Alberto Incarbone
“Oh Marcello, cinn’è postu?” “Se, ancora n’autri quattru”.
C’era freddo la sera del cinque febbraio: Sant’Agata saliva lenta da via Caronda, Catania era in festa mentre Franco faceva il posteggiatore. Con altri amici aveva occupato due aree vicino al teatro Ambasciatori: lui insieme a Totò e Marcello ne gestivano una, per loro era la prima volta.
“Siamo qui dalle tre del pomeriggio: abbiamo sistemato la zona, spostato i cassonetti per fare più posto”. Totò parla, dice di venire da Rosolini, gesticola molto mentre si rolla le sigarette: “All’inizio c’è stato un momento di panico. Una persona ha parcheggiato davanti all’ingresso di una grossa macelleria ed è sparita. Poi è arrivato un camion, l’autista minacciava di denunciarci perché non poteva entrare e siamo scappati. Per fortuna si è risolto tutto, poco dopo siamo tornati”.
Accanto c’è Marcello, più silenzioso, un’ex muratore con le braccia incrociate al petto per farsi calore: “L’umidità, è l’umidità” commenta. Racconta che ad un certo punto sono arrivati i vigili urbani per chiudere il parco qui vicino: hanno chiesto qualcosa, forse cercavano qualcuno, poi se ne sono andati tranquilli.
Franco osserva la strada. È totalmente coperto, ha un cappuccio e una sciarpa attorno la faccia: “Non vorrei farmi riconoscere” ammette. Lui è uno studente di lettere, licenziato da poco come cameriere: “Fare il posteggiatore è semplice – continua Franco – basta che avvisi il capo del quartiere. E non devi dividere il guadagno, lo tieni tutto per te. In pratica funziona come la questura, non gli devi chiedere il permesso, lo devi solo avvisare.” E siccome “sì ddo quatteri”, non hai problemi con la mafia, anzi sei una persona da aiutare.
Nel frattempo arrivano le macchine, la gente parcheggia e uno dei tre va incontro a chi scende dall’auto. Oggi si paga un euro, un prezzo basso per la festa di Sant’Agata. Un uomo dà i soldi e si allontana con la famiglia, ma le reazioni non sono tutte le stesse. C’è chi ignora e se ne va, c’è chi vuole pagare dopo o non lo fa proprio. E non mancano gli incontri particolari.
Verso le otto arriva un tizio a bordo di una Lancia Ypsilon lucida e nera, Franco gli dice: “Guardi, a mittissi cà”. E indica la linea che divide la carreggiata.
Il tizio preoccupato risponde: “Ma unni, ammenz’a strada?”
“Non si preoccupi – continua Franco – ca iù fici a scola”.
Quello scoppia a ridere e apre la portiera. Era alto e grosso, con gli occhiali: “Viri ca iù sugnu speciale”. Allarga il braccio e mostra la targa, che sopra i numeri aveva questa scritta. “Iè proprio u me cognomi”.
Subito un altro accosta, ma Franco gli consiglia di spostarsi, l’auto blocca il passaggio. “Tranquillo – fa’ il guidatore – la ritrovo anche se qualcuno se la porta via”. Era un tipo giovane, sulla trentina, accompagnato da una ragazza. “Scusi – domanda Franco – ma lei che lavoro fa?”
“Non si vede?” ribatte divertito il giovane.
“Non mi dica che è della digos! – esclama il posteggiatore – Se vuole possiamo fare amicizia”. Il giovane sorride e chiude lo sportello, paga e se ne va.
Verso le due di notte si conta l’incasso: cinquanta euro ciascuno. Di solito in queste occasioni se ne guadagnano settanta. Ognuno se ne torna a casa a dormire, domani è vacanza. Prima di lasciarlo andare, l’ultima domanda: “Franco, lo rifaresti?”. Lui non risponde e si mette le mani in tasca.