Restiamo, Ricordiamo e Rilanciamo

Come il GApa entrò nella mia famiglia, Marcella Giammusso

Nel 1991 il GAPA è entrato nella mia vita e nella mia famiglia e non ne è più uscito. Il GAPA Ha visto crescere i miei figli ed ora che sono nonna vede crescere mio nipote. Mi sento ricca di amici, sono le donne del quartiere, i volontari ed i bambini, oggi adulti, che si sono succeduti nei trent’anni e con i quali ho condiviso sogni, emozioni e lotte. Ho avuto modo di conoscere il quartiere di S. Cristoforo nel profondo delle proprie culture e usanze e delle ingiustizie sociali che vi regnano nel totale disinteresse delle istituzioni. I bambini che spesso hanno storie pesanti alle spalle, la forza e la caparbietà delle donne nel mantenere il loro ruolo di mamme e di mogli , la disperazione degli uomini che si arrovellano nelle difficoltà quotidiane per mantenere le proprie famiglie, tutto ciò ha contribuito alla mia crescita morale e politica e mi ha portato alla consapevolezza che in questo quartiere, ma forse in tutta la città, oggi c’è ancora molto da fare forse più di ieri.
Il G.A.P.A. è una goccia d’acqua in un oceano, ma è una goccia che ha dato e ancora dà un contributo alla crescita della gente del quartiere e speranza di cambiamento.

Così decisi di spendermi per il GAPA, Paolo Parisi

Era il 20 luglio 1992 Piazza Giovanni Verga era piena di gente che si stringeva attorno al tribunale di Catania ai giorno dopo l’attentato a Paolo Borsellino che lo aveva visto saltare in aria insieme alla sua scorta. Fra tanta gente vidi Toti insieme ad alcuni ragazzi del GAPA, Fabio, Orazio, Michele ed altri che come me erano venuti in piazza Verga ad esprimere rabbia e dolore per ciò che era accaduto il giorno precedente. Fui sorpreso nel vedere quei ragazzi in quel luogo, mi resi conto che quei “giovani” volontari del G.A.P.A. stavano portando avanti un progetto che dava speranza e cambiamento puntando sui minori. Quel giorno decisi che anch’io dovevo spendermi per fare qualcosa di concreto e da allora iniziai a frequentare il centro di via delle Calcare presso la succursale dell’Andrea Doria e successivamente nel 2002 la nostra nuova “casa volante” di Via Cordai, sentendomi risucchiare sempre più dal G.A.P.A. come in un vortice.
Da quel giorno sono trascorsi quasi 26 anni ho visto coinvolgere in questo progetto tanti volontari che insieme ai ragazzi e famiglie del quartiere di San Cristoforo hanno dato un contributo a far crescere la nostra Associazione.

TRENT’ANNI e il sogno continua, Giovanni Caruso

La disobbedienza è una virtù.

1992, la strage di Capaci ci aveva lasciati sgomenti. Toti durante l’assemblea disse “Non possiamo restare indifferenti davanti a questa ferita che merita una cura, seguita da una risposta forte”. Abitammo la scuola “A. Doria” per settanta giorni: un’estate a giocare, creare, protestare, a capire il quartiere e farci capire.
Eravamo nel quartiere dal 1988 per fare doposcuola e tanto altro. Avevo conosciuto ragazzi dagli occhi grandi e vispi. Chiedevano qualcosa che non sempre capivo. In particolare gli occhi di Ninuzzu, che quando mi incontrava mi chiamava u giganti e mi scalava fin sopra la testa. Quelli di Luca, che non voleva saperne di scuola e che mi confidò “l’amici di me patri mi resunu ni manu na calibro 38, e poi mi rissunu ‘tu ha diventari come to patri uomo d’onore’.” E così fu, fino a quando finì sul selciato di via delle Salette in una pozza di sangue.
Anche oggi incontro ragazzi dagli occhi grandi. Uno mi ricorda tanto Luca, e mi fa pensare che dovremmo fare di più per non fargli fare la stessa fine. In quell’estate del ‘92 incontrai Gianbattista Scidà. Sono da trent’anni a San Cristoforo, e sono ancora forti le sue parole. Gli abbiamo intitolato la biblioteca del GAPA e il Giardino di Scidà, bene confiscato ai Santapaola che oggi rivive in libertà alla faccia della mafia.
In attesa che la primavera, che tarda ad arrivare, la resistenza e il nostro sogno continua!

 

Il GAPA come uno specchio, Toti Domina

Le storie incontrate in questi primi trent’anni al GAPA ti richiedono verità, il GAPA funziona come uno specchio, ti costringe a guardarti dentro e passa ai raggi X le scelte che hai fatto, che fai e che farai. È difficile guardare negli occhi questi bambini e queste bambine senza mettersi in gioco, senza poi scegliere, anche nel tuo quotidiano, ciò che è la cosa giusta per loro, per te, per questa terra.

