Ospedali

Mentre si inaugura il Pronto Soccorso con le hostess, Catania-sud rischia una guerra tra poveri.

testo e foto di Leandro Perrotta, giornalista e presidente Comitato Librino Attivo

La manifestazione svolta nel quartiere il 17 novembre 2018

«Librino: due passi dal cimitero, 2 ore dal pronto soccorso», è stato uno dei cartelli più fotografati nel corso della grande manifestazione svolta nel quartiere il 17 novembre scorso. Oggetto della protesta dei cittadini, dal titolo #prontosoccorsosanmarcoaperto, è stata naturalmente la richiesta di apertura del punto di emergenza del grande ospedale, praticamente pronto, ma per la cui apertura si susseguono da anni le date di inaugurazione prontamente disattese.

La prima, a memoria di librinese, è stata febbraio 2014. Adesso, cinque anni dopo, l’assessore regionale Ruggero Razza rassicura che «a fine febbraio ci sarà l’apertura». Ma il punto non è tanto se aprirà un ospedale finanziato con ingenti fondi europei, che impongono alla Regione Siciliana l’inaugurazione a marzo, quanto il come. E, per quanto a noi cittadini di periferia è dato sapere, questa apertura sarà solo un ennesima lotta tra poveri: al San Marco di Librino verrà trasferito lo storico ospedale Santo Bambino.

E probabilmente, come i tanti medici e operatori sanitari che ci tengono costantemente informati di quanto avviene nei confusi ambienti della Sanità ormai ipotizzano da tempo,  l’unico Pronto Soccorso che sorgerà mai a Librino nel corso del 2019 sarà quello pediatrico. Verrà sottratto sempre all’ospedale Vittorio Emanuele, già svuotato di reparti e naturalmente del punto di emergenza principale in favore del Policlinico universitario di Via Santa Sofia, dove si narra che a ricevere i degenti vi siano addirittura delle hostess.

Intendiamoci, cari lettori de “I Cordai”: a Librino, quartiere giovane ma che esiste ormai da 40 anni, siamo abituati a dover spostarci per usufruire dei servizi essenziali. Il pronto soccorso in via Plebiscito o in piazza Santa Maria di Gesù, quello del Garibaldi, poco ci cambia: siamo gente di buon senso abituata a dover fare un po’ di fatica anche per le cose semplici. Ma sapere che un ospedale mastodontico, costruito in un totale di 15 anni e costato centinaia di milioni potrà funzionare solo sottraendo a un altro quartiere popolare il proprio ospedale, non è qualcosa che ci lascia sereni. L’ospedale lo vogliamo per una questione diversa e più profonda dall’emergenza medica: vogliamo essere parte della città, averne i servizi e non solo i problemi.

Del resto la voglia di mettere al centro del dibattito su Librino i servizi mancanti è ormai da 15 anni l’obiettivo principale del Comitato Librino Attivo, di cui da luglio del 2018 ho l’onore di essere il presidente. Qualcuno potrebbe obiettare che in questi anni il Comitato non ha mai fatto grandi battaglie, non è mai intervenuto su grandi temi, non è stato in fondo un vero soggetto politico. In effetti il comitato si è occupato di questioni iperlocali: la mancanza di acqua, la mancanza di manutenzioni nei palazzoni, la mancanza di illuminazione nelle strade, la mancanza delle strade persino.

Da queste problematiche, che in altre parti della città potrebbero sembrare poco più che beghe condominiali, è nata nel 2007 la “Rete Piattaforma per Librino”, che oggi conta 20 tra associazioni scuole e parrocchie del quartiere. Tra i risultati raggiunti c’è stata l’apertura dei primi istituti superiori nel quartiere che conta la popolazione più giovane di Catania: il 20 per cento degli abitanti è in età scolare. Certo, lo abbiamo ottenuto ma solo grazie a uno stratagemma: i nostri non sono istituti superiori, ma istituti omnicompensivi. In pratica le scuole dove i bambini fanno normalmente il percorso scolastico fino alla licenza media da noi permettono di ottenere un diploma.

Si tratta di realtà create istituzionalmente per territori aspri e irraggiungibili come le comunità montane o le isole molto lontane. Librino, quartiere della decima città d’Italia, deve insomma per ottenere i diritti fondamentali far finta di essere Lampedusa. Il San Marco aperto ma con solo pochi reparti al fronte del centro storico cittadino svuotato degli storici ospedali non è quello che vogliamo. Si tratta di un concetto ribadito nelle riunioni per organizzare con un’altra rete di associazioni del quartiere – la “”Rete Sociale Librino” -, la manifestazione dello scorso novembre per il San Marco con pronto soccorso.

Perché senza Pronto Soccorso, ovvero senza i reparti fondamentali per affrontate le emergenze, un grande ospedale all’ingresso della città non ha senso di esistere. Così come non ce l’ha un pronto soccorso messo al centro della caotica circonvallazione e nel quale al posto del personale sanitario ci sono le hostess.