quelle famiglie bulgare che vivono in quella fossa?

Nella migliore delle ipotesi l’amministrazione comunale invierà dei “messi” che notificheranno alla comunità bulgara di andar via entro un tot di tempo. Nella peggiore delle ipotesi potrebbe accadere ciò che tante volte abbiamo già visto: un’alba autunnale, due blindati della polizia o dei carabinieri, scendono gli uomini in assetto antisommossa, si schierano.

Arrivano due ruspe che si posizionano davanti l’area da sgombrare. Una voce che parla al megafono. Un funzionario delle forze dell’ordine che indica a quegli uomini e a quelle donne di sgombrare entro un’ora.

Vorrei finire in un modo diverso questa storia, questa storia di povertà e prepotenza, ma non trovo di meglio che le parole del direttore Giuseppe Fava.

…La povertà definitiva, l’infelicità sconosciuta di quelle migliaia di bambini che abitavano laggiù ed era come se vivessero sottoterra, e Catania camminasse sopra le loro teste…