Falcone. Nessun popolo ha mai avuto giudici tanto appassionati e fedeli quanto il popolo siciliano. Nessuno li ha mai traditi tanto. Noi siciliani, che un tempo – nella nostra rozzezza – non cedevamo ad alcuno in dignità e coraggio, oggi ci spintoniamo l’un con l’altro per giungere primi a leccare le scarpe dei nemici di Falcone.
Per questo, fra tante voci di ipocriti e di patteggiatori che con commosse parole celebrano l’anniversario di Falcone, non ci sarà la nostra. Noi siciliani dovremmo infatti avere in questo giorno il pudore – almeno quello – di starcene zitti; o di covare in silenzio il dolore e la determinazione.
Giovanni Falcone, Francesca Morvillo, Vito Schifani, Rocco Di Cillo, Antonio Montinaro, Paolo Borsellino, Emanuela Loi, Agostino Catalano, Walter Cusina, Vincenzo Li Muri e Claudio Traina: questi nomi – magistrati famosi e umili soldati – sono l’unica cosa che un siciliano possa scrivere oggi, dieci anni dopo, per ricordare e per continuare.
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Dieci anni dopo la morte di Falcone, mezza Sicilia è – come sempre – in rivolta per l’acqua. L’acqua non mancherebbe, chè non mancano i fiumi. Ma la speculazione sull’acqua è sempre stata uno dei business della mafia. Pochi mesi fa, nella diga dell’Ancipa – la principale – diversi milioni di metri cubi d’acqua sono stati scaricati in mare per il mancato funzionamento di una valvola da dieci euri.
Questa notizia, che i nostri lettori avevano avuto tempestivamente, è stata a suo tempo ignorata dalla stampa nazionale. In Sicilia, è stata data solo dall’edizione regionale di Repubblica. Poichè quest’edizione, per accordi con l’editore Ciancio, non viene diffusa a Catania, ecco che metà dei siciliani (e tutti gli altri italiani) sono stati tenuti all’oscuro di ciò che succedeva alla loro acqua.
Così come è stata tenuta sottotono la polemica fra il governo regionale e il generale dei carabinieri Jucci, cui il precedente governo (di centrosinistra) aveva affidato l’emergenza acqua. Jucci aveva lavorato presto e bene, denunciando gli interessi e proponendo sanzioni e provvedimenti. I siciliani, però, avevano votato massicciamente per gli esponenti di Berlusconi (“convivere con la mafia”) i quali, per prima cosa, avevano mandato a casa Jucci. Anche Dalla Chiesa, appena arrivato a Palermo, per prima cosa aveva fatto censire i pozzi della provincia per mettere in piedi un approvvigionamento regolare.
Le proteste dell’ufficiale avevano trovato pochissima udienza sulla stampa locale e nazionale. Oggi in metà delle città siciliane l’acqua arriva poche ore al giorno, e i contadini sono costretti a comprarla dai mafiosi. Il resto sono chiacchiere: i siciliani, del resto, hanno diritto di voto e hanno votato – nella loro furbesca coglionaggine – per restare all’asciutto.
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Come si stava bene in Sicilia quando c’erano i Cavalieri (quelli dell’apocalisse mafiosa), dice l’editorialista del principale giornale siciliano, Zermo; e non gli risponde nessuno, salvo il solito “ossessionato dalla mafia” Claudio Fava. Che fesseria in sostanza l’illusione (dice l’editorialista del principale giornale italiano, Merlo) dei “professionisti dell’antimafia” di cui già parlava Sciascia. Che belli quei vecchi pezzi da novanta del “Giorno della Civetta”: mafiosi sì ma insomma “uomini di rispetto” con cui si poteva dialogare alla pari, guardandosi rispettosamente negli occhi da baffo a baffo. E che bella antimafia, quella di Sciascia! Nobile, attenta al folklore, elegante nei circoli perbene; nemicissima dell’illusione (da “professionisti”) che il potere mafioso si possa abbattere per davvero, e tutti insieme.