Il Gapa compie trent’anni, Salvatore Ruggieri

Il Gapa compie trent’anni. Quasi quanti i miei che ne ho appena uno in più e ne ho passati in questo meraviglioso contenitore di idee ed attivismo parecchi. Un passaggio importante. È il momento di assimilare, tradurre, elaborare a fondo tutte le esperienze e metterle a frutto. Il passaggio alla fase adulta, dopo un percorso di iniziazione durato a lungo. È l’ora degli oneri, dell’assunzione della responsabilità nei confronti della società. Dall’alto della sua esperienza, ma anche della sua freschezza giovanile, il Gapa ha il compito adesso di presentarsi alla città in una nuova veste e proporsi con decisione come attore di rilievo il cui dovere è quello di indirizzare le dinamiche socio-culturali catanesi verso binari di giustizia ed equità sociale. La stella polare è quella dell’Antimafia. Gli strumenti quelli della gestione comunicativa con linguaggi nuovi, conflittuali ma non violenti, di apertura.. Ecco il Gapa è oggi un bellissimo giovane adulto che ha tutti gli occhi puntati addosso. Auguri Gapa!

La grande famiglia del GAPA, Salvo Vazzana

Mi sono avvicinato al GAPA otto anni fa, quando mi sono reso conto che per lavoro o per volontariato passavo troppo tempo nel “mondo virtuale” e invece bisognava anche “agire assolutamente”, dare una mano concreta in quelle realtà piene di bisogni che a Catania non mancano. Conoscendo Paolo e Marcella mi sono avvicinato al GAPA e a San Cristoforo. Ho cominciato con il doposcuola, non avevo esperienza di bambini e perciò pensavo “Io, speriamo che me la cavo…”. 
Poi ho partecipato alle prime riunioni e ho conosciuto meglio la grande famiglia del GAPA: grande di cuore, grande nell’impegno con i ragazzi del quartiere per portarli sulla buona strada e grande con gli adulti per coinvolgerli in attività ricreative. Una famiglia vera. 
Ora mi occupo del “lavoro che non c’è” e che vorrei trovare per tutte quelle brave persone che ne hanno bisogno con urgenza: quante cose sarebbero diverse se ci fosse! 
C’è ancora da fare nel quartiere e da fare in modo nuovo; ma i nostri giovani hanno buone idee e quindi… lunga vita al Gapa!

Il morso di Aurora, Ivana Sciacca

Il GAPA lascia il segno. A me l’ha lasciato quando sono arrivata e Aurora non voleva fare i compiti e mi ha dato un morso sul braccio, per rabbia e per gioco e faceva male davvero. Poi Aurora non è venuta più – e ha fatto più male del morso – e l’ho incontrata qualche anno dopo in via Plebiscito che era già una signorina.
Per me il GAPA sono le strade di San Cristoforo che attraverso ogni giorno per raggiungerlo. In mezzo alla povertà, al disordine, all’abbandono c’è sempre un bambino che gioca. Con una pistola o una bicicletta mezza arrugginita. Un bambino che cerca uno sguardo, o un altro che invece non fa che sfuggirlo.
Il GAPA è il rifugio dove ripararsi quando c’è la tempesta, la palestra dove ti alleni a diventare grande, e lo fai conquistando il tuo spazio e rispettando gli altri senza esserne schiavo.
Per me il GAPA è non fare finta di niente, e dire serenamente che essere bambini è un diritto che nessuno può togliere. È rifiutare la violenza in tutte le sue forme e barattarla ogni giorno con la gioia della vita. Per me il GAPA è l’esatto contrario della mafia.

Al GAPA stavo bene e sto meglio, Ivana Parisi

Avevo quindici anni quando cominciai a frequentare le attività del G.A.P.A. Stavo bene e davo tutto per scontato. Al G.A.P.A. però scopriì che a molti ragazzi erano negati diversi diritti, come quello di giocare e di vivere sani. Scopriì il quartiere San Cristoforo, l’abbandono degli ultimi, la prepotenza dell’illegalità, l’assenza dello stato e lo sfruttamento del lavoro minorile. Ogni cosa doveva essere controllata. Un quartiere ad alta densità mafiosa.
Intanto però alcuni giovani decisero di “agire assolutamente”: i primi volontari G.A.P.A. che decisero di aiutare gli abitanti del quartiere a riconquistare dignità e diritti. Fu così che cominciarono i pomeriggi di doposcuola, i martedì e i giovedì. Poi ancora i sabati, le domeniche e i campeggi. Le famiglie del quartiere cominciarono a voler bene al G.A.P.A.
Sono passati gli anni, ho conosciuto tanti volontari e tutti rimangono nei miei ricordi. Oggi, a quarant’anni, mi guardo indietro ed è stato difficile ma importante tutto questo. Ne è valsa la pena. Il G.A.P.A. è la mia famiglia e se adesso posso capire la vita è grazie a questa esperienza.  Buon Compleanno G.A.P.A.

