di Elio Camilleri
Una sera d’estate a cena in una casa all’Arenella e da fuori arriva il fresco del mare e la solita canzone sparata a tutto volume. Lia spara in faccia al padre la sua canzone di libertà: vuole andare a vivere per i fatti suoi, il padre si alza e le si avvicina e, appena di fronte, le sputa in faccia.
Lui è Antonino Pipitone, boss del quartiere con la benedizione di Totò Riina e Bernardo Provenzano e non intende subire gli insopportabili, per lui, progetti di autonomia e libertà da sempre manifestati dalla figlia.
Lei, Lia, da ragazza voleva riempire di gioia e spensieratezza tutti i giorni, uno dopo l’altro con i suoi compagni di scuola, con lo shopping in via Roma, con le belle poesie di Neruda nelle giornate al mare dell’Arenella.
Se ne andò pure con un suo compagno di scuola, fuggendo da casa per nascondersi lontano dal padre; lui la fece cercare e la trovarono in un paesino e la portarono a casa con il marito.
Nel quartiere era quasi un mito e, quando Lia comunicò al padre che se ne voleva andare con un altro fu per lei l’inizio della fine: Verso la fine di settembre del 1983 fu fatta ammazzare dal padre mentre si trovava in un negozio e l’agguato fu mascherato da una finta rapina.
Il padre risultò assolto perché non ci furono testimonianze dirette ma solo di seconda mano o, come si dice, “de relato”. Né si riusci a fare luce su un finto o forzato suicidio di un cugino di Lia al quale lei confidava i suoi segreti e che lui considerava come una sorella.
Questa “scheggia” riprende in modo molto sommario il libro di Salvo Pazzolo dal titolo “Se muoio sopravvivimi” e, come tutte le altre, è stata scritta per saperne un po’ di più sulle persone di Sicilia nel contesto mafioso e, soprattutto, per non dimenticare.