“Voi comandate perchè è morto Borsellino”.
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Non è stato un cattivo affare ammazzare Carlo Giuliani. Quattrocentomila euro – quasi un miliardo di lire – sono state consegnate all’uomo che sparò in piazza Alimonda a Genova, il “carabiniere” ausiliario Marco Placanica. La somma, raccolta con una sottoscrizione da un giornale governativo, serve a “coprire le spese mediche e legali” e altresì ad esprimere una solidarietà politica all’ala più cilena del governo.
È un bene che in questa tragica vicenda sia entrato, alla fine, l’odore del denaro. Dall’inizio alla fine, era di soldi che si trattava, non di altre cose. I soldi dei grandi manager “globalizzati” che fanno i miliardi di dollari truffando gli azionisti, i soldi dei notabili paramafiosi comprati ad uno ad uno dal governo, i soldi dei giornalisti pagati per incitare la caccia agli oppositori. Contro questi soldi manifestavano i ragazzi di Genova, per questi soldi sono stati massacrati. Un piccolo rivolo di questi denari, alla fine, è arrivato alle tasche di un anello finale della catena, un uomo che non sappiamo ancora – attendendo la Magistratura – se definire uno sciagurato o un assassino, ma che accettando questo denaro ha sicuramente disonorato se stesso e la divisa che indegnamente ha portato.
È bene anche che questa iniziativa disonorevole e vile, questo gettar monete in mani insanguinate, non sia venuta da uno qualunque dei giornalisti di corte, ma proprio da quel Vittorio Feltri che due anni fa di questi tempi, per vendere qualche copia in più, non si vergognava di pubblicare in prima pagina le foto e i volti dei bambini innocenti seviziati dai pedofili. Degni l’uno dell’altro, il sedicente “carabiniere” e il sedicente “giornalista”: ed il loro governo, e il loro pubblico squallido e feroce.
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A un anno da Genova, conviene riepilogarne alcuni insegnamenti.
1) In Italia non è consentito essere troppo pacifisti. Per quanto spontaneo, eterogeneo, pacifico e festoso possa essere un corteo, deve avere sempre un suo servizio d’ordine efficiente. Diversamente, si dà mano libera ai provocatori inviati dalla controparte, e si “mette in tentazione” il governo di tentare un colpo di forza, che comunque vada accresce la confusione e la paura e *quindi* va a favore del governo. Pochi mesi dopo Genova, ci fu un altro grosso corteo pacifista a Roma: ma stavolta seriamente organizzato. I provocatori furono estromessi decisamente e con discrezione. La polizia non trovò pretesti per un attacco, che d’altronde non sarebbe stato facile in questo caso.
2) Genova è stato un momento di svolta, nella politica del governo, paragonabile a piazza Fontana per la vecchia Dc. Non fu voluto dal governo; ma sia le componenti “politiche” più di destra che i vari soggetti forti legati ai servizi segreti scavalcarono decisamente i moderati e passarono d’allora in avanti alla guida del composito schieramento governativo. Esattamente come nel 68, quando dopo le bombe (e grazie alle bombe) i Saragat i Rumor e gli altri notabili furono scavalcati dal “partito della crisi” legato ai servizi e ai poteri. In questo senso, la storia di Genova – vista dall’altra parte – è ancora tutta da scrivere, Scajola è un (ingenuo) scapro espiatorio e il momento centrale è rappresentato dalla misteriosa presenza di Fini.
3) Da un punto di vista più profondo, l’aspetto più allarmante è la trasformazione antropologica intervenuta nelle forze della polizia di piazza (ben distinta dalla polizia ordinaria). Non sono più i disoccupati meridionali. Io ho fatto non so più quante manifestazioni dal ’67 in poi, ma celerini del genere non ne ho mai visti. Questi sono tranquillamente disponibili ad essere delle Ss. Non per ordini superiori, ma perchè la loro cultura è infinitamente più violenta di quella dei poliziotti anni ’70. Vengono da un’altra società, che ieri esprimeva gli operai e i contadini, e oggi esprime le curve sud e – fra l’altro – i celerini. Il governo di centrosinistra dovrà riselezionare la polizia di piazza. Se non lo farà, si vedrà prima o poi sparare addosso dai suoi stessi celerini. Che ormai – continuo a parlare della polizia di piazza, non di quella ordinaria – ha tutti i caratteri antropologici di una Guardia Civil.
