Giornalismo. Internet ha superato i cento milioni di utenti in America, due settimane fa. Circa due terzi di loro mandano almeno una e-mail al giorno. Circa un quinto – venti milioni! – hanno una propria pagina web. Almeno un quotidiano americano (“Orem Daily”, Utah) ha lasciato la carta stampata per trasferirsi armi e bagagli sul web. Il “Village Voice” di NY già da un paio d’anni ha: 1ç istituito la versione su web del giornale, ovviamente gratuita; 2ç cominciato a distribuire gratis il giornale su carta nell’area metropolitana (in entrambi i casi i costi sono coperti da banner).
Non è la prima volta che i giornali cambiano, anche se giornalisti ed editori sono – come sempre – gli ultimi a saperlo. Il salto da Gutenberg allo “Spectator” e da questo al “Times” non è stato, a suo tempo, inferiore, né per tecnologie né per culture sottese. Solo che oggi tutto questo avviene in un ambito di massa e in un mondo globalizzato (oops! *avvertitemi* ogni volta che mi metto a parlare in giornalistese).
I salti tecnologici, nella comunicazione, non incidono tanto nel momento in cui vengono elaborati, quanto nel momento in cui vengono digeriti: le nuove tecnologie, in altre parole, non sono decisive in quanto tecnologie, ma in quanto catalizzatrici di nuovi approcci culturali.
Gutenberg inventa – o reinventa – i caratteri mobili, e questa sarebbe già una faccenda abbastanza importante ma non poi così trascendentale; i cinesi coi caratteri di legno ci hanno convissuto pacificamente per alcune centinaia d’anni e senza che nessuno ci facesse gran caso, all’infuori dei mandarini della Celeste Stamperia Imperiale. Ma Gutenberg unisce immediatamente all’innovazione tecnologica un’innovazione culturale: se questo aggeggio serve a far tanti libri, lo uso subito per clonare il libro-base della mia società, la Bibbia, e poi sto a vedere che cosa succede; e nel giro di pochi anni ti arriva la Riforma protestante con annesso rivoluzionamento d’Europa. “Un viaggiatore di ritorno dalle Russie quindici giorni fa ha riferito… “. Ma poi nasce il telegrafo, e allora quello che è successo l’altro ieri a San Pietroburgo diventa immediatamente materia di rivoluzionamento alla Borsa di Londra… E così via. Kipling viaggia con la sola compagnia d’un disegnatore, e la questione anglo-indiana arriva in Occidente sotto una rassicurante veste letteraria; ma la Guerra civile americana è coperta dai primi fotoreporter coi loro enormi treppiedi, e l’umanità scopre improvvisamente una visione completamente diversa della guerra, un po’ meno classica un po’ più brutale.
Ogni singolo salto tecnologico ha funzionato in generale, ma soprattutto in ciò che ha a che fare con la comunicazione, come moltiplicatore dei salti culturali. Quando è arrivata la rotativa, un osservatore attento – o un poeta -¾avrebbe potuto preconizzare non solo le novità del formato, della tiratura e della foliazione, ma anche la catena Hearst, gli incidenti di Cuba, la guerra ispano-americana, e l’inizio dell’espansione politica americana: linearmente, poiché queste cose seguono una logica molto stretta. Internet, le telecomunicazioni, i sistemi di rete vanno letti oggi, probabilmente, da un angolo visuale di questo tipo. Il computer, da questo punto di vista, sta venendo inventato ora. L’automobile ha trasformato il mondo non quando è stata inventata ma quando è nata la Ford T.
(E i giornalisti? Fra tre-quattro anni al massimo, in quanto categoria, semplicemente non esisteremo più; cosa d’altronde non nuova nella storia, visto che una sorte del genere è già toccata ai De Foe, ai Rochefort, ai Kipling – il libellista, l’agitatore, il viaggiatore, le varie categorie in cui di volta in volta s’è incarnato il mestiere. Una via d’uscita ci sarebbe: trasformarsi coerentemente – e continuando lucidamente ad essere giornalisti – in qualcosa di completamente rinnovato, “irregolare”, “strano”).
In Francia, un paio di secoli fa, c’è voluto Waterloo per insegnare ai compagni che ormai bisognava inventare il socialismo, per cambiare le cose, e che Napoleone come strumento rivoluzionario ormai era decisamente obsoleto.
Giubileo: manca qualcosa. Il milleseicento, quello sì che era un giubileo serio (stavo per dire “come dio comanda”). Feste, speculazioni edilizie, casino, sfascio archeologico, pellegrini ma insomma anche qualche momento di spiritualità. Come il rogo – regolarmente iscritto nel Programma giubilare – del rompicazzi Giordano Bruno, fra le bancarelle dei fiori e il cinema Farnese (“no comment” disse il sindaco, che era laico sì ma c’era il giubileo). Gli misero la mordacchia (non al sindaco: a Bruno), sennò avrebbe sbraitato slogan pure mentre lo cospargevano di benzina.
Adesso (“anche oggi, in altre forme, si fa tacere chi pensa in modo critico per i potenti; il silenzio dei mezzi d’informazione è capace di bruciare il pensiero critico di chiunque”) saltano fuori quelli che per il Duemila si son messi in testa di fare la celebrazione, anziché del Giubileo, di Giordano Bruno. A Roma. Il capo è quello stesso Giovanni Franzoni che, ai tempi in cui l’Italia e noi eravamo giovani, s’intestò a voler prendere sul serio, nella sua comunità di San Paolo, nientemeno che il vangelo. A Roma. Un cristiano, insomma. Se lo viene a sapere Nerone…
Commemorando Fanfani: “Al manager Marinotti che aveva licenziato mille operai al Pignone e si rifiutava di incontrare il sindacato dicendo che aveva impegni urgenti all’estero, al Marinotti ritirò a muso duro il passaporto”. “Operai”, “licenziare”, “sindacato”, “governo che interviene”: ma davvero ci vuole un funerale di Fanfani per sentire queste parole messe in fila?
