San Libero – 161

13 gennaio 2003 n.161

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Che cosa tiene su i siciliani. “Tuffati” disse lu re. ‘U caruso guizzò lestamente giù diritto come un pesce (da donde il nome) e per qualche picca di lui non rimase che il colliè di bollicine su dall’acqua profonda. Eppoi le bollicine si ruppero e ricciuta e ridente rivenne su la testa. “Rieccovi l’anello, maestà!”. “Bene!” sorrise il re. “Bene!” ripetè la comarca. “Adesso finalmente potrò sapere…- il re era molto curioso: artravorta avia fatto allivari solinghi e soli dui picciriddi allo scopo di spiare che lingua cristiana o babelica ne sortissi – adesso potrò sapere che cosa, contro ogni leggi di fisica, vi tiene a galla l’Isola”. “Maestà – disse un barone – ma già è ben noto. Le tre colonne cristalline: a Passero, a Lilibeo e a Peloro, coi tre ciclopi che le fecero a quei tempi”. “Sì ma allora non c’era la tecnologgia!”. Lu re fece un cenno e uno dei cortigiani porse al ragazzo un attrezzo, un coso lucido piccolo e vetroso, con un occhiuzzo in mezzo. “Ora tu metti questa cosa appress’alla colonna. Quando l’hai messa, premi qua. Eppoi o resti lassotto o risali, come vuoi”. Il ragazzo afferrò la webcam, sorrise a tutto il mondo e si cataminò di sotto: un attimo prima c’era, un attimo dopo non c’era più.
Passarono alcuni momenti, e sul dispay del sovrano si accese – come da previsione – la lucina. Eppoi, sfocate ma riconoscibili (settantadue puntipollice bianconero) le Gif cominciarono a scorrrere su tutti i monitor della Rete. “What is it?”. Una valigia di cartone: e, da fuori campo, la mano del ragazzo che la raddrizzava. “E questa?”. Un’asta di bandiera, si direbbe: con pochi filamenti attaccati ma una faucimmatteddu rugginosa ancora fissa alla punta. Eppoi riloggi fermi, pacchi di lettere e vaglia, fiaschi, marranzani, nache di legno, bummuli, barde di carretto, stellette militari, coppole, e remi di barche, e foto dei Due Amici, e cuteddi… tutta ‘na massa di paccottiglia miserabile e smancicata che invero – improvvisamente e con schifo si rese conto il re – non era ammucchiata attorno alla colonna né adiacente alla medesima, ma era semplicemente la colonna stessa. Altro che colonne ciclopiche… “Ecco che cosa li teneva a galla, i fetenti!”.
“Richiamo il ragazzo, maestà?”. “Che richiami a fare? Lascialo nella loro spazzatura”. Con uno sbuffo, re Federico s’alzò. “In Germania, in Germania! Ce ne torniamo in Europa. E io che credevo ai miti”. E s’incamminò via dal salone, con tutta la comarca dei cortigiani dietro. Nessuno pensò a spegnere i monitor, e la webcam per quanto obsoleta era di tipo buono. Così se passi da Messina e hai tempo da perdere ancora puoi buttare un’occhiata sul fondamento della Sicilia in bianco e nero, sui pesci che se lo smusano curiosi e le alghe che lo carezzano indifferenti.
Ogni tanto, entrando improvvisamente nella schermata come in un videogame postmoderno – da su, da giù, da mancina, da dritta – appare la figurina di un ragazzo che coglie amorosamente le vecchie cose e le rimette dentro alla colonna: non senza averci fischiato dentro se era un flauto, o averci mimato una mossa se un coltello. Non pare che abbia gran voglia di risalire: e menu mali, accussì almeno un altro poco restiamo a galla.
(omaggio a A.C.)