4) Sul piano investigativo, il delitto eversivo del governo non sta tanto nell’aver massacrato la Rete Lilliput e i boy-scout, quanto nel non avere fermato i black bloc. Questi ultimi, ormai al di là di ogni dubbio, agivano in coordinamento con la polizia: il coordinamento non avveniva a livello di reparto – in alcuni casi, anche a quel livello – ma a livello di strategia generale. Non voglio sapere dal tenente dei carabinieri quando e come s’è messo d’accordo coi black bloc. Voglio saperlo da Fini. Voglio sapere perchè il governo ha mandato i black bloc contro Genova e contro il corteo; e nel termine “governo” includo tutte le variopinte sigle, conosciute e non, che nel nostro paese indicano – da piazza Fontana e poi – i vari servizi segreti. Chiedo conto a Saragat e Rumor del Sismi di Giannettini. A Fini e a Berlusconi del servizio di cui io non so il nome, ma loro sì.
5) Genova discende direttamente da Napoli, e l’imbecille Scajola è un continuatore pedissequo del “progressista” Bianco. In Argentina, un capo della polizia resosi responsabile di crimini molto minori – perchè stiamo parlando di fatti punibili penalmente – è attualmente sotto processo per tentato omicidio. Ritengo che prima o poi – ad esempio, dopo la caduta del governo Berlusconi – bisognerà affrontare congiuntamente le responsabilità penali dei due ex ministri.
Dico congiuntamente per due ragioni precise. La prima è politica: Bianco, nel centrosinistra, è ed è sempre stato un infiltrato; una sua ricandidatura a ministro sarebbe l’unica ragione che giustificherebbe, per i cittadini democratici, l’astensione dal voto e l’equiparazione dello schieramento di centrosinistra a quello di Berlusconi.
Poi c’è una ragione morale. Molti dei nostri lettori non sono affatto di sinistra, anzi sono francamente di destra (molti dei lavoratori che hanno votato per Berlusconi, d’altra parte, erano gli stessi che poi sono scesi in piazza con la Cgil). A questi concittadini, onesti e in buona fede e spesso di destra solo per l’ipocrisia della sinistra, noi dobbiamo dire: “Amici, noi non rinunciamo alle nostre idee. Vogliamo cambiare l’Italia a favore del popolo, seguendo la vecchia bandiera dei lavoratori italiani. Ma di questo non intendiamo affatto farci un pretesto per accumulare privilegi e poteri: portiamo onestamente avanti le nostre idee ma, se uno dei nostri sbaglia, noi siamo i primi a pretendere che paghi. Noi condanniamo Scajola, ma non perdoniamo a Bianco: a nessuno, nè di destra nè di sinistra, è consentito dimenticare la Costituzione e aggredire i cittadini. Se per questo ci voterete, ci sta bene; ma anche se non ci voterete, almeno ci rispetterete; e questo è già tanto”.
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Dopo quindici anni ho rivisto la faccia di Violante – seria, serrata, consapevole che c’è un dovere da fare – quando non era ancora un pezzo grosso; ed è stato quando a Genova ha detto: “Abbiamo sbagliato”. Violante, fra i capi dell’antimafia, fu il primo ad abbandonare la lotta per ambizione. L’ho visto diventare, dall’ufficiale garibaldino che era, un notabile di palazzo come tutti gli altri: cortese, comprensivo, assolutamente lontano. Adesso, in televisione, m’è parso di riconoscergli qualcosa del Violante di prima tremargli impercettibilmente fra gli zigomi e il mento. Se è così e non m’illudo, volentieri gli perdono i quindici anni in cui ci ha lasciato soli.
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Mafia e acqua. Contadini in rivolta in Puglia, Sicilia e Basilicata. I soldati a sorvegliare. Una rivendita di oltre duecentomila litri d’acqua abusiva, con silos autobotti e tutto, trovata quasi per caso dalla Finanza.
