Cronaca. Lorient. “Un vigile en prison pour avoir torturè son chien”. Un vigile di 32 anni, Michel Nore, è stato condannato a otto mesi di carcere, di cui due condonati, per avere torturato il suo cane. L’uomo, dopo averlo selvaggiamente picchiato, aveva appeso l’animale a un gancio nel suo garage, lasciandolo sospeso là con le zampe posteriori che toccavano appena terra. Avvertite dai vicini, le forze dell’ordine sono intervenute denunciando il vigile, che è stato successivamente – e rapidamente – processato.
Nessun sindacato di vigili e nessun ministro è intervenuto in difesa del Nore, che adesso verrà radiato dal corpo dei vigili per indegnità morale.
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Cronaca. Villepinte. Un colpo di pistola è stato sparato nelle prime ore del giorno, contro la moschea di Villepinte (Seine-Sant-Denis). Il proiettile ha attraversato uno dei vetri blindati del luogo di culto.
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Cronaca. Sarcelles. Un incendio ha devastato l’atrio della scuola ebraica di Sarcelles (Val-D’Oise), senza fare vittime. L’istituzione ebraica Tipheret Israel ospita una scuola materna, una scuola elementare e un liceo. Il sinistro potrebbe essere d’origine criminale.
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Cronaca. Melun. Circa 120 persone, per lo più zingari originari della Romania, hanno manifestato ordinatamente davanti alla prefettura di Melun (Seine-et-Marne). Ottanta famiglie Rom vivono da più di dieci anni in una bidonville presso Senartt, una cittadina del dipartimento. Chiedono una convenzione per la scolarizzazione dei loro figli.
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Maggio francese.
Ma io quel ragazzino lo conosco: quello piccolo là, che corre diagonalmente verso il corteo, così veloce che nessun CRS e nessun facho di questo mondo potrà mai acchiapparlo. Corre cantando qualcosa di cui distinguo solo le rime in “aire” e in “au”: è “svelto, sveglio, spiritoso”, e nero; è tanto parigino quanto la baguette o il pavè. Forse si chiama Abdul, forse Ahmed, non lo so; ma in questo preciso momento, il suo nome – vecchissima conoscenza – è Gavroche.
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Sono stati i ragazzi di Francia, ma più ancora degli universitari i liceali, più ancora dei ragazzi i ragazzini, a mettere nel sacco Le Pen. Le Pen a cui gli adulti della sinistra avevano aperto le porte dividendosi, cavillando, mettendo la testa sotto la sabbia in tutti i modi, e che la destra perbene, quella “tricoloreuse” di Chirac, aveva infine usato essenzialmente come un regalo della provvidenza per mantenere insperatamente la poltrona.
Quando la campana ha suonato, la prima reazione degli adulti è stata il panico; quella dei ragazzi, scendere subito in piazza. È stato questo che ha svegliato la Francia, che dormiva: nel giro di ventiquattr’ore, l’unione contro Le Pen è diventata corale.
Faceva uno strano effetto leggere gli editoriali ben calibrati del Figaro e di Le Monde, gli interrogativi eleganti, i giochi, le distinzioni; Chirac che fondava il partito di Chirac-uno-e-solo, Jospin che ci metteva tre giorni prima di dire “votate contro Le Pen”, l’Arlette oca giuliva che proclamava “abbiamo vinto! il centrosinistra non c’è più”; e in questa vera catastrofe della sinistra e dei moderati, in questa bisanzio politica davanti ai fascisti schierati, arriva impetuosamente dalle piazze l’appello alla lotta dei liceali. “Allons, enfants…”: chi ha scritto la Marsigliese davvero sapeva leggere nel futuro del suo paese.
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La cosa che più faceva impressione, nelle manifestazioni spontanee di queste due settimane, era la sobrietà, la serietà per niente giovanilistica dei cartelli, degli slogan, delle canzoni. A differenza dell’altra volta, quando nei manifesti di sinistra si invocavano indifferentemente la “cause du peuple” e Mao, con tutto quel di allegro, di giocoso, di simpatico, ma anche di vagamente goliardico che ci stava dentro. “Epater les bourjeois”; donde, alla fine, i Rossella e i Mieli.