Festeggiamo l’impegno e la lotta, Claudio Alonso

Una grande festa ci aspetta. Festeggiamo l’impegno, la lotta, le opportunità, il lungo percorso che c’è alle nostre spalle ma anche il cammino meraviglioso che ancora ci attende, le storie che ancora non conosciamo, le possibilità ancora da creare, le opportunità ancora da offrire, senza pretese impossibili ma mettendo il cuore in tutto quello che facciamo, in tutte le ore trascorse al GAPA con i ragazzi, i bambini, i volontari che ci hanno raccontato la storia, quelli che la stanno scrivendo insieme ai più giovani. Ho cercato di insegnare ai ragazzi a lottare non solo in materassina, ma in strada e nella vita, ho spiegato che l’amicizia, lo scambio reciproco sono la vera forza. Ho ricevuto tanto, le lotte e le delusioni a volte sono state difficili da sopportare ma il GAPA è forza e resistenza. La vera forza del Gapa sono i suoi ragazzi e le loro storie.

La biblioteca del GAPA“G. Scidà”, Bruna Vittordino

Erano scaffali di legno chiaro e impolverato. Lentamente sugli scaffali libri di ogni genere hanno trovato la loro casa. Ogni giorno mi trovo circondata da storie incantate nella biblioteca “G.B. Scidà”, i libri cantano con ardore tutto ciò che hanno dentro, come le storie che abbiamo conosciuto in questi lunghi anni trascorsi qui. La nostra biblioteca è magica come una notte d’inverno davanti al camino.In biblioteca sembra sempre Natale, e vorresti che fosse sempre Natale anche per tutte le persone e i bambini che vivono il Gapa come il loro punto di riferimento, la loro seconda casa. Trent’anni di porte aperte, di braccia aperte, di testimonianze, sguardi che raccontano e persone che ti hanno preso il cuore.

Entrare in quel Gapannone , Mario Libertini

“Da quando vado al GAPA entro a testa alta dentro il quartiere”, mi racconta Giacomo, giovane lottatore del GAPA che da anni riempie il capannone dell’associazione con la sua presenza. Nel frattempo, mentre parliamo, in palestra gli altri ragazzi si allenano con il maestro Claudio, sento le urla incoraggianti e i tonfi rumorosi dei ragazzi che fanno gli esercizi sulla materassina. Giacomo mi guarda con gli occhi sorridenti, ci conosciamo da poco ma sembriamo già grandi amici. La sua vita è stata e continua ad essere più difficile della mia, non riesco a farmene una ragione, abbiamo la stessa età ma due strade parallele, che in barba a tutte le leggi matematiche ad un certo punto si sono incontrate, in quel capannone in via Cordai 47.
Ricordo la risata di Alessandro, bambino marocchino conosciuto la prima volta in cui sono andato ad aiutare Ivana e gli altri volontari di “Scuola e Libertà”. La gentilezza di Alessandro e la sua voglia di giocare, insieme a Simona, Kevin, Samuel, Francesco, Christian e tutti gli altri bambini che affollano i pomeriggi del GAPA, il loro desiderio di una vita normale.

“Quella degli spettacoli del GAPA”, Luisa Mirone

La memoria tende negli anni a esasperare o a edulcorare. Io – me lo sono prefisso come obiettivo dell’età adulta, finché mi assisterà il controllo della ragione, delle emozioni, delle azioni – lavoro affinché la memoria sia onesta. Per questo, se mi metto davanti a questi trent’anni (appena qualcuno in meno, per me, che arrivai al GAPA nel 1990), mi impongo di scongiurare un vocabolario fatto di lemmi enfatici, nel bene e nel male; e di superlativi e di comparativi, che hanno valore solo se si sia stabilito un parametro rispetto al quale essere “più” o “meno” o “uguale”. La tentazione è forte, ma resisterò.
Per me entrare al GAPA ha significato non uscirne, anche quando – di fatto – ho cessato di prendere parte alle attività associative; che è avvenuto comunque dopo parecchi anni: avevo già due figli, Lorenzo folletto nell’ultimo spettacolo a cui partecipai, Maria Clelia avvolta nei plaid, quando al “Gapannone” faceva troppo freddo, e affidata alle cure delle piccole, già in qualche modo segnate da un destino di mamme.
Sono rimasta dentro, tuttavia; dentro una storia che mi ha dato identità (di cittadina, di donna, di essere umano), in un momento epocale singolarmente abbandonato da elementi identitari; dentro una prassi esistenziale – ancor prima e ancor più che politica – che mi rende odiose le fazioni e necessario schierarmi quando serve; dentro le dinamiche relazionali ineludibili per chi cerca il dialogo fra classi diverse e generazioni diverse (e io lo faccio anche per mestiere); dentro la ricerca oltranzistica di strumenti di ricognizione ed espressione delle emozioni.
Per tanto tempo sono stata “quella degli spettacoli del GAPA”; ma quando ha cessato di essere così, quei personaggi estremi eppure veri, quelle favole mancate eppure vive, quei pomeriggi faticosi eppure liberatori, quei volti, quelle mani, quelle voci, e la gioia e gli screzi e le polemiche e le scommesse perse e vinte, tutto questo ha continuato e continua ad abitarmi; e non vuole andar via, e non me la sento di mandarlo via.