San Libero – 182

9 giugno 2003 n. 182

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Senzaconfine. “Tutti amu a mòriri, o prima o dopu – disse il vecchio Bastiano – Però, certuni comu mòrunu s’i puorta u ventu; cert’autri invece pesanu comu u’ Mongibeddu”. E’ morto Dino Frisullo, e non ho molto da dire: è un compagno davvero che se n’è andato, e ora siamo più soli. Aveva cinquant’anni, siamo nel duemilatrè, e dunque ha lavorato per tutti noi – aveva cominciato nel ’70, con Dp – per un po’ più di trent’anni. Non da leaderino, da politico “di sinistra”: da compagno. E’ stato fra i primi pacifisti italiani e fra i primissimi (e forse il primo) a organizzarsi insieme agli immigrati. Con loro, ha fondato la prima associazione antirazzista, “Senzaconfine”, che ha fatto da modello a tutte quelle dopo. E’ andato a propagandare la pace, e i diritti dei poveri, in Palestina, Bosnia, Albania e in altri luoghi. In Turchia, a Diyarbakir, è stato arrestato per aver difeso i curdi: è stato rinchiuso in carcere insieme a loro (primo europeo a dividere questa sorte) e al processo ha alzato ancora la voce contro la repressione anticurda. Su questa, e sulla condizione carceraria e sulla legislazione “d’emergenza” turca, Dino scisse un bellissimo libro (“L’utopia incarcerata) che gli fu pubblicato da Avvenimenti. Su altri giornali (anche “di sinistra”) per un certo periodo ci fu invece un veto formale, imposto da autorevoli mandarini, alle sue collaborazioni.
(Poche settimane in televisione fa tutti parlavano con gran prosopopea di curdi: Dino Frisullo era l’unico italiano che non solo conoscesse i curdi ma ne fosse conosciuto benissimo, e ne fosse amato. Eppure è stato l’unico a non essere invitato a parlarne).
La storia della sinistra italiana, per alcuni versi transeunte, per altri versi meschina, nella sua parte più nobile e permanente è la storia degli uomini come Dino. I vecchi socialisti, gli anarchici, i militanti operai, i comunisti clandestini… Qualcuno ha parlato di apostoli, e l’immagine è esatta. Dino è appartenuto a quella razza. Ingenui, poco “pratici”, raramente a proprio agio nei palazzi, il loro ambiente naturale era la vita dei poveri, la strada. Il loro modo d’esprimersi, un po’ impacciato e timido nei dibattiti ufficiali, attingeva a un’eloquenza inaspettata negli appelli di piazza o anche – come nel caso di Dino – davanti ai giudici militari. In questo, erano antichissimi e profondi. Dino, che ha lottato per i curdi e per gli operai bengalesi, è sempre lo stesso Dino (con un nome diverso, ma solo il nome) che in altri tempi ha organizzato gli scioperi delle mondine nell’Ottocento o la rivolta dei senzaterra nei latifondi.
Che possa la sinistra italiana, e noi stessi, raccogliere con umiltà e coraggio l’eredità di uomini come questi. La sinistra dei binghi, dei salotti romani e dei compromessi, oppure la sinistra degli organizzatori, delle testimonianze di vita, dei compagni. Non è possibile essere tutt’e due: c’è da fare una scelta.
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L’ultima volta che l’ho visto è stato a piazza Vittorio, a Roma: una manifestazione di immigrati – organizzata da lui – una delle tante. Piazza di cento popoli, come nessun’altra in Italia: bengalesi, egiziani, curdi, pakistani, cinesi… Un pezzo di mondo nuovo, operoso, duro: il più multirazziale d’Italia e anche – per chi sa leggerlo – il più italiano. Là, tutti lo conoscevano e l’avevano sentito parlare; molti, in un momento o nell’altro, avevano sfilato in corteo insieme a lui. E anche ora che non c’è più, lui là c’è sempre.
Che c’entra un re sabaudo, con la piazza di Dino? Fra coloro che leggono ci sarà sicuramente qualcuno che conosce il sindaco di Roma, Veltroni. Coraggio, sindaco, cambiamo la targa di quella piazza. Via quel Vittorio Emanuele, mettiamo una scritta nuova.
“Piazza Dino Frisullo, compagno”.
E la parola compagno, scrivetela in tante lingue.

