30 giugno 2003 n. 185
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I pupi. “Prendi marrano!”, “Mori, traituri!”, “A ttia, Ganu di Maganza!” e giù gran colpi di scimitarra e draghinassa, fra gli applausi entusiasti e gl’incitamenti degli spettatori: “Forza, Rinaldo!”, “Ammutta, Ferraù!”. “Cannonate in pancia!”, “Ci avete fatto perdere le elezioni!”. “Dai, Umberto!”, “Forza, Giancarlo!”. Appassionante spettacolo che però a un certo punto, come tutti gli spettacoli, finisce: un’ultima riverenza al pubblico, e via nello scatolone del puparo. E anche il buon Bossi, tirato l’ultimo colpo di durlindana e sbraitato l’ultimo “cane infedele”, s’inchina e rientra docilmente nello scatolone.
Non pensatene troppo male, poveruomo. A lui, in realtà, degli immigrati non gliene frega proprio niente, nè in bene nè in male; solo che c’era bisogno d’un po’ di spettacolo a tinte forti, per distogliere l’attenzione dal lodo Ciampi e dalla scandalosa assoluzione dei potenti. Dopodiché, l’amnistiato si mette in posa e comincia a declamare dal balcone “Me padrone d’Italia! Me padrone d’Europa! Italianiiiii!”. E così il signor B. sbarcò in Europa.
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Della vecchia Dc si può dire tutto il male che si vuole: camorristi a Palermo, ladroni a Roma – ma come politica estera, bisogna lasciarli stare. D’un paese che aveva fatto sette guerre in un secolo, era riuscita a fare una potenza pacifica rispettata da tutti. Di una nazione non grandissima, sconfitta in guerra, famosa per giri di valzer e tradimenti, uno dei tre pilastri su cui sorgeva l’Europa. L’Italia non è sempre stata il paese dei telefonini: c’è stato un momento in cui eravamo una specie d’Iraq bombardato, con le macerie al nord e la fame nera al sud. “Italian fascists”, ci chiamavano, o – i più benevoli – “macaronì” o “mandolini”.
La prima volta che questa Italia andò all’estero, a un dibattito pubblico europeo, il nostro rappresentante era un signore occhialuto alto e magro, abiti decorosi, sorriso raro. Attraversò la sala – quando toccò a lui prendere la parola – fra sguardi compassionevoli e sorrisini. “Mr Digaspery of Aitaly!”. “So bene – cominciò – che tutto in questa sala, esclusa la vostra personale cortesia, ci è contro. Ma noi italiani…”. E parlò. Parlò dell’Italia povera ma coraggiosa, delle guerre subite e della pace sperata, delle macerie che già – senza aspettare nessuno – stavamo rimuovendo. Parlava sempre più piano, epperò ascoltato da tutti, perché il silenzio era grande, mentre – per bocca del suo leader – nella sala passavano le sofferenze e i meriti, gli errori e i doni di tutto un popolo. Che ritornava adesso a parlare – dopo un buio di tanti anni – con tutti gli altri: senza più imporre niente a nessuno, senza più imperi, ma con una sua profonda civilissima dignità.
Infine De Gasperi tacque, raccolse lentamente le carte e si avviò per uscire: al suo passaggio, tutti i delegati – americani, francesi, inglesi, russi e tutti gli altri – si alzavano l’un dopo l’altro in piedi, in segno di rispetto; dietro di lui uscì la piccola delegazione italiana, composta da democristiani, liberali, azionisti, socialisti e comunisti. Da quel momento l’Italia tornò ad essere un paese d’Europa. Insieme – ed alla pari – con i francesi e i tedeschi fu anzi la prima a dire che bisognava unire l’Europa.
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E ora, nel momento in cui finalmente l’Europa cresce economicamente e fa politica, fa fronte all’impero impazzito, prepara forze armate comuni – nel momento in cui, dal punto di vista nazionale, c’era da raccogliere il frutto di cinquant’anni di semina coerente e faticosa – ecco che arriva un brianzolo qualunque e strilla: “Tenetevi la vostra Europa, scemi! Noi vogliamo essere ‘mmericani!”. Gli altri naturalmente lo guardano con un sorriso gentile, e si dividono tranquillamente la parte nostra. Vabbè. D’altronde, non sanno nemmeno se gli abbiamo mandato una persona onesta o un ladro a rappresentarci fra loro; abbiamo fatto una legge apposta per abolire ogni possibilità di saperlo e loro educatamente “Ah sì? Beh, se da voi si usa così…”.
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linarena@yahoo.it wrote:
< Noto che lei nutre una grande nostalgia per il comunismo predicato sul manifesto dal compagno Pintor. Ebbene, le chiedo, mi vuole spiegare di quale tipo di comunismo si tratta? E’ per caso un comunismo che mira al mutamento radicale della società e quindi dei rapporti di produzione oppure è solo una definizione che serve a coprire con una patina di tristezza e di desiderio i discorsi dei reduci del Pci? >
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Cara Lina,
eh, Lei mi fa una domanda da nulla! Bisognerebbe essere un politico per risponderLe; io sono un compagno sì, ma tutto sommato non granchè come militante. Vediamo un po’.
– Lei, Orioles, è communista?
– Sì! Al duecento per cento! Bandiera rossa e falcemmartello!
– Bene: e come penserebbe di risolvere i problemi di oggi in base al suo communismo? Che ricetta di Marx o Lenin vorrebbe Lei applicare?
– Beh… non so, io manderei via Berlusconi…
– Sì, ma per questo non c’è mica bisogno di essere communisti! Mi scusi, anche Scalfari e Prodi vogliono mandar via Berlusconi.