Ora, invece, nessuno vuole “epater” nessuno; anche nei cortei più giovani, vedi soprattutto una sobria e ferma determinazione. Più “republicain” che “gauchiste” (ma non traducete letteralmente: non è possibile) eppure profondissimamente di sinistra. Ecco: qualcosa di adulto, molto più adulto della sinistra dei “grandi”. Nelle scritte sui muri, uno dei più citati è Victor Hugo.
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(Le Pen: prendete un Bossi, un Sgarbi e un questore Perugini; aggiungete del Deuxieme Bureau e del Sismi e spruzzate un bel po’ di padroncino. Mescolate e riscaldate finchè non raggiunge le dimensioni desiderate).
(Chirac: beh, un Andreotti senza mafia. Qui d’altra parte mafia non ce n’è, salvo un po’ di malavita retrò in Corsica e a Marsiglia che si cerca di usare meglio che si può. Molto meno ironico, comunque, e meno gobbo.)
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Chirac-Jospin, avrebbe vinto Jospin. Le Pen, vecchio politico, ha giocato su questo e ha sfruttato sapientemente (salvo poi denunciarli per dividere gli avversari) una rete di notabili locali, tollerati o forse anche insufflati dagli ambienti chiracchiani (Le Monde parla senz’altro di utilizzo della massoneria). Chirac, a sua volta, ha lasciato prendere il volo a Le Pen e poi, senza concedere nulla alla sinistra, s’è garantito gratis il suo appoggio per l’elezione, e soprattutto per il dopo; avrà una forte (ma non monolitica, e in buona parte manovrabile) opposizione alla sua destra, ma solo isole sparse alla sua sinistra; le proteste sociali, che egli come ogni altro governante globalizzato mette nel conto, non daranno benzina al pericolosissimo ed efficiente (e, particolare non trascurabile, ugonotto) Jospin ma a un demagogo legato ai “patrons” (monsieur Peugeot è ospite fisso alle feste nel castello di Le Pen) nonchè alla destra cattolica, che dall’Opus Dei in poi non è priva di ascolto nella Curia romana.
Di fronte a questi due politiciens efficientissimi e spietati (e mascalzoni: il carnet penale di Le Pen e quello di Chirac gareggiano in “escroqueries” di milioni), gli uomini della sinistra hanno fatto la parte degli sprovveduti. Jospin, sicuramente di sinistra e ottimo amministratore, ha semplicemente dimenticato il fatto di avere metà della sinistra fuori dal suo partito e un terzo della società fuori dalle sue provvidenze sociali. Questa metà della sinistra e questo terzo della società se ne sono andate per conto loro senza che egli minimamente se ne accorgesse o tentasse qualcosa per legarle – come gli era possibile – a sè.
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(“Je n’ai volu pas voter,
c’est la faute a Voltaire,
je n’ai vu pas le facho,
c’est la faute a Rousseau…”).
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Trotskisti, comunisti, verdi, radicali (l’elenco non è in sè dispregiativo, anzi: la sinistra plurale è una bella cosa) e quant’altro, con la loro felice irresponsabilità, hanno fatto il resto: ciascuno deciso a guadagnare il più possibile in termini di visibilità personale, nessuno preoccupato dell’immediato – e non percepito – pericolo comune. (Delle liste giulive francesi, ben tre si richiamavano al trotskismo: ignorando che nella realtà il Trotski vero si battè disperatamente per indurre socialdemocratici e comunisti tedeschi a far fronte unito contro i nazisti).
È come se, in una città liberata dai partigiani dopo aspri scontri, i garibaldini pensassero per prima cosa a organizzare una bella sfilata con tanto di bandiera in testa; e intanto quelli di giustizia e libertà facessero un bel comizio sugli ideali repubblicani, i badogliani l’alzabandiera con tromba e così via. E mentre tutte queste belle e gratificanti – per i comandanti – cerimonie si susseguono, nessuno resta a presidiare le strade e i posti di blocco in periferia: tanto i tedeschi, si pensa, sono ancora lontani.