Togliere il controllo delle dighe alla mafia? No, installare degli inutili dissalatori, costo 280 miliardi di soldi nostri. Questo quando la sola operazione tecnica necessaria, ovvero riparare le condutture, costerebbe 20 miliardi, cioè dieci volte di meno. E il governo, alla fine: “Basta con questi lussi – proclama – l’acqua si paga. Alziamo il prezzo!”.
< I mafiosi – scrive Mattia dalla Sicilia – vendono tranquillamente l’acqua, con tanto di ricevute: “il giorno X il signor Y verrà a ritirare le cifre dovute per il rifornimento di acqua” (questi signori X sono quasi sempre pregiudicati). Le vittime principali, gli agricoltori, fanno manifestazioni di protesta, presidi e blocchi stradali, ma sono soli. Neanche un cittadino comune che partecipi alle loro sacrosante rivendicazioni. A dieci anni dalla morte di Falcone e Borsellino, la mafia in Siclia è onnipotente, tanto da costringere la gente a pagare il racket per un bene irrinunciabile come l’acqua. Riusciranno i siciliani a recuperare quella dignità che permise dopo le stragi del 92 di infliggere dei colpi tremendi a Cosa Nostra e che oggi sembra persa completamente? >
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Mafia e politica. “Leoluca Bagarella, tra il 1992 e il 1993, provò ad organizzare un partito politico in Sicilia e di fatto sponsorizzò una formazione legata a uomini confluiti nel Polo”: lo afferma l’associazione “Articolo 21”, fondata da Giuseppe Giulietti e Federico Orlando, che nel suo sito pubblica brani del libro “Consigli per gli acquisti” del cronista siciliano Pino Finocchiaro. In esso vengono riprese le dichiarazioni dei pentiti Tullio Cannella e Maurizio Avola “sull’interesse di Cosa Nostra a misurarsi in politica con varie denominazioni sino a quando non giunse l’ordine di fermare tutto perchè i palermitani avevano preso contatti con personaggi influenti che avevano intenzione di costituire un nuovo partito”.
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Mafia e istituzioni. Severo monito del Capo della Mafia sugli “intollerabili abusi” cui verrebbero sottoposti i mafiosi detenuti. “Non verranno ulteriormente tollerate – ha aggiunto il Presidente di Cosa Nostra – inadempienze da parte degli avvocati di mafia agli impegni profumatamente pagati e liberamente presi”. Dopo l’annuncio di una serie di iniziative rivendicative e balistiche volte a richiamare l’attenzione della pubblica opinione, il messaggio di Leo Luca Bagarella si è infine concluso su una nota di ottimismo: “Falcone e Borsellino, a parte le chiacchiere, sono stati dimenticati”.
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Mafia e governo. Arrestato il consigliere di Forza Italia Maurizio Di Gati, 52 anni, pochi minuti dopo essere stato solennemente confermato, da un’assemblea di boss appositamente convenuta, “padrino” della Famiglia di Favara di cui da tempo era rappresentante (lo Statuto di Cosa Nostra non prevede incompatibilità di cariche elettive tra famiglie mafiose e partiti di governo). Nella stessa occasione è stato nominato capomandamento di Agrigento Maurizio Di Gati, 36 anni, che invece non risulta iscritto a Forza Italia. I neoeletti stavano festeggiando a pasticcini e champagne le rispettive nomine quando sono stati sorpresi, con le coppe in mano, dall’irruzione della polizia.
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Informazione. Il Tg5 s’interrompe e, improvvisamente, partono dieci minuti di spot del governo. Non nel senso che si parla bene di Berlusconi, ma nel senso che il governo ha regolarmente acquistato, con soldi pubblici, uno spazio pubblicitario dentro il telegiornale e, fra una notizia e l’altra, lo manda in onda tranquillamente. Scandaloso, no? Tanto scandaloso che in realtà nemmeno Berlusconi se l’è sentita di farlo.
