La marcia delle donne di S. Cristoforo

Le donne in piazza Duomo  (foto Agenzia Liberaimmagine)I figli e le figlie dietro a loro. “Avevano assicurato che non chiudevano, ma ci hanno preso in giro”, dice una, “Mio marito è cresciuto in Via Barcellona e non è mica delinquente, ma da delinquenti ci trattano”, dice un’altra, “Vogliamo porte aperte, non chiuse”, urla una terza, “Il signor vicesindaco Arena, aveva promesso che risolveva, invece…”, aggiunge una quarta. Sono tante e vanno veloci, tanto che mi è difficile seguirle e prendere appunti. “Loro non vengono da noi, dentro San Cristoforo non vogliono metterci piede, e allora noi andiamo da loro”, dice ancora un’altra madre, dribblando con velocità auto, carretti della frutta, spazzatura stantia sui marciapiedi. Alle 9.30 si è già formato un gruppo nutrito davanti il comune, i ragazzini cominciano a intonare cori e srotolano striscioni. Il comitato Andrea Doria chiede ufficialmente di incontrare il sindaco, “Il sindaco ha detto di venire qua, allora si faccia vedere”, gridano. Dopo non avere ricevuto nessuna risposta bloccano la strada, qualcuno si siede per terra, i ragazzi e le madri saltano e intonano cori, e spiegano ai conducenti delle auto imbufalite il motivo della loro protesta. Senza osare contraddire, tale è l’impeto delle donne, fanno retromarcia e vanno via. Maria, iscritta alla terza media, non ha la cartella ma una borsetta, è già una donna e dice:  “Se mi dovessero bocciare io voglio restare lì”, e una sua compagna: “Venerdì il Sindaco era a una riunione per il Calcio Catania invece di occuparsi di noi. E poi, perché trova sempre i soldi per i parcheggi, e non per le scuole?”. Da piazza università sbuca Puccio la Rosa, consigliere comunale per An. Alcune donne si fiondano su di lui che dice subito: “Adesso chiamo io l’assessore, che è un amico mio”. Dopo una breve telefonata ottiene un incontro con Maimone, l’assessore alle politiche giovanili. Potranno salire in quattro. All’ingresso chiedo di potere seguire la faccenda come giornalista de “I Cordai”, ma ribadiscono che possono salire solo in quattro. Subito dopo, un allegro gruppo di turisti saltellando s’infila nel portone principale del palazzo degli elefanti. I ragazzi gridano: “La scuola is closed”, ma loro non capiscono perché sono catalani. Anzi, escono fuori entusiasti. Un operatore video e una giornalista di Antenna Sicilia entrano velocemente, e io dietro a loro, rivendicando il diritto all’informazione. Le sale sono ampie e silenziose, eleganti, affrescate. In una di queste, a un lungo tavolo di legno, sono sedute da una parte le quattro madri, dall’altra Maimone e il capo di gabinetto Ferlito, che assicurano, garantiscono, e dichiarano che la scuola verrà acquistata o l’affitto verrà pagato: “Ma dobbiamo aspettare la delibera, non può certo impegnarsi il dott. Maimone con la sua sola firma”. Al centro del tavolo un elefantino di vetro con la proboscide sollevata in aria, come se fosse imbizzarrito e fuori controllo, riflette le facce dei sei. Maimone dice alle donne: “Eravamo rimasti per un incontro tra dieci giorni, non l’avete rispettato”, e loro: “No”. “Non mantenete gli impegni” ribatte Maimone, “Noi li manteniamo, ma non possiamo più aspettare”, e consegnano il documento con le richieste ufficiali del comitato, “E vogliamo delle garanzie. Qui ogni volta ci dicono una cosa diversa e poi non la fanno, noi dobbiamo sapere, siamo stanche di queste notizie false”. L’assessore e il dott. Ferlito promettono allora un nuovo incontro insieme al preside della Doria e l’avvocato della congregazione delle Orsoline (proprietaria del plesso), e chiedono alle madri di tornare il 22 Maggio. Poi si stringono le mani. Puccio la Rosa, nel corridoio, rassicura ancora le madri e rivolgendosi all’assessore: “Giuseppe, mi raccomando, io ci tengo, e se le cose non andranno bene loro si rivolgeranno a me, e io a te. Per qualunque nuova notizia chiamami”. Su Omnia.it, giornale on line, verrà scritto che La Rosa aveva accompagnato il gruppo di donne a protestare. Ma La Rosa, la mattina del 23 Aprile, non sapeva nulla della protesta. Tra l’altro non è certo con una telefonata agli amici che devono risolversi i problemi sociali di una comunità democratica. La giornalista di Antenna Sicilia, fino ad ora assente e ignara dei contenuti dell’incontro, dice: “Ma come, siete usciti, dovevamo fare le riprese con le mamme!”.
Scendiamo in piazza, le madri sono contente e promettono di non mollare: “Hai visto? Ma se non fanno quello che hanno detto noi ritorniamo qua”. Sopraggiungono Maimone e La Rosa per essere nuovamente inquadrati dalle telecamere, stringono ancora le mani alle madri, Maimone si fa riprendere abbracciato affettuosamente a Maria che dirà: “A me questo pare troppo furbo”. Sempre l’assessore, allegro, dichiara al microfono e alla tv: “La scuola Andrea Doria non sarà mai chiusa (…), siamo ben lontani da strumentalizzazioni politiche e di altro genere che non fanno altro che avvelenare il clima”. Poi viene verso tre dei fondatori storici del Gapa e gli dice: “Voi siete diseducativi, voi strumentalizzate… ci sono aule vuote in altre scuole e noi dobbiamo riempirle”, facendo intuire che nella sua testa rimane la soluzione dello smantellamento della Doria e dell’utilizzo di fantomatiche aule della scuola di Via Case Sante, e che sempre nella sua testa non c’è traccia della dispersione scolastica. Una palese contraddizione con quanto detto prima. Qualcuno urla: “Questa è la risposta al 2 Febbraio”, l’assessore risponde, gridando fuori di sé: “Iu sugnu natu a Via Playa, ‘ndò ’41!”. “È un’aggravante”, risponde un uomo.
Maria si avvicina all’assessore arrabbiata e dice: “Ma di quali aule vuote va parlando!”, e Maimone si calma, s’inchina, prende la ragazza per mano e dice: “No, gioia, le aule vuote ci sono, dovremmo andarci con tutti gli altri ragazzi della tua età, non con gli adulti, e vedremmo…”, qui una telecamera  si fa spazio, e zumma non sul volto di Maria, arrabbiato, ma sulla mano dell’Assessore, sui loro profili. E Maimone sorride, per un attimo. Per lui è abbastanza.

Giuseppe Scatà