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Non c’era solo Sciascia in Sicilia, che morì ricco e rispettatissimo e a tarda età e nel suo letto. C’erano anche altri scrittori. Che morivano poveri, dopo essersi venduti la casa per fare i loro giornali. Morivano per la strada, a colpi di pistola. E un’ora dopo la loro morte la mafia giornalista cominciava già a calunniarli per cancellarne anche il ricordo dalla faccia della terra. Anch’essi avevano qualcosa da dire, sui mafiosi. Scriveva – per esempio – Giuseppe Fava:
< Sciascia è convinto che la mafia sia un sottile gioco di cervello. La condizione umana non è influente: la povertà, l’ignoranza, il dolore non entrano nel gioco. In nessuno dei personaggi di Sciascia, dietro la violenza, ci sono mai la sofferenza sociale dell’uomo, il dolore dell’individuo, la sua disperazione di potere altrimenti modificare il destino, e cioè gli antichi ed immutati dolori del Sud: miseria, solitudine, ignoranza.
I personaggi entrano in scena e sono già disegnati, con tutti i loro abiti indosso, ognuno deve recitare la sua parte già scritta, senza mai spiegare il perchè, essi sono il buono, il cattivo, l’uccisore, il testimone, la vittima, senza mai dare spiegazione, com’è accaduto: per quale dolore, ribellione o inganno quel tale sia nel ruolo di assassino e l’altro in quello della vittima.
Sciascia non narra mai di grandi passioni sentimentali. Nel suo universo la donna, come costante essenziale di tutte le altre vicende umane, non esiste. Protagonisti sono i capipopolo e gli assassini, i cardinali, i ruffiani, i colonnelli dei carabinieri, i ministri, i confidenti di polizia, i teologi, i vicerè, gli accattoni: la donna mai!
Sciascia non ha un’idea politica precisa. Quasi certamente è convinto che la politica sia un mezzo che la società offre all’uomo per realizzarsi come individuo, non certo uno strumento della società per risolvere i suoi problemi. È una specie di liberale di sinistra, politicamente fermo alla Sicilia del dopo Crispi, nella quale i grandi problemi della società potevano essere risolti dal superiore talento di alcuni uomini, mai dalla trascinante violenza o dalla ribellione e disperazione delle masse.
Queste grandi forze possono essere utilizzate storicamente da alcuni individui, mai essere protagoniste. Anche la politica dunque non è uno scontro dei bisogni popolari dell’umanità, che non ha perciò cicli politici in evoluzione, l’uno diverso dall’altro e determinati da nuove, profonde necessità storiche, da un eterno gioco di poche intelligenze opposte. >
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Facile fare antimafia alla moda, fra scetticismi e cerimonie, alla maniera di Merlo o Sciascia. Facile, e popolare, perchè non fa male a nessuno. Difficile invece, e impopolare come poche altre cose al mondo, fare antimafia vera e concreta – e dunque potenzialmente “eversiva” – seguendo l’insegnamento di uomini come Giuseppe Fava. Eppure, alla lunga, l’antimafia difficile fa più strada. Con quale attenzione e rispetto ascoltavano il nome e le idee di Giuseppe Fava i ragazzi di Catania e Palermo ieri, i giovani matematici della Normale di Parigi o i liceali del “profondo Veneto” di Valdagno oggi!
In questi ragazzi, ieri come oggi, c’è tutta la speranza che ci fa respirare. Questione di non disperdersi, di mantenere il filo, non mollare. Ma finchè sulla terra ci saranno menti giovani e cuori non ancora venduti, la lotta contro i poteri inumani – fra cui quello mafioso – non sarà mai chiusa. A queste menti e cuori vale la pena di affidarsi fiduciosamente, con serenità. Un giorno riusciremo a far sgorgare l’acqua dai rubinetti di Caltanissetta.