Invece, Ciancio sì. A Catania, una parte del telegiornale locale, Antenna Sicilia, che appartiene (come tutto il resto) a Ciancio, è stata acquistata dal Comune per propagandare le proprie iniziative. Due piccioni con una fava: da un lato il Comune finanzia, coi soldi pubblici, l’imprenditore Ciancio; dall’altra Ciancio impone ai malcapitati telespettatori che pensavano di vedere un telegiornale la propaganda elettorale (e clientelare) di sindaco e assessori. Il tutto, gestito dall’allegra compagnia dei “colleghi” dell’Ufficio Stampa del Comune, tutti rigorosamente scelti fra i redattori dei giornali e telegiornali di Ciancio.
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Cassazione. Annullata la condanna all’ergastolo per Salvatore Vitale, il titolare del maneggio dal quale i killer di Cosa Nostra prelevarono per ucciderlo il piccolo Giuliano Di Matteo, figlio di un “pentito”.
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Marocco. Sono state costrette a desistere, visto l’isolamento in cui sono state lasciate dalla comunità cristiana e occidentale, le truppe spagnole inviate alla conquista del Marocco a cominciare dall’isolotto di Perejil, a poca distanza da Lepanto, su cui erano sbarcate in forze una settimana fa inalberando la bandiera di Castiglia. Secondo fonti attendibili, il primo ministro spagnolo Carlos Primero contava sull’intervento di alcune centinaia di leghisti bergamaschi che, dopo essersi mobilitati anni addietro per conquistare con le armi l’indipendenza nazionale, erano considerati in Spagna fra i più validi esponenti della lotta contro la barbarie islamica e il musulmanesimo in generale.
“Exspectevamos estos caballeros aqui por combatir los moros – ha detto il generale Fundador, comandante delle truppe spagnole – Tambien rimaneron a su casa, en pantofolas devante al televisor, mientre nos estamos aqui en la mierda”. Il conte-duca Jerez de la Frontera, gran maestro dell’ordine di Calatrava, ha invece stigmatizzato il mancato arrivo dei volontari cattolici promessi dal cardinale Biffi di Bologna.
Espressioni anche più dure sono state usate, contro i “maricones” italiani, da don Jaime de Mora y Aragon e da don Diego di Bejar y Gibraleon y Benalcazar y Banares.
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– Che camurria, ‘sti templi! Io li buttassi giù tutti e ci facissi sopra un bell’hotel-casinò tipo lasvegas e quattro beddi supermercati.
– Macari io… È che poi tutti i continentali ci accusano che semu servaggi e incivili… Sennò ti facissi viiri io…
– E allura per corpa di ‘sti continentali che facemu, ci tenemu tuttu ‘stu gran terrenu edificabili accussì a sbafu? Sai quanti picciuli ci si potessinu fari?
– Eh… Aspetta… Mi vinni un’idea.
– Che idea?
– Ecco: demolire, non si ponnu demolire… Però sempre palazzi sono, palazzi famosi… Pensa che macari a Lestero sannu che c’è Agrigentu perchè sannu che ci sunnu i templi.
– E a mmia che me ne futti di ‘stu Lestero?
– Picchì si zaurdu… Chistu vole diri che i templi, quantunque a ttia tti ni futti e a mmia macari, purtuttavia sunnu un tistimonial…
– Un chi? Un tistimoniu? Io ci sparu, ai tistimoni e macari ai sbirri che ci tenunu manu!
– Ma chi capisti? Tistimonial è una parola moderna, ‘mmericana, che vuole diri che ppi farci putacaso la pubblicità al tuo supermercatu tu ci metti un testimonial, cioè un’attrice, un giocatore di calcio, un monumento… Accussì alla gente ci rimane cchiù impressu.
– Ahhh… E che cazzu ponnu tustimoniari ‘sti quattru templi sdirupati?
– Che noi qui semu gente importante, con un passato storico e curturale, e che dunque qui si può investire…
– Ch’a macchina?
– Quali macchina! Coi soldi! Investimenti nazionali e internazionali! Euri, dollari…
– Ah, capivi! Picciuli! Bonu! Vaia, facemu ‘sta tistimonianza! Che ci facemu tistimoniari?