Solo i ragazzi, in Francia, hanno percepito subito e pienamente la gravità del pericolo. Non hanno perso un attimo a discutere il se e il come. Sono corsi subito in piazza, tutti insieme. Sono stati loro gli unici saggi, l’unica vera sinistra.
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(“Ecco un altro scellerato”.
“Ma guarda un po’ che furfante d’un moccioso!”.
“Non son tranquilli se non rovesciano l’autorità!”.
Gavroche, sdegnoso, si limitò, per rappresaglia, a sollevare col pollice la punta del naso aprendo tutta la mano).
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Non è più possibile usare le elezioni come momento di autoriconoscimento di nicchia. Tutte le elezioni, ormai, sono dei referendum. Non c’entra il sistema elettorale; il bipolarismo, è nella struttura. La società è è cambiata, la democrazia non è affatto più il suo stato naturale. Siamo – padroni contro masse, napoleoni terzi contro cittadini – molto più dentro Marx di quanto ci piacerebbe credere. Siamo spaccati in due classi, con l’unico problema che, per nostra pigrizia, non sappiamo più quali esse siano. Un giorno, torneremo a saperlo. Nel frattempo, però, dobbiamo difendere i diritti minimi e la democrazia.
Questo, qui ed ora, comporta l’unità. Essa nasce più facilmente fra i giovani e fra i senza-diritti che non fra gli integrati e gli adulti; più facilmente nella strada che fra i partiti.
Essere “di rifondazione” o “dei ds” implica, in senso politico, un privilegio. Essere “di sinistra” invece implica rimettersi in gioco, a pelle nuda. Qui ed ora. In Francia i ragazzi semplicemente “di sinistra”, nei fatti, sono stati molto più di sinistra della sinistra targata. C’è un senso profondo, dentro di ciò.
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La globalizzazione, infatti, è anche questo. La democrazia elettorale, in cui siamo cresciuti, è sotto tiro esattamente come le nostre vecchie osterie, che vengono trasformate in McDonald.
Le elezioni, che un tempo erano delle feste popolari in cui ogni sfumatura politica trovava posto, adesso sono state trasformate di fatto in referendum (quando va bene: il presidente degli Stati Uniti viene eletto da magistrati).
A me questo non piace. Ma non posso ordinare tortellini al sugo in un McDonald. E non posso far finta che l’elezione-referendum siano ancora le elezioni a tutto campo di prima. Posso scegliere solo, rudimentalmente, fra freno e acceleratore. Posso solo evitare di finire sfasciato contro un muro.
È la situazione dell’Ottocento: si votava sì, ma si votava solo fino a un certo punto. Non c’era il suffragio universale e non votavano – per esempio – le donne. Oggi, gran parte della popolazione è esclusa di fatto, con l’alienazione culturale, dal diritto al voto. E il voto è limitato a occasioni sempre più circoscritte, in cui peraltro le opzioni sono poche, generalissime e raramente coincidenti con le scelte concrete che la società via via va affrontando.
Ma allora… La sovranità popolare, la scelta dei cittadini, il diritto alle idee? Un giorno, quando saremo riusciti a conquistare qualcosa di analogo a quello che fu allora il suffragio universale (quando cioè saremo in grado di utilizzare per la democrazia le tecnologie) potremo tornare a usare pienamente le elezioni. Oggi come oggi, sono solo un momento in cui si dice sì o no e le gradazioni intermedie non sono ammesse. Servono solo per la difesa, e vanno vissute con serietà e senza illusioni.
Come per i lavoratori dell’ottocento, però, le cose non finiscono qui. La società civile è sempre più regno nostro; è nostra la possibilità di riorganizzare, giorno per giorno, il lavoro; è nostra, soprattutto, l’economia reale. Basta infatti un tre-quattro per cento di spostamento nel consumo di un dato prodotto perchè l’azienda che lo produce – e che detiene il potere reale – vada in crisi. I compagni, nell’ottocento, lo sapevano bene: facevano le elezioni ma anche, e soprattutto, le cooperative, i sindacati, i boicottaggi.
