Lo Stato non c’è ma manda messaggi di solidarietà
di Ivana Sciacca
Don Ciotti è il fondatore di Libera, l’associazione che gestisce i beni confiscati alla mafia e fa in modo che possano tornare ad essere fruibili alla collettività: è stato in grado di fornire, con il suo esempio pratico, un’alternativa alla logica del sopruso di cui la mafia si nutre.
Don Puglisi è stato uno come lui: tolse dalla strada ragazzi e bambini che senza il suo aiuto sarebbero stati utilizzati come manovalanza mafiosa. Il fatto che togliesse giovani alla mafia fu la principale causa dell’ostilità dei boss che lo consideravano un ostacolo. Lo trucidarono il giorno del suo 56º compleanno davanti al portone di casa: qualcuno lo chiamò, lui si voltò mentre qualcun altro gli scivolò alle spalle e gli esplose alcuni colpi alla nuca. Correva l’anno 1993.
14 settembre 2013. Totò Riina viene intercettato mentre confessa amichevolmente al “collega boss” Alberto Lorusso il suo sdegno per un parroco come Don Ciotti (così simile a Don Puglisi!) che si ostina a voler comandare il territorio invece di limitarsi a fare il “parrinu”. Intercettazioni rese note che suscitano, oltre che ribrezzo, anche diversi interrogativi che non si capisce se verranno mai fugati…
Innanzitutto insospettisce parecchio il fatto che un detenuto sottoposto al carcere duro (al 41 bis per intenderci) si ritrovi a passeggiare sottobraccio con un altro e a parlare spudoratamente di come gli farebbe piacere ammazzare un parroco con la stessa semplicità con cui si parlerebbe del tempo, se piove o c’è il sole. Che si tratti di un “ingenuo” commediante o è davvero indifferente a tutti i tipi di controllo cui sa di essere sottoposto? Non si capisce.
Ma non si capisce nemmeno come faccia ad assumere lo stesso tono autoritario che probabilmente adottava anche quando era a piede libero e si dilettava a fare esplodere auto con dentro giudici e scorte, o progettava come sciogliere bambini nell’acido…
Indispettisce anche il perché questo tipo di intercettazioni vengano rese pubbliche. In fin dei conti l’ammirevole Don Ciotti potrebbe essere tutelato anche se dichiarazioni del genere non venissero divulgate dai mass media. A primo impatto viene da pensare che intimidazioni del genere da parte di un personaggio come Riina siano assolutamente da condannare (e per carità: lo sono eccome!) e da rendere note affinché la coscienza dei cittadini stia sempre all’erta verso le mafie e le loro atrocità. Solo che… non si rischia di dare troppa visibilità ad un mostro che non ne merita affatto?
Chiaramente le maggiori figure istituzionali hanno espresso la loro solidarietà a Don Ciotti, questo parroco che da anni promuove la cultura della legalità: si poteva forse perdere un’occasione del genere per cercare di sembrare “buoni e bravi”? No!
Ma piuttosto che districarsi in discorsetti ormai triti e ritriti le suddette figure istituzionali (specie quelle che rappresentano lo Stato) potrebbero, anzi dovrebbero prodigarsi per fare qualcosa di veramente concreto in tutte quelle terre, in tutti quei quartieri dove il disagio sociale è la norma: territori che vengono puntualmente stuprati dal potere mafioso per il semplice motivo che qui lo Stato non c’è né c’è mai stato.
In questi posti le figure istituzionali non si spingono mai, sanno che esistono per sentito dire e molto spesso li usano per costellarci i loro discorsi pieni di solidarietà. Ma la solidarietà non può essere soltanto una parola vuota da usare a convenienza…
Chi vive nel disagio sociale non può mangiare la parola “solidarietà”.
Don Ciotti ha parlato di cittadini a tempo pieno nella sua replica: cittadini che cercano, nel loro piccolo, di colmare tutti quegli abissi sociali che a volte sembrano davvero senza fondo… Gente comune che magari non ha alcuna visibilità su nessun giornale o rete televisiva ma che assume un’importanza fondamentale per ciò che riesce a fare quotidianamente in queste zone di degrado dove le persone sono abbandonate a loro stesse e, ancora peggio, al potere mafioso. È logico che con tutta la buona volontà di questo mondo questi cittadini a tempo pieno non potranno mai sopperire all’assenza dello Stato ma questo è il modo che hanno per esprimere solidarietà: AGENDO.
Sono loro la speranza. Non i chiacchieroni.