– Una bella sfilata di moda! Con tutte ‘sti fimmini sciccose e allicchittate che s’annacano su e giù per i templi!
– Cumpari, si vidi che facisti ‘i scuole! Mi cunvincisti. U dico subbito a don Totò. Così facemu veneri macari a quarche politico, tutta propaganda ppi nuiautri…
– Io facissi veneri sai a chi? Ciampi.
– Ciampi?
– Seee… O iddu personalmente di persona, oppuru sò mugghieri.
– E idda cci veni?
– Ma sì… Basta metterla sul curturale e vedi che manco si nn’adduna…
– Bonu… Basta, vaiu a telefonare a don Totò…
– Sì, e io vaiu dal disaigner a farmi disignari ù manifestu… A proposito, ù Prufissuri mi detti un beddu nomi per tutta ‘sta camurria…
– E comu ‘a vulissi chiamari?
– Apri bonu l’orecchie, che è un nomi stranu: Kore. ‘A Kore di Agrigento.
– E che vvoli diri?
– Eh… Dici ù Prufissuri che Kora, in grecu anticu, vulissi a diciri “picciuttedda”, “ragazza”… un pezz’i fica, insomma.
– Bonu. Ma picchì in grecu anticu?
– Accussì famu cchiù figura. E macari per farci cuntentu a don Marceddu. Lo sai, iddu ci ha la fissa ppi la curtura…
– Ognunu ci ha le debolezze sue.
– Certu. Bah, mettemuni a travagghiari.
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(Un fascista onesto, assessore alla cultura, decide – meglio tardi che mai – di fare qualcosa per i Templi: tipo istituirci un parco regionale in cui è vietato costruire. Immediatamente, ad Agrigento, la federazione di An dichiara: “Troppo grande, ‘sto parco! Tante case, qui, ci possono benissimo stare”.).
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Cronaca. Palermo. Un quindicenne rapinato da due giovani a viso scoperto che dopo averlo fermato in via Pacinotti gli hanno portato via i dieci euri che aveva addosso.
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Cronaca. Roma. Deciso all’unanimità dal Senato l’aumento degli stipendi dei portaborse, da quattromila a quattromilaseicento euri al mese.
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Cronaca. Milano. Condannato, dopo patteggiamento, a un anno e nove mesi con la condizionale Paolo Berlusconi. La condanna giunge al termine di un’inchiesta per truffa, appropriazione indebita, peculato, abuso d’ufficio, falso in bilancio (derubricato) e corruzione che coinvolgeva 54 persone fra cui il fratello del presidente del Consiglio.
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Cronaca. Palermo. Condannata per un furto di scarpe, il tribunale dei minori ha deciso che non era in grado di mantenere i figli, e quindi glieli ha tolti. Maria Concetta P., 41 anni, non ha potuto far nulla per opporsi al provvedimento. Una ventina di vicini hanno cercato di opporsi quando la polizia è venuta a prendere i bambini. Portati via e affidati a una comunità di accoglienza.
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Cronaca. Palermo. Allarme nel pomeriggio per la fuga di un ragazzino di dodici anni. Un pensionato, residente in via Oreto, ha denunciato la scomparsa del nipote, affidatogli dal tribunale dopo la carcerazione del padre (la madre è disoccupata). È stato ritrovato alcune ore più tardi nel quartiere Noce.
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Cronaca. Palermo. Non osano parlare le vittime al secondo processo contro gli usurai-pedofili che compravano bambini nel quartiere dell’Albergheria. Al processo, che si svolge a porte chiuse e lontano da Feltri, i piccoli sono scoppiati in lacrime senza riuscire a parlare. Diversi di loro, in questi due anni, sono stati più volte minacciati. Il prete che ha denunciato lo scandalo, don Meli, non ha ricevuto il minimo aiuto nè dalle famiglie dei bambini nè da alcun altro abitante del quartiere. L’udienza è stato rinviata a settembre.
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Cronaca. Milano. Altre due collisioni evitate per miracolo a Linate.
