Imparare a cogliere la poesia che ci circonda…
di Ivana Sciacca, foto Ivana Sciacca e Francesco Nicosia
Al GAPA si sta per concludere il primo corso di fotoreportage che ha avuto un buon esito sia per chi vi ha partecipato che per i risultati ottenuti. Ma cosa spinge un gruppo di ragazzi e ragazze a frequentare un corso di fotografia sociale?
Chiunque, nell’era della fotografia a portata di clic grazie a tablet, smarphone e pc, potrebbe porsi questa domanda e dare per scontato che dietro uno scatto non vi sia nulla di che.
Il paradosso è questo: in un’epoca predominata dalle immagini, dove siamo continuamente bombardati da informazioni più o meno inutili, è difficile prendere atto del fatto che scattare una fotografia equivale a fermarsi un istante per cogliere ciò che l’abitudine alla quotidianità nasconde.
In questo corso ci si è ritrovati a dare alla luce, attraverso la luce, ciò che altrimenti sarebbe rimasto celato al nostro sguardo intorpidito dalla routine.
Essendo a sfondo sociale il corso di fotografia organizzato dal GAPA, si è cercato di disseppellire quegli innumerevoli volti di Catania che ci hanno ricondotto alle sue origini di “città partorita dal mare”. Infatti sono stati “foto-raccontati” diversi angoli, un po’ come se si vedessero per la prima volta.
Così si è scoperto che la Pescheria non è solo il luogo pittoresco dove andare a comprare il pesce ma anche un ritrovo sociale per gli anziani, un’attrazione per i turisti incuriositi, un posto dove la ruvidezza delle mani dei pescatori racconta la fatica di un duro lavoro che in qualche caso sarà tramandato ai più piccoli che trovi già lì, annoiati tra i banconi, a sbirciare il loro futuro.
Il quartiere della Civita invece è apparso come un figlio separato dalla madre che ancora invoca la sua presenza, che ancora soffre per la sua assenza: i pochi pescatori che rammendano le reti, le case terrane con le sfumature verdi e azzurre, persino i nomi delle vie, tutto richiama il mare, mentre i bambini giocano nei vicoli come rincorrendo un ricordo di ciò che è stato e non sarà più…
E infine esplorando il quartiere di Ognina il sudore dei pescatori è unito a quello di chi va lì per abbronzarsi e rilassarsi; le imbarcazioni di legno, semplici e colorate, si confondono con le barche cabinate di chi interpreta la parte del Briatore in miniatura… La Chiesa di Santa Maria di Ognina benedice dal fondo ciò che le scorre davanti e nello stesso tempo sembra distante e sovrana.
In tutti questi posti la parola che viene sempre a mancare è VALORIZZAZIONE: infatti tutto sembra trascurato, come se il tempo si fosse fermato, scaraventando luoghi e persone nel dimenticatoio e impoverendoli nella loro naturale bellezza.
Se in altri posti del mondo si è in grado di valorizzare anche un cassonetto della spazzatura, da noi continua a sembrare complicato saper conferire dignità ai luoghi artistici che ci circondano.
Gli scatti fotografici di ogni partecipante del corso sono stati visionati e discussi collettivamente: guardare attraverso gli occhi degli altri è stato un modo per valicare le proprie barriere mentali e spalancare ulteriormente lo sguardo. E’ stato come scattare una seconda volta.
Agli “aspiranti fotoreporter” è venuto il piacevole dubbio che per capire chi siamo stati, ma soprattutto per scoprire chi vorremmo essere domani, è proprio di uno sguardo collettivo che c’è bisogno: confrontarsi per scoprire, confrontarsi per evolversi è stata la morale di questa coinvolgente esperienza.
E. Erwitt diceva che “tutti possono scrivere ma pochi sono i poeti” per evidenziare la differenza tra chi fotografa col cuore, prima ancora che con gli occhi, e tutti coloro che lo fanno come fosse solo un gesto meccanico. Questo corso probabilmente non ha reso i partecipanti dei poeti ma li ha messi nelle condizioni di cogliere la poesia in ciò che ci circonda.