“Vanity Fair”: Hillary vuol divorziare. Capirai: fra la Lewinsky e Benigni…
“Non celebro messa insieme col cardinal Giordano” ha detto don Vitaliano Della Sala, parroco di S. Angelo a Scala vicino Napoli. “Eminenza, ma che c’entrano con la solidarietà i suoi affari?” ha chiesto il giovane cronista a Sua Eminenza, durante la cerimonia ufficiale. Sua Eminenza ha risposto: “Cretino”.
Alla fine risulterà che è innocente. La colpa di tutto l’equivoco risulterà degli occhiali (occhiali neri, da gangster; quello della Famiglia che, su ordine del vecchio lungimirante padrino, è entrato da ragazzo in seminario e s’è fatto prete). Di tutta la storia resterà solo l’eco, a far la spia, della frase “procura di Lagonegro” che evoca irresistibilmente i paesini e i cafoni di Alvaro, di Levi, di Cristo s’è fermato a Eboli (ma forse s’è fermato, il tempo di santificare il cardinale e di far trasferire a Perdasdefogu lo scomodo procuratore).
Roma. Bomba in via Tasso 145, al museo della Resistenza. Durante la guerra c’era la camera di tortura delle Ss. “Muoio per l’Italia”, trovarono scritto a sangue sui muri, dopo la liberazione. Decisero di non cancellare le scritte, perché si ricordasse che cos’era successo a Roma.
Uno dei miei redattori, due anni fa
Il 10 Novembre rimarrà per me una data da ricordare con molto piacere. È iniziato alle ore sette del mattino quando mi è stato detto: oggi per lei è festa. Effettivamente è gran festa. Nel giro di poche ore sono passato da una selva oscura al paradiso. Ho iniziato a muovere i primi tasti al computer. Descrivere le sensazioni che sto provando mi è difficile. L’unica parola che posso dire è che sono rinato. Fino ad un anno fa, prima di arrivare alla Seconda Casa Circondariale di Palermo mi era impensabile pensare di guardare il monitor e scrivere un mio articolo. Oltre sentire il caos cittadino è l’inizio di un futuro senza sbarre, proiettato verso il mondo del lavoro. Tutto ciò oltre che per me, anche per la mia famiglia è motivo di grande soddisfazione. Il solo pensiero di potermi vedere per sole due ore ogni quindici giorni e sapendo che dovevo ritornare in quella stanza, li rattristava profondamente. Adesso i loro visi esprimono gioia da ogni singolo poro, soprattutto perché sanno la felicità che sto provando.
Il 1997 è l’anno più importante della mia vita, l’anno della fiducia e dei cambiamenti, della rinascita e dell’ottimismo. Prima di essere trasferito a Palermo ero molto sfiduciato del lavoro di reinserimento svolto dagli addetti ai lavori; oggi per mia fortuna ho dovuto ricredermi e ho ricordato a me stesso che non bisogna mai generalizzare. Anche in questo ho ricevuto una buona lezione di vita che non potrei mai dimenticare. Da adolescente volevo diplomarmi in ragioneria, ma col passare degli anni ho lasciato nel dimenticatoio ogni sogno, perché pensavo che per ciò che facevo non mi sarebbe servito a nulla. Durante questa detenzione ho ripreso gli studi e nello scorso mese di luglio ho conseguito il diploma di ragioniere. Ho superato molti ostacoli all’interno degli Istituti di Pena, soprattutto in quelli dove non è consuetudine che un detenuto studi. Ce l’ho fatta anche perché, da quando ho preso la decisione di riprendere gli studi ero consapevole che un risultato finale positivo sarebbe stato il lascia passare per un futuro meno tetro del passato.
Però, devo ricordare che ho avuto un aiuto non meno importante del mio impegno e volontà da alcuni docenti volontari, soprattutto da parte del professore V. che due volte la settimana veniva da Trapani a Palermo per darmi delle lezioni. Questo suo sacrificio mi ha scosso profondamente e mi ha fatto riflettere molto sul mio comportamento verso il prossimo, soprattutto mi sono posto una domanda: io l’avrei fatto per un altro essere umano? In verità non saprei, ma sono certo che le premesse sono ottime. Il volontariato è molto utile perché non solo dà un aiuto indispensabile ma riesce a trasmettere molto sul piano morale e sul modo di vivere.
Ringraziare queste persone che hanno fatto tanto per me non è facile, forse il modo migliore e apprezzabile sono queste mie parole, soprattutto testimoniargli che il proprio operato non è stato vano; ha dato dei buoni frutti. Un grazie di cuore a tutti voi.
Antonio Alessandro C.
Diffidate dei titoli
scritti in neretto
nascondono le cose più importanti
Diffidate degli articoli di fondo
delle inserzioni
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delle lettere al direttore
e delle interviste a fine settimana
anche i sondaggi d’opinione
sono manipolati
le notizie varie escogitate
da redattori furbetti
diffidate della terza pagina
delle pagine teatrali – i libri
per lo più sono migliori dei loro recensori
leggete quello che loro hanno sottaciuto
diffidate anche dei poeti
in loro tutto suona
più bello più atemporale
ma non è più vero né giusto
(Horst Bienek, 1930)
È scocciante lanciare sassi nel buio, per quanto uno lo prenda con leggerezza questo esercizio rischia alle volte di fare un po’ ammattire. Le tue lettere contribuiscono quindi alla mia salute mentale, qualunque sia il suo (eventuale) valore.