Questa è la strada. Su questi terreni possiamo non solo contrastare efficacemente la destra, ma anche mettere in condizioni di non far troppo danno i vip, i fighetti e i baroni della stessa sinistra.
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Di boicottaggio, in particolare, si comincia a parlare appena ora. Se ne parla in termini ancora politichesi e poco comunicativi (l’elegante “pasta Cunegonda” di Umberto Eco) ma se ne parla. Cambiamogli nome, troviamo qualcosa di più “moderno” e immediato; facciamo dei comitati etici non di sinistra, ma indiscutibilmente indipendenti; facciamo campagne non contro “i padroni” in genere o contro Mediaset o Berlusconi ma contro degli episodi (pochi e ben scelti) assolutamente evidenti di uso stronzo del meccanismo pubblicità-potere; poniamoci l’obiettivo *realistico* di raggiungere quel tre-quattro per cento, per una decina di aziende precise, entro non più di un anno. Questo lo possiamo fare.
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Va bene, basta così. “Il dibattito no!”. Chiudiamola sui visi dei ragazzini di Parigi, bianchi, neri, marroni, di tutte le gradazioni. Un corteo più rivoluzionario ancora dei miei, che erano di un colore solo e dentro di sè nascondevano anche facce di futuri licenziapopolo e notai. C’è stato un momento in cui ho avuto l’impressione precisa di essere uscito un attimo dal corteo – “compagni vado a comprare il tabacco e torno”. Il tempo di andare e venire, ed erano passati trent’anni. Ma mi son messo a correre, ed eccomi di nuovo là dentro. “Ce n’est – qùun debut”. Sì, comincia ora.
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Quale delle frasi elencate sotto contiene un errore?
A) L’Italia è l’unico paese occidentale in cui scioperano i magistrati.
B) L’Italia è l’unico paese occidentale dove la mafia ha ammazzato tutti i principali magistrati.
C) L’Italia è l’unico paese occidentale in cui un presidente della Repubblica, per farsi vedere spiritoso, definisce i magistrati antimafia “giudici ragazzini”, un mese prima del loro funerale.
D) L’Italia è l’unico paese occidentale dove un ministro del governo dichiara che i magistrati sono un pericolo, e che bisognerebbe sostituirli con gli sceriffi.
(Soluzione: tutt’e quattro. L’errore è il termine “paese occidentale”).
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“Noi siamo le colonne”. Il Bossi e i boss.
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(Un particolare. Nell’accusare la magistratura, come in genere in altri casi, Bossi utilizza largamente metafore sessuali. “La magistratura cerca il potere guardando dal buco della serratura, a me i guardoni non sono mai piaciuti”. L’uso di terminologia sessuale da parte di Bossi non è mai interiettiva (“cazzo” ecc.) ma sempre descrittiva e contenutisticamente insistita. Uno psicanalista qui avrebbe da lavorare).
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Detroit. La Fiat continua a precipitare in Borsa. Dopo Fiat (Italia), General Motors intanto compra anche Daewoo (Corea).
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Mosca. Proposta di legge alla Duma (il “parlamento” locale) per tornare a inserire nel codice penale il delitto di omosessualità, introdotto dagli zar, eliminato da Lenin, rimesso da Stalin e rieliminato da Gorbaciov.
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Pechino. Il viceministro del lavoro cinese, Wang Dongjin, prevede un’esplosione della disoccupazione in Cina nei prossimi quattro anni. Le valutazioni di Wang, espresse nel corso di un simposio con operatori stranieri, si basano sulla previsione di difficoltà occupazionali aggravate dall’adesione della Cina alla Omc, che dovrebbero tuttavia risolversi – secondo il governo – nel giro di una decina di anni.
Attualmente le statistiche ufficiali parlano di circa dodici milioni di disoccupati; gli esperti stranieri ritengono che il numero vada collocato fra i dìciassette e i venti milioni di persone, circa l’otto per cento della popolazione urbana attiva. La cifra, in ogni caso, è destinata nei prossimi anni un incremento annuale di circa quattro milioni di unità, dovuto alla differenza fra il numero dei giovani che entrano sul mercato del lavoro e il numero dei nuovi posti che il mercato è in grado di offrire: rispettivamente otto e dodici milioni di unità l’anno.