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Mafia 1. Secondo Piero Grasso, procuratore capo a Palermo, gran parte degli appalti siciliani sono ancora in mano alla mafia. “Le indagini hanno svelato la presenza di un diffuso sistema di manipolazione illecita, non riconducibili come in altre regioni italiane solo a fenomeni di malcostume”.
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Mafia 2. Settantadue testimoni, non mafiosi “pentiti” ma cittadini che hanno civilmente collaborato con la giustizia, hanno scritto a Ciampi per denunciare la drammatica situazione in cui vivono da quando lo stato italiano ha deciso di abbandonarli al loro destino. “Signor presidente, in uno stato civile i testimoni non dovrebbero andare in esilio”, “Perchè chi ha testimoniato contro i criminali deve vivere nascondendosi?”, “Lo stato non ci tutela”, “Una volta dovetti chiedere l’elemosina”, “Limoni spremuti, dopo un poco la protezione viene meno”.
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Mafia 3. È possibile che venga prossimamente assassinato l’avvocato Guarnera Enzo, da Catania. Questa valutazione si basa sui seguenti elementi oggettivi e a conoscenza di tutti:
1) L’avvocato Guarnera è uno dei pochissimi legali siciliani che si siano resi disponibili ad assistere in giudizio pentiti e dissociati di mafia. Questo ha concentrato sulla sua persona un numero assolutamente inusuale – circa centocinquanta in tutto – di incarichi giudiziari molto scomodi per Cosa Nostra. Solo in questo momento, sta fornendo assistenza giuridica a trentanove pentiti: altrettante mine vaganti per i boss mafiosi, ciascuna delle quali può essere disinnescata (specie con la nuova legislazione) privando i pentiti del difensore di cui si fidano e costringendoli dunque a ritrattare.
2) Almeno uno di questi assistiti ha dichiarato a Guarnera che “Le vogliono fare la pelle; se ne vada da Catania”.
3) L’avvocato Guarnera è altresì uno dei testimoni nell’inchiesta mafia-imprenditori di San Giovanni La Punta, di cui abbiamo riferito in passato.
4) La scorta dell’avvocato Guarnera gli è stata tolta il 20 aprile di quest’anno. Il ritiro della scorta è stato disposto con l’assenso del prefetto Alberto Di Pace (che non ha ricevuto Guarnera, che chiedeva di essere ascoltato) e dei dirigenti della Procura di Catania (alcuni dei quali citati nell’inchiesta di cui Guarnera è testimone).
5) Le misure di protezione di cui l’avvocato Guarnera attualmente dispone sono le seguenti:
– un’automobile passa occasionalmente sotto casa sua (“Ma scusate, perchè allora non ritirate anche questa?”. “Sa, è per rassicurare i condomini”);
– i poliziotti già membri della sua scorta, in segno di stima, lo hanno portato “informalmente” al poligono di tiro per insegnargli a sparare.
Tutti questi punti sono perfettamente noti alle autorità preposte alla sicurezza fisica dell’avvocato Guarnera, e in genere alla tutela dell’ordine pubblico a Catania e in Italia. Se l’avvocato Guarnera, a causa della sua attività antimafiosa, venisse assassinato, le autorità di cui sopra non potrebbero pertanto ad alcun titolo invocare l’ignoranza della situazione.
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Fiat. Epos abusivo. Le macchine, la Fabbrica, le ribellioni; Romiti che alla fine arriva alla testa dei quarantamila crumiri e salva il regno, nei lontanissimi Ottanta; congiure shakesperiane (ancora Romiti, e il dimenticato Ghirella), tradimenti, battaglie, colpi di scena; zefiri goldoniani, con l’Avvocato che sorride alla platea; e tragedie vere, quei ponti da cui si uccidono il giovane erede umano a fine secolo o l’operaio cassintegrato anni Settanta.
Tutto questo, nel nulla. “Piena di fracasso e di furia/ significante nulla”.
