Catania – A fera ‘o luni dopo gli scontri di luglio
di Ivana Sciacca , foto di Mario Libertini
Il chiacchiericcio è più lento, poche persone, in certe vie c’è quasi silenzio. Nelle traverse di Corso Sicilia, presidi di vigili urbani “controllano” la situazione. Dopo la guerriglia dello scorso 19 luglio tra venditori catanesi e senegalesi, qualcosa è cambiato a fera ‘o luni. Non c’è quasi nessuno dei ragazzi di colore che vendevano borse, scarpe, custodie per cellulari. Un cinese è poco più in là, con una piccola macchina da cucito sul marciapiede. Una piccola fila di persone ha indumenti da farsi accorciare, rammendare, aggiustare. Alì, poco più che ventenne, chiede se servono scarpe, poi si impaurisce “Non so niente, non c’ero, parla con loro, non so niente, ciao”. Continua a guardarsi intorno, mentre il cinese non distoglie lo sguardo dall’ago della macchina. L’esercito con le buste giganti è stato decimato. Ma in alcuni marciapiedi, quasi nascosto, qualcuno con le mani in tasca continua a cercare gli occhi dei possibili clienti. Mohamed ha trent’anni e pare aspetti anche lui, con la busta vicina ai piedi.
C’eri il 19 luglio scorso? “C’ero, io da sette anni sono qua. Qui c’è quel signore” – Orazio Salice, unico indagato per la rissa alla fiera – “che da sette anni, ogni giorno, ogni volta, ci butta cartoni, si lamenta con noi stranieri. Noi non reagiamo. Lo sappiamo che questo non è il nostro paese, e infatti anche ai nostri colleghi diciamo di lasciare stare. Fino a quel giorno che è successa quella cosa. Lui è venuto e ha detto che dovevamo togliere i cartoni. E i ragazzi hanno detto va bene. Viene un altro suo amico, comincia a insultare e a dare colpa a un senegalese. E lui viene con una sbarra di ferro, e i senegalesi cosa vogliono? Che stanno fermi? Hanno cominciato a lanciare cose a noi, e noi a loro. Non è successo niente. Così è salito sul furgone e ha cercato di metterci sotto”.
Nei giorni seguenti cos’è successo? “È venuta la Polizia, ci ha mandati via. Molti ragazzi se ne sono andati in mercati di fuori”. Avete denunciato? “Certo, ma non hanno fatto niente. La cosa è rimasta così, lui lavora tranquillo”. Voi? “È un po’ brutto. Quando chiedi agli altri che hanno visto la scena, non dicono la verità. Danno sempre ragione a lui. Noi in Italia vorremmo vivere tranquilli. Lavorare e andare a casa. Solo questo. Perché se volevamo fare altre cose, le facevamo. Ma quando uno viene solo per lavorare, uno arriva, lavora e va a casa. Senza vendere altre cose. Io sono arrivato in Italia nove anni fa, dal Senegal. Vorrebbero i posti sul marciapiede e quindi se ci vedono stare là si incazzano, e se la prendono con noi. Non tutti. Alcuni catanesi dicono Ha sbagliato! Ma davanti alla Polizia non dicono questo, cambiano parola. Anche l’altra volta, io ero seduto là, con quei signori che sono bravi. Quello lì viene e dice Questi li dobbiamo sparare a uno a uno. Davanti a loro l’ha detto, e loro non hanno detto niente. Questo è il fatto. Se lo faceva un senegalese che prendeva il furgone, dicevano Ah questo è terrorista internazionale! Se lo fa uno di qua non succede niente. Questo è il problema. Non è giusto. Perché questo mondo è fatto così: tanti si spostano. Alcuni vanno qua, altri vanno là. È così da tanto tempo. Tanti sono in America, in Germania, in tutto il mondo. Ognuno cerca di migliorarsi. Ma non si può migliorare così, perché noi non siamo qua per litigare. Possiamo litigare io e te, può capitare, no? Ma quando io prendo un’arma per fare male, è brutto. O prendi un furgone per investire le persone: fai così la prima volta, non prendi nessuno. E allora fai marcia indietro e ci riprovi. Ma loro, tutti quelli che erano qua, hanno visto queste cose e hanno taciuto. È questo che fa male, non è bello. In questo mondo non c’è giustizia: chi ha di più, comanda. Ma non è così, non è così… Se lo faceva un tunisino, un marocchino o un egiziano era terrorista. E quindi di cosa stiamo parlando? Sempre le stesse cose”.
Andando via, gli spazi tra le bancarelle sembrano incolmabili. Quelle abusive adesso sono allineate con quelle in regola per una parvenza di ordine. Non ci sono i napoletani che fanno il gioco delle tre carte col banchetto con le ruote. Molte magliette e scarpe “firmate” troneggiano sulle bancarelle. “Qua funziona così…” ripete un nonnetto che prende il sole sugli scalini della Chiesa del Carmine.
“Acqua? Thè alla pesca? Al limone?” bottigliette e lattine ammassate su una lastra di ghiaccio, dentro un vascone azzurro. Antonino ha l’età di Mohamed e fa il suo stesso lavoro. Com’è qui dopo il 19 luglio? “Più tranquillo, c’è il presidio dei vigili urbani e li hanno fatti andare via”. Ha le scarpe consunte, “Ti sembra giusto? Parlano di razzismo a casa nostra! Poi uno che dovrebbe fare? Uno quando vede un nero lo dovrebbe eliminare così elimina il problema alla radice”. Pare andarsene, poi ci ripensa e torna indietro “Però non sono tutti gli stessi. Questo bisogna dirlo”.