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Il baldo cacciatore. Alé! Domani me ne vado a caccia! Schioppo, cartucce e cartuccera e via per i boschi! Caccia di che? Ma di Bossi, naturalmente. Bossi, lega, leghisti, gentilini e già che ci sono anche preti e frati. Dici che vado in galera? Ma no! Una volta sì: ma ora in Italia la legge è che uno può tranquillamente andare a caccia di chi gli pare, purché lo faccia nell’ambito della stagione venatoria e lo faccia ridendo. Non ci credi? Ecco qua: “Comunichiamo l’apertura della caccia per la seguente selvaggina: albanesi, kossovari, zingari, extracomunitari in genere. E’ consentito l’uso di armi quali fucili di ogni genere, carabine di precisione e pistole; in presenza di stormi numerosi è ammesso anche l’uso di bombe a mano. E’ ammesso l’uso di cani…”. E così via.
Ora, questo non è un volantino clandestino. L’hanno trovato appeso dentro a una fabbrica, alla Marelli. E l’hanno portato ai carabinieri. E c’è stato il processo. Il giudice, alla fine, ha sentenziato che il volantino “non ha un contenuto razzista” perché “è giocato tutto sul filo del paradosso”. E dunque, non può essere punito. Bene. Dunque in Italia minacciare di sparare alla gente non è più reato. Non so se ora vogliono dare anche la medaglia ai brigatisti: in fondo, non erano che dei precursori. Si comincia sempre con un volantino.

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Adel Smith – il fanatico “islamista” picchiatore e picchiato, tutto in diretta, alla tv – è musulmano, mi pare, quanto lo sono io. Non so se sbarchi il lunario vendendosi per feroce Saladino o se sia direttamente pagato da qualcuno interessato a far casino. L’Italia è il paese dove gli “anarchici” che mettono le bombe alle questure alla fine risultano essere in paga, ogni ventisette, ai servizi segreti. E il nostro, che Allah, lo conservi, ha tutta l’aria di essere uno di questi. Fatto sta che Adel Smith non l’ha inventato nè Bin Laden nè lo sceicco Omar. L’ha inventato Bruno Vespa, l’anno scorso, quando lo tirò su dalla strada e lo gabolò agli italiani come ferocissimo capo dei musulmani italiani, che non l’avevano mai né visto né considerato prima d’allora. Sulle orme di Bruno Vespa, una televisione locale gl’inventa una trasmissione apposta, qualcosa del genere “Il feroce Alì Smith sputa addosso agli italiani”.
Tutta questa farsa avrebbe dovuto termitare subito, nel senso che Vespa avrebbe dovuto essere richiamato (altro che Santoro) dalla Rai e sul turco-napoletano Smith sarebbe dovuto calare un velo pietoso. Invece, poiché conveniva, ne è stato fatto un personaggio.
Lui, per bestialità o per obbligo di paga ha prontamente risposto alle attese degli inpresari, che lo esponevano come una belva da baraccone. Il passo successivo,anch’esso prevedibile e previsto, è l’intervento dei delinquenti di Forza Nuova, probabilmente favorito (se non organizzato) dai gestori della tv. Tutto fa audience, va bene.
Ma ormai le cose sono andate troppo oltre e la prossima puntata, se lo sceneggiato va avanti, sarà col morto. Smith va espulso dall’Italia, non perché è musulmano ma proprio perché non lo è. La televisione che cinicamente l’ha usato va oscurata per motivi d’ordine pubblico. Forza Nuova va sciolta, perché è un movimento fascista (tuttora vietato dalla legge) e perché ha provato di essere un’organizzazione dedita alla violenza. I delinquenti che hanno picchiato Smith devono andare in galera e restarci per il tempo previsto dalla legge (non per burletta come i cosiddetti “serenissimi”). L’onorevole Borghezio, che ha rivendicato l’aggressione terrroristica, va espulso dalla Lega. Bossi, che non ha espulso Borghezio, va espulso dal governo. E il governo, che non ha espulso Bossi, dev’essere richiamato da Ciampi.
Tutte fantasie, d’accordo. Però, proprio perché sono tutte fantasie, la prossima volta ci scapperà il morto.

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Lotta al terrorismo. Mosca. Dichiarato “non punibile per vizio di mente” il colonnello Yuri Budanov. Due anni fa, nel villaggio ceceno di Tanghi, interrogando una ragazza “sospetta” le capitò di strangolarla dopo averla violentata.