La Fiat in verità non era che un’azienda come tante, di proprietà di una sola famiglia come un mulino dell’ottocento o una coppia di vacche. Faceva pessime e vecchie macchine, che si vendevano molto poco in Europa, e si vendevano in Italia solo perchè lo stato, come per le Trabant, le finanziava.
Non c’è nessun mistero, nella caduta. È morto Cuccia, il salva-Fiat di Corte, e in capo a un paio d’anni la Fiat non c’è più. Sabaudi fino in fondo: quotano Ferrari in Borsa, per far grana; e nello stesso momento (son nati nei bulloni e nei cavalli, loro, mica nel marketing) buttano al cesso l’immagine idilliaca del prodotto con la pubblica truffa di Schumacher. Persuasi che la Ferrari sia ancora un oggetto di metallo e benzina e non invece, come tutti ormai sanno, un ologramma 3D da manga giapponese.
Va bene. Particolari da conservare: l’ultimo primo ministro, Cantarella, era siciliano: come dire, a suo tempo, quasi negro; il vecchio, colle ultime forze, era riuscito ad agguantare uno scudetto di calcio e ne era infantilmente fiero; contemporaneamente, nella prima afa romana, i politici sdoganavano sottobanco i sabaudi prima serie, i Savoia. Meglio riusciti, alla fine, i napoletani.
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L’ora di religione. Alcuni leghisti più puri, per contrastare l’imborghesimento del loro leader (che ora s’è fatto cattolico e vuole il crocifisso) hanno proposto invece di esporre alla venerazione degli studenti, nelle aule della Padania, il dio Po: in bottiglie da minerale da mezzo litro, da appendersi sopra la cattedra fra il ciampi e (visto che Bossi ci tiene) il crocifisso.
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Il cuore oltre l’ostacolo. Veramente non sarebbe proprio il cuore ma un’altra cosa quella che alcuni universitari romagnoli hanno ritenuto opportuno di sacrificare al professore in cambio della promozione all’esame. Un episodio analogo, un paio di mesi prima, si era svolto in termini più tradizionali, fra “normali” studentesse e professore. Siamo merce, no?
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Parigi. Un milione e mezzo di nuovi posti di lavoro erano stati creati negli anni successivi all’introduzione delle trentacinque ore. Le trentacinque ore verranno ora abolite al nuovo governo, minoritario ma al potere grazie alle divisioni della sinistra. In Italia, le ultime – e poco pubblicizzate – rilevazioni danno un calo del 4,1 per cento (mese febbraio) nel settore industria, con una perdita di circa trentaduemila posti di lavoro: il dato peggiore dal ’95.
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Londra. Sei morti nel tradizionale deragliamento di fine settimana, ormai un’istituzione dei trasporti britannici da quando sono state privatizzate le ferrovie. Visibilità perfetta, nessun errore umano, l’incidente viene unanimemente attribuito alle pessime condizioni del materiale rotabile e della manutenzione. Dopo gli spaventosi incidenti di due anni fa (trenta morti) e dell’anno scorso (dieci morti e 76 feriti) il governo aveva promesso inchieste e minacciato sanzioni alle ditte che risparmiano sui binari. Quest’anno, poichè il numero dei pendolari distrutti risulta tutto sommato ridotto, non ha fatto nemeno quello.
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Cambridge. I fanatici islamici hanno insegnato parecchio a quelli “occidentali”, ma ancora ci mancava un caso Rushdie. Ci ha pensato il famoso attore americano John Malkovich, in una conferenza ufficiale nel cuore culturale d’Inghilterra: “Bisogna sparare a Robert Fisk – ha detto – È un amico di Saddam e contesta la nostra politica in Medio Oriente”. Fisk, inviato di guerra da molti anni per conto dell’Indipendent, si è dichiarato perplesso ed anche – data la popolarità di Malkovitch – preoccupato.