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Cronaca. Roma. Il presidente della Rai Baldassarre, che pochi giorni fa aveva annunciato – al congresso degli ex fascisti – la necessità di far propaganda in tv per riscrivere la storia d’Italia falsata dai comunisti, non ha tuttavia rivendicato lo scempio di tombe ebraiche recentemente verificatosi a Roma. È già qualcosa.
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Cronaca. Torino. Insabbiato il caso Odasso (una specie di Mario Chiesa locale, ma senza la disgrazia d’incappare in Di Pietro) un altro scandalo nell’una volta incorruttibile capitale subalpina. Mazzette, imprenditori e funzionari del Comune.
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Cronaca. Alì Terme (Messina). Indagini dei carabinieri sul furto di circa cento scatole di gelato surgelato perpetrato alcune notti fa in una pasticceria del paese. Già qualche settimana addietro, sempre di notte, otto chili di pesce stocco erano stati “prelevati” da ignoti malfattori (la stesa banda??) in una pescheria poco distante. Una recrudescenza che ha destato notevole allarme nel paese, che chiede alle autorità provvedimenti pronti ed efficaci per fermare l’ondata di criminalità.
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Salvatore wrote:
< Il deragliamento del treno 1932 Palermo-Venezia, nella sua tragicità, fornisce un ulteriore spunto di riflessione sull’assurdità di un investimento inutile e nocivo come il Ponte sullo Stretto quando in Sicilia si viaggia ancora su rotaie vecchie ed insicure. Peraltro la mancata realizzazione del raddoppio ferroviario di fatto blocca, non si sa per quanto tempo, la circolazione ferroviaria di tutta la Sicilia settentrionale in uno snodo essenziale come quello di Messina. Spero che questa catastrofe faccia ravvedere gli entusiasti e ponga il problema del Ponte all’attenzione dell’opinione pubblica nazionale. >
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Caro Salvatore, non so da dove stia scrivendo lei, ma io in questi giorni mi trovo proprio vicino al paesino dove lo Stato italiano ha ucciso otto persone che si fidavano di lui. Le indagini vanno a rilento, non c’è ancora una versione ufficiale. Ma qui sul posto si parla di un pezzo di massicciata che ha ceduto.
Qui dalle parti di Milazzo, non è che non siano stati spesi soldi per le ferrovie. È stata costruita una stazione nuova (ai tempi di Craxi) che è molto più scomoda della vecchia, essendo a parecchi chilometri dal paese; ma in compenso è stata appaltata al costruttore Costanzo, uno dei quattro cavalieri catanesi. È stata costruita una galleria che permette di risparmiare alcuni minuti sull’intercity. È stato ridotto il personale di quasi tutte le stazioni. Non è stata rifatta la linea, che è sempre quella di prima.
L’alta velocità, i supermegamanager, il Ponte. Ma poi qui e in Basilicata e in Calabria (ha idea di quanti incidenti ferroviari, in due anni, fra Reggio Calabria e Metaponto?) i treni deragliano perchè il binario è troppo vecchio. Manderanno una corona ai funerali, licenzieranno qualche altro migliaio di ferrovieri, inventeranno qualche altro Ente altisonante con manager superpagati e alla fine privatizzeranno le ferrovie, come in Inghilterra. Supertreni fantascientifici per i Vip, e per i pendolari e i negri linee vecchie di cinquant’anni e treni che deragliano ogni sei mesi.
Il macchinista del treno, in questo momento, lotta fra la vita e la morte, ha perduto una gamba e io spero che almeno lui ce la faccia a salvarsi. Lo manderanno in pensione, se si salva, con qualche commosso discorso di ministro e non – come i suoi colleghi più fortunati – con un prepensionamento e un calcio nel sedere.
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Pasquale, da Castellammare di Stabia, wrote:
< Gentile R., le scrivo per complimentarmi con lei per la “Catena di San Libero” da lei redatta. Apprezzo il suo impegno civile contro la mafia e la politica corrotta, purtroppo i veri mali incurabili del Sud. Chi come me vive in un territorio ad alta densità criminale, dove la camorra spadroneggia e la fa da padrona,riesce ad apprezzare e capire in fondo la sua opera. Mi piace quando cita il grande Giuseppe Fava, mi ricorda un altro bravo giornalista, Giancarlo Siani del “Mattino”, vittima innocente della camorra assassina. >
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Caro amico, la ringrazio per le sue buone parole, ma soprattutto per aver ricordato il nome del mio Direttore, Giuseppe Fava. Sul nostro giornale, “I Siciliani”, a suo tempo abbiamo pubblicato anche inchieste (di Miki Gambino) sui mandanti dell’omicidio Siani.