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Informazione. Un dirigente Rai è stato punito con la sospensione dello stipendio per aver tollerato una trasmissione “diffamatoria” della Guzzanti: si faceva dell’ironia sulla presenza di spacciatori di coca am ministero dell’economia e il ministro – nonostante la verità dei fatti – s’è offeso. VA bene: questa oramai è fra le notizie minori.
A proposito della Sabina: chi l’avrebbe mai detto che Charlot oggi, oltre che dalla poesia, è caratterizzato anche da due belle tette? Eppure “Bimba”, la fiaba-film della Guzzanti, è il film più poetico e più chapliniano (più di “Pinocchio”, per intenderci) dell’anno. Che Charlot oggigiorno sia una donna, è indubbiamente un (felice) segno dei tempi.
All’interno di Bimba, un magnifico Dell’Utri (beh non si chiamava proprio così ma il senso era quello) interpretato con finezza palermitana – nel senso più metafisico della parola – da Enzo Vitagliano: un primo piano del suo sorrisetto valeva, quanto a chiarezza politica, più d’un comizio di Nanni Moretti. “Al governo? C’è Mackie Messer” diceva, senza dirlo, l’attore. L’arte ferisce: quel povero dirigente Rai è rimasto vittima, senza saperlo, della vendetta canonica dei feriti..

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I cattivi maestri. E’ stata una “leggerezza”, da parte della polizia, – ammette dopo più d’un anno il questore Troiani – portare due molotov dentro la scuola dove dormivano a Genova i manifestanti noglobal. E’ stata una “forzatura giuridica” arrestare i manifestanti. E’ stata una balla in finto accoltellamento del poliziotto che “giustificò” l’accanimento E forse addirittura c’è stato un “eccesso di violenza” da parte dei poliziotti. “Oggi forse non lo rifarei più” conclude il brav’uomo.
Meno male. Si fa più festa nel regno dei cieli per un caprone (che prende a cornate la gente) pentito che per novantanove pecorelle eccetera eccetera. Il fatto è che noi italiani uno come Troiani lo paghiamo, fra l’altro, per fare il maestro di antiterrorismo. Figuriamoci che avrebbe fatto se lo pagava Bin Laden.

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I piccoli maestri. Eppure, non ci sono state violenze “di rappresaglia” dopo Genova. E delle P38, neanche l’ombra. Il fatto è che oggi ci sono in movimento più donne. Non come noi, che eravamo maschilisti. Noi avevamo il coraggio dei passamontagna, delle bandiere, degli Erri De Luca. Loro hanno il coraggio mite, “femminile”, di Agnoletto in Palestina. Ed è il coraggio più vero.

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Vaticano. Verranno aperti agli studiosi gli archivi dei rapporti diplomatici con la Germania negli anni Trenta. Segretario di Stato era allora monsignor Pacelli, il futuro Pio XII (polemiche sulla sua arrendevolezza verso i nazisti).

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Poveri. Nel Nord-est sarebbero centodiecimila i poveri assoluti, quattrocentomila quelli relativi (Osservatorio socio-religioso del Triveneto).

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Notizia banale. Un altro pentito accusa Dell’Utri di essere mafioso.

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Altra notizia banale. Appello dell’onorevole Dell’Utri contro il 41 bis.

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A Catania, il cinque gennaio (anniversario della morte di Giuseppe Fava), alla cerimonia il comune era rappresentato da un Angelo Rosanno, appartenente al gruppo ell’ex assessore Ferlito. Costui, cugino di un boss maffioso, è quello che a suo tempo mi fece licenziare da un giornale perché avevo scritto contro suo cugino e un paio d’anni fa, tornato in politica, ci tenne a ripresentarsi provocatoriamente davanti a Claudio Fava che anche lui l’aveva denunciato.