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Roma. Cerimonia per i tre anni di presidenza di Carlo Azeglio Ciampi. Un reparto di uniformi di corazzieri (senza corazzieri dentro) ha presentato le armi, gli ottoni della banda dei carabinieri (senza carabinieri) hanno suonato l’inno, la folla sulla piazza (in cui non c’era nessuno) ha applaudito, il portone del Quirinale (senza che si vedessero guardaportoni) s’è aperto, e infine dal palazzo è uscito, sorridendo e salutando, nessuno.
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Kabul. Salto di qualità nella guerra fra i vari capi tribali (fino a pochi mesi fa presentati come responsabili, moderati e filooccidentali) che controllano le singole regioni del paese. Dai bazooka delle prime settimane dopo l’occidentalizzazione si è ora passati all’uso massiccio di missili, una scarica dei quali ha messo fuori uso l’aeroporto di Jalalabad, uno dei pochi rimasti nel paese. Le notizie sugli scontri post-talebani non vengono in genere riferite dalla stampa italiana.
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Olimpia. Bronzo agli azzurri nel Campionato Mondiale di Concussione organizzato da Transparency International, una fondazione multinazionale che si occupa di monitorare episodi e trend di corruzione politico-imprenditoriale nel mondo. I responsabili della Fondazione si sono detti schifati dai pessimi risultati conseguiti da australiani, svedesi, svizzeri, austriaci e canadesi: “Non sarebbero capaci di rubare le caramelle a un bambino”. Apprezzabili invece le performances di Hong Kong, Malaysia e Giappone. Entusiasmante quella dei russi (la squadra sovietica è salita sul podio con la medaglia d’oro) e degli outsider sud-coreani, la cui insospettata dinamicità (non è la prima volta: ricordate Pak-doo-ik?) ci ha strappato una medaglia d’argento che avremmo tutto sommato meritato di vincere per capacità, impegno e preparazione.
“Ci rifaremo l’anno prossimo – ha detto il C.T. degli azzurri – L’Italia merita un posto adeguato alla sua storia, e noi in questo sport non siamo mai stati secondi a nessuno. Solo da pochi anni la Russia è riuscita a mettere in discussione la nostra tradizionale egemonia, e la sconfitta con la Corea è solo un infortunio passeggero che sapremo recuperare”.
Forza, ragazzi. Qui Olimpia è tutto, a voi studio.
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Giuseppe (vedi lettera di Lea precedente) wrote:
<Desidero innanzitutto ringraziare Lea per le chiarificazioni che ha avuto la forza di fare, nonostante il probabile peso dell’offesa che ha sentito nella mia precente email. Vorrei aggiungere qualche piccola ma importante puntualizzazione, presente anche nella precedente mail, ma purtroppo persa nella citazione di Orioles.
“Quanto a me, ha ragione signor Giuseppe. Non mi trovo in compagnia solo di ebrei. Ma persino del reverendo Martin Luther King, che scrisse a gente come lei: “Dite che non siete antisemiti e che siete solo antisionisti. E io vi rispondo: Dite la verità. Che cos’è l’antisionismo? È il rifiuto di riconoscere al popolo ebraico un diritto fondamentale, lo stesso che invece si riconosce a tutti gli altri popoli dell’Africa e dell’Asia”.
Ad eccezione ovviamente dei Kurdi, nonchè di parecchie etnie aborigene in Africa, i cui nomi non sono talvolta nemmeno noti. Nonchè di alcuni popoli europei come i baschi, o i celti in Galles, o i bretoni. E le varie etnie spazzate via, spesso senza lasciare traccia, sotto l’ingerenza e la “comunistizzazione” dell’URSS (quanti di voi sanno cosa è un Komi?)
Cosa differenzia gli ebrei da tutti gli altri? Trovo a questo una sola risposta: l’essere stati il popolo vittima dell’Olocausto – che a differenza degli altri sterminii etnici ha il “vantaggio” di essere stato “pubblicizzato” (mi scusi, Lea, se ne parlo in maniera così fredda; non l’ho vissuto in prima persona, nè parenti miei hanno subito nulla del genere; non cisono Primo Levi nella mia famiglia).