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Parigi. Il governo israeliano ha deciso di sostituire il proprio ambasciatore a Parigi, che rientrerà quindi in patria fra alcuni mesi. L’ambasciatore, l’anziano storico Elie Barnavi, era stato nominato dal precedente governo laburista e viene considerato poco affidabile dal governo attuale, che lo accusa di non sostenere abbastanza la politica di Sharon.
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I tre quattordicenni di Netzalim, presso Gaza. Con due coltelli, una scure e una carica di rudimentale esplosivo sono stati sorpresi dai soldati mentre strisciavano sotto i reticolati di un insediamento di coloni. “Mamma, prega per me”, l’ultima lettera di uno di loro. “Su cose come queste dovremmo riflettere tutti”, ha detto – persino – un esponente di Hamas.
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< Omar Jada, un ragazzo palestinese, si tuffa per salvare un bambino israeliano che sta per annegare nel lago di Tiberiade. Riesce ad afferrare il bambino e a passarlo ad un uomo sulla riva. Lui, che non sa nuotare, comincia ad annaspare e infine annega. “L’ho stretto forte per restare a galla. Aveva un costume rosso. Non dimenticherò mai il suo viso” ha detto il bambino salvato, Gosha, che ha sei anni. “Mio figlio forse adesso è con Dio – ha detto il padre di Omar – Arabi, ebrei… siamo tutte creature sue” > (San Libero, agosto 2000).
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Marco Reggiani wrote:
< È stupefacente come il numero delle braccia rubate alla terra sia in continuo aumento.Lei ne è un fulgido esempio.
Ma la colpa NON è Sua. È di chi come me perde (anche se solo una volta) il tempo a leggere parole faziose e qualunquiste come le sue.
Sentire parlare di legge e legalità da chi come Lei è senza dubbio un bell’erede del Comunismo con la C maiuscola fa tenerezza e ribrezzo nello stesso tempo. Se non fosse patetico sarebbe da compatire. >
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Elvica wrote:
< se sei comunista “vero” dovresti tralasciare queste stronzate che dici o che riporti. berlusconi col fascismo non ha niente a che vedere ed i vari d’alema, bertinotti, curzi – moretti / parietti non hanno NIENTE a che vedere col comunismo… impiega il tempo diversamente… >
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Sergio Corradi wrote:
< Sono un militante del PRC e non sopporto più la tua spocchia contro di noi. Va al diavolo e cancellami dalla tua mailing list >
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Gianni di Imola wrote:
< Ne ho sentite tante, ma che il bertinottismo (categoria stupidamente semplificatoria che mi ricorda alcune di un infausto passato (culturame, panciafichisti, ecc.) abbia causato la “vittoria” di Le Pen alle presidenziali francesi mi pare davvero una sciocchezza. se, oltre a tranciare giudizi, sei in grado anche di ascoltare potremmo parlarne >
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I muri del maggio.
“Victor Hugo, Louise Michel, Jaures etc… au socours!”
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“Le gros facho/ a deja prostitue Jeanne/ mais il n’aura jamais Marianne”
(Jeanne d’Arc è stata presa d’autorità a proprio simbolo da Le Pen)
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“Touts les skinheads ne sont pas des fachos!”
(la firma: il disegno di un elmo da oplita greco…)
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“J’ai quinze ans, pensez a mon avenir”
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“Pas de detail contre Le Pen”
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“Immigrè, ne nous laisse pas seuls avec les francais”
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“Au pais des aveugles, le bourgne fait fuhrer”
(bourgne = guercio)
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“Premier tour, la merde. Deuxieme tour, tire la casse”.
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“Eh, la gauche, que risponde-tu aux gens que Pen?”
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“Je n’ai pu voter. Mon vote, c’est la rue”
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“A television de merde, vote de merde”
(su un manifesto del Grande Fratello locale)