Fava, Siani, Mauro De Mauro, Mario Francese, Mauro Rostagno, Peppino Impastato, Beppe Alfano ed altri ancora ci ricordano però che i mali del Sud non sono affatto incurabili: un’informazione libera e coraggiosa può suscitare – e in alcuni momenti ha suscitato – dei forti e vincenti movimenti antimafiosi. Io ho fiducia nei ragazzi, di Napoli, di Sicilia, di Roma, del Veneto, di Milano: so per esperienza che una testimonianza coerente e duratura può destare, alla fine, ciò che dorme dentro di loro. Siamo già quasi riusciti una volta a liberarci dal potere mafioso: riproveremo con fiducia finchè ce la faremo. Un giorno il popolo del Sud si desterà, e non ci sarà forza al mondo in grado di fermarlo.
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21 luglio. Montanelli. Ricordiamolo qui, fra i pochi giornalisti rimasti in questo paese.
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Persone. Rita Atria, ragazza. A dodici anni le ammazzano il padre, “uomo d’onore”, a sedici il fratello che lo voleva vendicare. Sangue chiama sangue, a Partanna. Faide, vecchi rancori, mafia – ma anche interessi eccellenti. Rita ha sentito parlare di questi interessi. Ha sentito dei nomi. Uno, dice, è quello dell’ex sindaco del paese, l’onorevole Culicchia. Ma a chi fare – una povera ragazza – questi nomi? Un giorno Rita incontra un uomo di cui, senza sapere perchè, si fida. È uno “sbirro”. Ma è un uomo buono. Si chiama Paolo Borsellino. Parlano a lungo. Passano i giorni e i mesi. Borsellino, nella vita feroce e disperata di Rita, è il primo che le parla sorridendole, come un papà. Forse non è vero che tutti sono o sbirri feroci o mafiosi. Rita si avviticchia a questo. La vita di Rita ricomincia allora. Ma arriva l’estate che ammaszzano Borsellino: lo ammazzano – capiscono tutti – perchè era solo. Rita non ce la fa ad andare avanti da sola. “Adesso quegli uomini non pagheranno mai”. “Vince chi è più bravo a truffare la vita”. Calligrafia da ragazza, frasi buttate su un foglio di scuola. Una settimana dopo, si uccide anche lei. Al suo funerale, al paese, non va nessuno: “fimmina lingua longa”, “amica dei sbirri”. Dieci anni. Dieci anni dopo, alle celebrazioni di Borsellino, tutti i vigliacchi di allora parlano con commosse parole. Parla l’ammazzagiudici Castelli, parla il viceberlusca Fini (ormai ripulito dagli sputi presi ai funerali di Borsellino), parla anche Culicchia, riciclato nel centrosinistra. Non parlano i compagni, dispersi – ma non rassegnati – ai quattro angoli del mondo. Li trovate venerdì prossimo a Partanna. Un fiore per Rita. E avanti.
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Archiloco<arkl@oplis.el>wrote:
< La vedi cinta di selvaggio verde,
l’isola, un dorso d’asino sul mare:
non è bella nè allegra e buona per amare
come la spiaggia in riva al mio torrente>iop
* * *
< Cuore mio, devastato da mali senza fine,
svegliati! c’è da lottare, ai nemici fà guerra,
faccia a faccia combattili, stà duro!
Non esaltarti se vinci, se perdi non chiuderti in casa
a piangere: sii allegro, sii anche amaro
ma sii sempre te stesso: tu lo sai
sotto quale destino l’uomo lotta >
* * *
< Porta la coppa in giro per la nave
fra i remi, tira il tappo alla bottiglia,
Fa’ girare quel vino! Senza bere
a stare qui di guardia è una boiata >