Non molta gente sa che in Viet-Nam sono morti tanti civili quanti ebrei nei campi di concentramento nazisti (oh, in maniera incomparabilmente meno atroce, certo!). Sottovoce, però, come i milioni di persone scomparse nelle dittature sudamericane. Quando quattromila persone spariscono però in un attentato a due grattacieli, in maniera evidente e plateale, una nazione si può arrogare il diritto di ridurre un polvere un’altra nazione già precedentemente ridotta in macerie. Nessuno ha mai proposto di bombardare gli Usa, però.
“Il poeta Paul Celan, signor Giuseppe, spezzò la sua dolorosa resistenza al ricordo di Auschwitz uccidendosi. E scrisse prima di morire: “Sion, fuggiamo da te e tu ci rincorri, poichè siamo i tuoi figli”. Non riconoscere ai figli e alle figlie di Sion il loro diritto di esistere come nazione, è la stessa cosa che non riconoscere all’ebreo il suo diritto di esistere come diverso, signor Giuseppe”.
Un ebreo non ha più diritto di un kurdo. Non di meno, ma non di più.
Ma tutto il discorso è puramente accademico. Lo Stato di Israele è stato fondato, e pertanto ha, in quanto tale, diritto ad esistere.
La cosa che mi dispiace soprattutto (per Lea, e per tutti gli ebrei) è che un fascista sanguinario come Sharon possa usare il proprio essere ebreo in difesa delle proprie azioni, tacciando chiunque lo critichi di antisemitismo. È un po’ come uno che si deve vergognare di essere comunista per via dell’URSS e della Cina e di Bertinotti, o di essere socialista per via di Craxi, o di essere italiano per via di Berlusconi. Solo che molto peggio.
Non so perchè, ma accusare gli antisionisti di antisemitismo mi sembra come eguagliare i socialistI ai fascisti, o il comunismo all’Unione Sovietica. Io, quando devo pensare al comunismo, penso ai kibbutzim. Che tra l’altro avevo già citato nell’altra email, Lea, mi dispiace che una parte cruciale dell’altro mio messaggio sia andata perduta, perchè ha generato più malintesi del dovuto – per questo spero che Riccardo abbia stavolta il buon senso di inoltrare per intero i miei messaggi. O che mi dia il tuo indirizzo email affinchè possa farlo io, ammesso che ti fidi di uno stupido ignorante antimperialista antisemita. >
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Nota: Mi scuso con Giuseppe e Lea per aver condensato i loro messaggi: tecnicamente, la Catena non può supportare più di un certo numero di caratteri. Chiedo loro il permesso di metterli in contatto direttamente fra loro (per motivi di privacy non dò mai indirizzi email in pubblico) e li prego di continuare anche sulla Catena il loro dibattito, che è drammaticamente vitale. (r.o.)
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Mimmo Lombezzi wrote:
< La proposta di “silenziare” Biagi, Santoro, Mannoni e Vespa durante le amministrative (e magari anche dopo, tranne Vespa) ha fatto insorgere Comunisti, Criptocomunisti e giornali stranieri insufflati dai Comunisti (come “l’Ecomunist”) ma bastano tre argomenti a zittire la canea :
1) l’aver “silenziato” (cioè non trasmesso) il filmato di Rai2 sugli scontri del G8 ha sicuramente contribuito a rasserenare gli animi
2) idem per l’ultima intervista a Borsellino, trasmessa 6 anni dopo.
3) la televisione di stato durante le elezioni dovrebbe trasmettere soprattutto inni nazionali per responsabilizzare e partite (anche vecchie) per rasserenare la gente tranquillamente seduta in casa. >
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Simonide<sikelianoi@eleutheros.el> wrote:
< Se passi per Palermo, ricorda ai siciliani
che noi cademmo qui, obbedienti alle leggi. >