Alberto Incarbone
“A me non piaceva farmi comandare e arristai signurina”. Nel quartiere della Consolazione, a Catania, abita una vecchina di novantuno anni. Signorina, mai sposata, evangelista. Cammina col bastone, un po’ curva. Sta vicino alla casa occupata di via Calatabiano e qualche volta si vede mentre parla con gli occupanti del palazzo. L’altra volta discuteva con un ragazzo affacciato alla finestra che dà sul marciapiede, a livello della strada. Lei con una mano si teneva al muro e parlava.
Signora Anna, come sta? Le posso fare un’intervista?
No caro, io non sono cattolica – risponde – sono evangelista. Sa quando ero bambina non stavamo bene, mio padre non ebbe mai la tessera del fascismo e avevamo un po’ di problemi. A scuola ero la più brava, in tutto, tranne nella ginnastica. Allora Mussolini ci voleva tutti sportivi e c’era l’esercizio alla sbarra. Iu c’avia paura e allora salivo sopra, mi tremavano le gambe, e facevo così con le mani – e sbatteva veloce le mani in aria, come un uccello che non sa ancora volare – La maestra mi mise sufficiente, mi voleva bocciare! Ma in consiglio d’istituto tutti i professori mi difesero dalla preside, quello di matematica me lo confessò.
Ma la chiamo signora o signorina?
Come vuole lei, ma io non mi sposai mai. Sa, nella comunità evangelica ci stava una che diceva che il Signore parlava con lei. Le rivelava i nomi di quelli che si dovevano sposare. Iù non mi faceva cumminta e allora a sira pregavo: “Signore, se è così l’accetto, ma se non è vero mannicci ‘npedimentu!” – e gesticolava mentre parlava con gli occhi sbarrati – E l’impedimentu ci fu. Cammivano per strada, avevo diciannove anni, e sentivo camminare dietro di me. “E cu è astura?” pinsava e mi furriai. Era un ragazzo, un inglese, mi diceva che era quello indicato dalla signora evangelista. E mi propose di sposarlo: ma come m’ava a maritari? Ero giovane e ci diceva: “Casomai a trentanni, i figli sono una responsabilità materiale e spirituale. Se ci sposiamo adesso, io dormo in una stanza e tu in un’altra”. Lui accettava anche questo, insomma non se ne voleva andare, ma l’impedimento ci fu… Dopo la guerra, nel ‘46 mio padre e mia madre erano vecchi, ero l’ultima di nove fratelli e li dovevo mantenere col lavoro. Lui mi disse di seguirlo a Roma, dove aveva trovato una sistemazione. Sai quella storia del fratello e del marito? Frati nun’haiu e mariti ni pozzu aviri. Non potevo allontanarmi da Catania, così lui andò per la sua strada e io restai qui. E poi, chi me lo faceva fare a maritarmi? Per mettermi in casa uno uguale a mio padre? A me non piaceva farmi comandare e arristai signurina. Parola dopo parola, sempre appoggiata al muro, la signora anziana si allontanava dalla finestra.
Signora, dove sta andando quindi?
Vado da alcuni che mi devono i soldi dell’affitto: quindici mesi, le sembrano abbastanza? Il Signore dice “accettarono con benevolenza la ruberia degli altri” ma io non sono perfetta e per migliorare di tempo ne ho ancora.
Signora signora, ma la casa è un diritto, perchè non gliela regala visto che lei ne ha già una?
Lei riflette un attimo.
Perchè cill’ha lassari ‘e me niputi! Anche se u nicu, con la scusa che alla moglie non piaceva, non se l’è presa…
Con la mano sinistra arriva a prendere l’angolo del palazzo, la destra tiene ancora il bastone.
Allora signora vada piano mi raccomando, la prossima volta la facciamo questa intervista!
La vecchina scompare da dietro lo spigolo senza dire niente. Aveva le scarpe ricoperte da stoffa, nera, sul viso rughe profonde e gli occhi grandi da bambina.