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Calma e gesso. “Abbiamo vinto le elezioni a Roma!”. Beh, sì. Questo impedisce a Berlusconi di far peggior danno. Però non abbiamo vinto solo noi, nè perché siamo belli e bravi (siamo stati semplicemente abbastanza maturi, una volta tanto, da non scannarci a vicenda). Abbiamo vinto soprattutto perché molti elettori di destra, messi davanti alla scelta fra Borsellino e Dell’Utri, hanno dato retta a se stessi e hanno fatto il sacrificio di lasciar vincere gli odiati “communisti” pur di dare una lezione a chi gli vuole sporcare la bandiera. Questo, non perché li abbiamo convinti delle nostre idee (non ci credo) ma perché siamo riusciti ad essere, se non convincenti, onesti. Non vogliamo metterci d’accordo con Berlusconi. Non vogliamo mangiare al posto suo. Non vogliamo essere come lui. Saremo “communisti” e magari anche imbranati, ma come Berlusconi no. Ecco, questo messaggio è stato percepito: e lo è stato, secondo me, a partire dal giorno in cui non abbiamo temuto di contestare i nostri dirigenti in piazza e dirgli che eravamo stufi di loro.
Noi non abbiamo temuto, un anno fa, di “fare il gioco della destra”. Una parte degli elettori di destra non ha temuto, adesso, di “fare il gioco della sinistra”. In momenti diversi, abbiamo saputo seguire la nostra coscienza, noi e loro. Seguiamo la “questione morale”, che è l’unica cosa seria, e non montiamoci la testa.

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Nomine. Dopo Taormina all’Antimafia: Nerone ai pompieri, Dracula all’Avis, Confalonieri alla Rai, Orioles alla Banca d’Italia, alle Orsoline la Lewinski…

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“Oggi c’è da ridere”. Dopodomani il signor B. si alzerà dal letto di buon umore, se ne andrà in bagno canticchiando, si farà la barba sorridendosi allo specchio, s’imbarcherà sull’auto blu a passo di danza, racconterà nuovamente all’autista la barzelletta sull’Aids… Ma insomma, che succede l’undici giugno di così ameno da far tanto felice il signor B.? D’altra parte, è lui che l’ha detto: “L’undici giugno ci sarà da ridere”, mica me lo sto inventando io. Boh.

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Cronaca. Palermo. Avvertimento mafioso contro un centro di accoglienza nel quartiere di Brancaccio: durante la notte “ignoti” ne hanno murato la porta con cemento e mattoni. Il fondatore del centro, e di altre iniziative antimafiose nel quartiere, era stato don Pino Puglisi, ucciso dieci anni fa (il 15 settembre 1993) dai killer della famiglia Graviano.

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Nigeria. Il cosiddetto “tribunale supremo” dell’incivile paese africano ha ratificato la condanna a morte di Amina, ragazza-madre e dunque irregolare. Il “tribunale” le ha concesso ancora due mesi per finire di allattare il bambino; a settembre la ammazzeranno a pietrate. Diretti colpevoli di questa atrocità – che bisogna fermare in tutti i modi – sono: i maschi-padroni del paese, che truffaldinamente fanno passare per islamismo la loro perversione antifemminile; tutti i governanti del paese, retto da una dittatura militare sostenuta da alcune multinazionali occidentali (la Nigeria produce petrolio); tutti i manager della Shell, la principale di queste multinazionali. Aderite alla raccolta di firme per Amina promossa da Amnesty International e non fermatevi ai distributori Shell.
Bookmark: http://www.amnistiapornigeria.org

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Lorenzo Baldo, Antimafiaduemila, wrote:
< “La sentenza che libera il “pentito” Enzo Brusca, assassino di un bambino di undici anni… “. Caro Riccardo, posso comprendere un senso di rabbia o di amarezza di fronte alla notizia degli arresti domiciliari di Enzo Brusca, ma è importante analizzare a 360 gradi gli aspetti che compongono l’intera vicenda… Ti giro alcuni stralci tratti dal numero del nostro giornale attualmente in edicola che affrontano la questione. Fammi sapere cosa ne pensi e se può essere spunto di discussione sulla tua Catena >
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Caro Lorenzo, grazie degli articoli: ma qui lo spazio è davvero poco. Sempre più mi convinco che abbiamo di nuovo bisogno di un giornale. Chissà che ne pensano gli altri.