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Potere in Sicilia. Troppo piccola per non essere invasa, troppo grande per essere governata militarmente: la Sicilia, più che una storia, ha sempre avuto piuttosto una geografia. Le elites siciliane si sono trovate automaticamente, grazie ad essa, nella posizione di interlocutori privilegiati ed automatici di ogni dominatore “esterno”. Dai Reyes Catolicos ai politici dell’era andreottiana, ogni potere siciliano (il cui baricentro non risiede mai in Sicilia) s’è trovato nella situazione di dover appaltare quasi tutte le funzioni interne (ordine pubblico, giustizia, ricerca del consenso) alle elites preesistenti: baronìe e cosche mafiose, da questo punto di vista, hanno adempiuto esattamente alla medesima funzione. In cambio, acquiescenza assoluta sulla politica “alta” e rinuncia implicita a farsi portavoce d’interessi locali.
Insieme con l’incidente storico dell’Apostolica Legazia (una specie di gallicanesimo ante litteram ereditato dai Normanni: e cioè, in buona sostanza, l’eliminazione dei contrappesi ecclesiastici al potere) questa situazione ha determinato le peculiarità ideologiche – quanto alle elites: diversissimo è il discorso per le culture popolari – degli intellettuali siciliani. Castrata in partenza, salvo casi estremi (ed “estremisti”: dal giacobino Di Blasi a Giuseppe Fava la funzione di controllo sul potere, mai vissuta di conseguenza la fase nazional-popolare, incanalata la ricerca esclusivamente sui livelli formali, cosa resta alla fine? Sciascia e Meli. Fronda dall’interno dei valori ufficiali, Parigi più vicina di Caltanissetta, scrittura come forma – elegante – di potere. Arcades ambo. (Non a caso, parlando di elites di potere in Sicilia, torna sempre più facile parlare d’intellettuali).

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Maurizio Liardo wrote:
< Caro Riccardo, sono il genitore di due bimbe che frequentano la scuola elementare di Giarre (precisamente la “Manzoni” di Macchia di Giarre) da te citata nella Catena del 30 dicembre. Vorrei precisare che la stimatissima professoressa non si chiama “Emma” ma, non sorridere, “Enna” diminuitivo o vezzeggiativo di Venera. In quanto Vicaria (cioè vice del dirigente scolastico) trovandosi all’interno del plesso al momento della scossa ha provveduto a suonare la tromba che segnala l’evento e l’ordine di evacuazione (sì, davvero una tromba come quelle usata dei tifosi negli stadi) mentre la procedura di emergenza (riparo sotto i banchi e successiva evacuazione dell’edificio) era già stata attivata da tutti gli insegnanti presenti nelle classi ed eseguita alla perfezione dai bimbi, ormai abituati alle precedenti scosse ma sopratutto perfettamente addestrati da continue esercitazioni.
Senza nulla togliere all’insegnante Contarino, posso tranquillamente sostenere che la definizione “persona dell’anno” andrebbe sicuramente condivisa tra gli insegnanti e il personale ausiliario che, con efficienza e autocontrollo, hanno condotto i nostri bambini in salvo; e la dirigente scolastica Lucia Sciuto che, ad ogni scossa percepita (e dal 29 ottobre ne abbiamo avute tante!), anche la più leggera, sollecitava l’immediata evacuazione dalla scuola: pensa che parecchi la deridevano per questo suo “allarmismo”! >

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Una poesia inedita di Franco Fortini

< Al redattore de “Il Siciliano”
che è comparso in televisione la sera
del 7 gennaio 1984
e che forse si chiama Ordales o Rosales
vorrei dire la mia riconoscenza
per l’intelligenza e l’esattezza,
quelle che dal fondo della negazione
e dello sconforto
fanno capire che nulla è morto mai veramente
se c’è la volontà di capire
tranquillamente – e di volere la verità.
A quel redattore
che parlava da Catania
come da Managua, da Ciudad de Guatemala,
la riconoscenza, la gratitudine e anche il silenzio
di un vecchio che venti anni fa a Catania
parlò a cento o duecento studenti, forse anche a lui;
e sa di essere stato compreso. Con lui
tutto continua. >

(Franco Fortini, Milano, 7 gennaio 1984)

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“A che serve vivere, se non c’è il coraggio di lottare?” (Giuseppe Fava)