di Vivian Ley
“Ju nasciu fimmina ma libera comu a tutti l’omini do munnu”
Chi sono le donne oggi? Poverette bisognose di cura e protezione da parte dell’uomo? No. I “fimmini” di tutto il mondo sono donne coraggiose che lottano quotidianamente per liberarsi dalla sottomissione del patriarcato, del maschilismo imperante che ci vuole tutte servili e sottomesse alla volontà maschile.
Il primo uomo che amiamo è il padre, esempio di buone virtù quando è un padre buono, esempio di maschilismo e misoginia (odio radicato nei confronti della donna) quando la sua personalità è modellata sulla visione maschilista della società. “Ma chi boli riri maschilista”? Maschilista è l’uomo che vede la donna una creatura inferiore, da sottomettere e dominare, sulla quale esercitare un controllo fisico e mentale. Fisico perché le cuce addosso dei ruoli prestabiliti e socialmente condivisi: cioè la donna può essere madre, moglie, sorella e amante.
Se non ricopre uno di questi ruoli modello, chiamati “stereotipi di genere”, non viene riconosciuta, la sua dignità è lesa fino a negare il suo diritto di esistere. E quando una donna non si riconosce in nessuno di questi ruoli che cosa può fare? Il primo passo verso una nuova consapevolezza di se stessa è accettare la propria indipendenza individuale, e rivendicare i propri diritti, investire su di sé e autodeterminarsi, senza mai cercare l’approvazione del maschio, della famiglia di provenienza e l’accettazione sociale.
Cominciare a studiare, a lavorare, a leggere, a frequentare altre donne che la pensano come lei, a sentire di essere un soggetto che ha una propria testa pensante, con una volontà ben precisa, che è in grado di prendere le proprie decisioni in autonomia. A che punto sono le donne di tutto il mondo? Molti passi avanti sono stati fatti, ma ancora tanto lavoro va trasformato in azioni concrete e rivendicazioni di libertà da modelli culturali che vanno smontanti e rimontati a favore di una maggiore giustizia nei confronti delle donne.
Se da una parte il femminismo più radicale ha abbandonato la solidarietà verso le donne più fragili, -che non hanno uno stato di coscienza risvegliato, ma che sono succubi di se stesse, per abbracciare una causa politica che rivendica diritti pari se non maggiori rispetto a quelli degli uomini, indossando esattamente i panni, le modalità e i codici espressivi dell’oppressore, per uno strano meccanismo psicologico che vede la vittima rivestire i panni del proprio carnefice,- di contro c’è anche una volontà agente più sotterranea che invita al risveglio e alla presa di coscienza di sé, incitando tutte noi alla fratellanza, al sostegno comune, lontano dalla retorica tradizionalista, ma reale contributo della presenza delle donne nella vita delle altre donne, di questa sorellanza indispensabile per creare un terreno fertile dove essere forti e vittoriose, quanto meno nel combattere fortemente la carneficina delle donne ammazzate dalle mani del compagno che aderente a una visione maschilista e patriarcale della società percepisce la donna come un oggetto al pari di un mobile, di una casa, di un bene di uso e consumo, oltraggiando la dignità delle donne, non solo di quelle che sono uccise secondo questa modalità, ma di tutte le donne che combattono in prima linea affinché tutto questo non accada più.
Iniziamo noi donne: ogni volta che sentiamo raccontare di un uomo che ha ammazzato come fosse carne da macello un’altra donna, esprimiamo il nostro disprezzo per l’assassino, e per tutti coloro che non lo fanno, che la vergogna pubblica sia il terreno fertile sul quale erigere la nostra forza di donne consapevoli.