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Marco wrote:
< Ciao Riccardo, ti scrivo perché è successa una cosa ignobile nel quotidiano Liberazione. Hanno cacciato via il giornalista Fulvio Grimaldi (quel giornalista che in tv usciva sempre con un bassotto e parlava d’ecologia) perché ha scritto un articolo su Cuba che non è piaciuto al Partito (quello che protesta per Santoro ed è contro i licenziamenti senza giusta causa). Spero che almeno tu ti indignerai per una cosa simile. Di seguito ti mando l’e-mail di F. Grimaldi che ho ricevuto, grazie >
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Ho notato una cosa strana: ai tempi di Lotta Continua, quelli che sbraitavano più forte (e più irresponsabilmente) poi sono stati i primi a vendersi per denaro; quelli invece che, pur “rivoluzionari”, sapevano ragionare tranquillamente in genere sono rimasti fedeli a se stessi. Così Fulvio Grimaldi: era un buon giornalista allora e un buon giornalista è rimasto; nè aveva bisogno di sbraitare allora, né dopo ha avuto bisogno di ricorrere al “giornalismo” spettacolare (ma molto mediocre professionalmente) dei vari Liguori, Lerner, Mughini e compagnia. Non mi meraviglia che abbia passato guai a Liberazione: in quel giornale coesistono (male) la serietà “communista” di un Sandro Curzi e la civetteria prepotente d’un Bertinotti, che invece comunista non è stato mai. Polemica recente: Curzi critica il giornalista che s’è prestato a sostituire il collega cacciato dalla direzione del Corriere; Bertinotti invece lo difende, tira fuori il bilancino politico e comincia a dire che bisogna distinguere, che in fondo anche quello è un buon giornalista… Due mondi. Fulvio appartiene a quello vecchio, “ingenuo”, dritto e – fra le altre cose – produttore del miglior giornalismo mai visto in questo paese: penso a Turone, a Pintor, a Carlo Rivolta…
(Ehi Marco: Perché non scrivi tu a Fulvio, già che ci sei, e non gli spieghi tu quel che stiamo organizzando? Digli che è un’altra Radio Alice, però stampata…)

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Marco Gabardella wrote:
< Saprai cos’è il piano Marshall, o le motivazioni dell’interventismo di Roosevelt che calpestò la fino ad allora proficua dottrina Monroe. Questi sono solo due dei tanti argomenti che ti dovrebbero fare pensare prima di istigare un fronte eurofilo antistatunitense. Internet ha un potere fortissimo, quasi pari a quello televisivo, quindi pensa bene prima di trascrivere le tue teorie guerrafondaie alla pari se non peggio di quelle di Bush. Non dimenticare che l’odierna posizione statunitense è il risultato della negligenza europea che piuttosto che spendere energie nella ricostruzione di una organizzazione di nazioni alla pari dell’ottocentesco “concerto europeo” ha preferito affidare agli Usa manette, distintivo e soprattutto pistola per fargli fare il poliziotto del mondo. Se cadranno bombe sulla nostra testa non saranno a stelle e strisce, perché se ci uccidono chi lo usa Microsoft, chi si compra i Levis, chi si fuma Malboro, chi beve Jack Daniel? >

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ricc wrote:
< To: European School of Economics. Object: stop spamming. <Cari amici, vi siete comportando scorrettamente nei miei confronti inviandomi della pubblicità che non ho richiesto. Di norma sono tollerante verso questo comportamento ma nel vostro caso faccio un’eccezione perché voi siete – comunque – una scuola e non tollero che una scuola offra di sé un’immagine da supermercato. Il concetto di scuola non va sputtanato. Vi prego perciò di smetterla di mandarmi la vostra pubblicità, che è indesiderata. Potete invece, se lo credete opportuno, informarmi sulle attività della vostra scuola , purché lo facciate da persone civili e non da imbonitori. Cordialmente >

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dino@liberoliberolibero.it wrote:

< E’ cronaca nera
MORTI SOFFOCATI SEI CLANDESTINI IN UN TIR
è politica
MILLE CLANDESTINI RESPINTI NEL PORTO DI BARI
è diplomazia
ACCORDO CON LA GRECIA SUI RIMPATRI
è ipocrisia
ROMA CHIEDE COLLABORAZIONE AD ANKARA
è propaganda
INASPRITE LE PENE CONTRO I TRAFFICANTI
è nausea è rabbia è dolore

Sotto le stelle di Zako
mille Ali sognano l’Europa
in Europa sogneranno il ritorno

e nella nebbia di Amburgo, poniamo,
nella gelida nebbia senza stelle
Huseyn bussa a una porta
ha da consegnare una cattiva notizia
un pane di sesamo secco
e un fiore stecchito… >

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“A che serve vivere, se non c’è il coraggio di lottare?” (Giuseppe Fava)