Alberto Incarbone
Arriva il sottosegretario Faraone. Vietato fargli domande. Parla parla, poi se la svigna per un’uscita secondaria e non si fa vedere più.
All’Archimede di Catania l’aula magna è piena di ragazzi della seconda liceo, c’è un gran vocio.
”Chi deve venire?”
”Faraone”
”E chi è?”
Il Sottosegretario all’Istruzione entra, le professoresse fanno segno: “Silenzio!”. L’Onorevole è qui per la gara d’informatica nazionale. In terza fila due ragazzi in maglietta e bermuda, in quarta fila dieci ispettori della Digos.
“Voi due, che ci fate qui? Non eravate invitati!”. La preside li rimprovera a bassa voce, i due restano seduti. “Le scuole – sta comiziando Faraone – sono presidio di legalità…”. La preside si arrende e ci prova un agente, tocca gentilmente la spalla di uno dei due ragazzi: “Puoi venire fuori un attimo? Ti vorrei parlare”. Quello non gli dà conto e si volta di nuovo.
A un certo punto, quando Faraone sta per finire, Simone e William si alzano con un foglio fra le mani: “Vorremmo leggere questa lettera, se non le dispiace”. “Per queste cose c’è la mia email – risponde sorridendo Faraone – vi ringrazio”. “Magari – concede poi – dopo le interviste…”. Ma nient’affatto: appena i giornalisti abbassano i microfoni Faraone vola via dall’uscita secondaria, accompagnato da uno stormo di agenti.
I due ragazzi, rappresentanti d’istituto, lo aspettano invano insieme agli altri all’entrata di via XX Settembre.
Stendono uno striscione e poi finalmente leggono la famosa lettera. Ma ad ascoltarli è rimasta solo una pattuglia di polizia e alcuni agenti della Digos, appoggiati alle macchine. E il quindici settembre, fa caldo, la scuola è appena iniziata.