– Voglio… voglio la pace fra i popoli! E basta guerre! Non c’è petrolio che valga un solo morto ammazzato!
– E questo lo dice il papa. Insomma, mi dica qualcosa proprio di communista…
– Nazionalizzare… la Fiat?
– Questo è Cossiga. Il Ds non è d’accordo.
– Grunt. Insomma, lei cerca il pelo nell’uovo!
– No, vorrei solo capire che cos’è il communismo oggi. Sinceramente.
– Sincerità per sincerità, non ne ho la più pallida idea. Io ho conosciuto vecchi sindacalisti, militanti antimafia, partigiani… Avevano lottato contro i “padroni”, contro i boss del paese, contro le Ss… Non so per che cosa lottassero a favore. Erano uomini buoni comunque, questo glielo assicuro. Onesti, non egoisti, benevolenti.
– Sì, ma politicamente? Insomma, che ricetta ci darebbero ora?
– Mah… Loro volevano abolire i mali della *loro* società. La conoscevano bene. Andavano a piedi, loro, mica in mercedes come questi di ora. Non so: mettere un gruppo di ingegneri e operai al posto della famiglia Agnelli: tanto, peggio di com’è finita non poteva andare.
– Così lei chi metterebbe a gestire, che so io, la Microsoft?
– Va bene, mi arrendo. Non lo so.
– Eh eh…
– Aspetti a ridacchiare. Non c’è nulla di male a non sapere le cose: purchè non diventi vizio. Io non le so perché sono vecchio, e la mia società ormai è sparita. Mica lei va da Garibaldi a chiedergli che cosa pensa della Fiat! Quello è garibaldino, si occupa di borboni, italie unite e roba del genere. A ognuno il suo tempo.
– E allora perchè non se ne va ai giardinetti, invece di far finta di sapere la politica?
– Ma io *sono* ai giardinetti! E non sapere la politica è già una conoscenza molto importante. Non creda che gli altri, quelli che ci governano (o “opposizionano” a modo loro) ne sappiano tanto più di me. Solo che io lo dico. E inoltre so *perché* sono ignorante. Non è colpa mia. E’ la Storia!
– Cioè?
– Vede, ogni volta che cambia il mondo (ed è cambiato, sa? Lo lasci dire a me: una volta le ragazze mi sorridevano in tutt’altra maniera) tutti cerchiamo istintivamente di non accorgercene: applichiamo le ricette vecchie, e tiriamo avanti. Come se Garibaldi avesse detto “Avanti, aboliamo la tirannia di Nerone”. Invece, prenda Che Guevara…
– Ah sì, e perché non Fidel Castro?
– Perché Castro ha vinto, s’è affidato al potere, ha fatto cose giuste e sbagliate, e adesso ha molto poco da insegnarci. I tempi. Invece Che Guevara no. Lui ha perso, è morto ai confini del mondo per rivoluzionare quattro contadini e neanche c’è riuscito… però è sempre uno di noi. Voleva bene alla gente, cercava di fare qualcosa per gli altri e su questo ci puntava la sua unica vita. Gli bruciava. Oppure Spartaco. O Peppino Impastato. Oppure Tindaro La Rosa, che era il capo dei communisti del mio paese quando io ero ragazzo. Diversissimi fra di loro, però con una cosa grande in comune: non si facevano i cazzi loro.
– E insomma, ricette concrete niente?
– No: sarei presuntuoso. Piuttosto, direzioni in cui cercare. L’ultima volta che è cambiato il mondo, è stato quando hanno inventato la macchina a vapore. Difatti i compagni allora non solo facevano gli scioperi, ma anche si mettevano in cooperativa e cercavano di impiantare una trebbiatrice meccanica, tutti insieme. Tutt’e due le cose erano socialismo, non solamente una. Ora ci sono i computer, c’è l’internet, ci sono tutte queste belle cose… Oh, ma ci deve pensare Lei che è giovane, a farsi il suo communismo, mica glielo debbo fare io!
– Ma io non voglio fare il communismo!
– E allora usi un’altra parola: che importanza ha? Sapesse quante ne abbiamo cambiate di parole, in tutte queste migliaia di anni! Mica Spartaco votava per rifondazione o i Ds. Si trovi una bella parola, e usi quella. Anzi, dia retta a me: non ci pensi poi tanto, alle parole. Pensi alle cose.
– Allora niente bandiera rossa? Io al balcone mica ci ho messo quella!
– Nooo! Non toccatemela! Parlo per me, s’intende: per me vuol dire un sacco di cose, e non credo che ne farei a meno. Per voi… beh, quella che avete adesso non è male. Ha un sacco di colori, mica uno solo, mette allegria. La vede l’ultima striscia in basso, quella bella rossa? Beh, quella è la mia. Però ci sta bene con le altre, mica bisogna prendersi solo quella.
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Alessandro Madeddu <officina_antagonista@katamail.com> wrote:
< Come di certo saprà, nonostante il disinteresse dei quotidiani e delle reti nazionali, la Sardegna è stata scelta, con decisione unilaterale delle autorità centrali, come sede di stoccaggio del materiale radioattivo proveniente dalle dismesse centrali nucleari italiane. I responsabili esecutivi del piano, ossia i militari e la Sogin, hanno una deroga della presidenza del consiglio su 21 fra leggi della repubblica, decreti ministeriali, regolamenti ambientali ecc; in sostanza, possono fare quello che vogliono senza renderne conto a nessuno – tanto meno a noi Sardi che in questa faccenda siamo i diretti interessati… >
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Parli di communisti, e subito spuntano i sardi. Non ho mai capito che relazione c’è fra queste due razze di gente strana, ma che ci sia è un fatto. I sardi, comunque, sono molto incazzati per questa faccenda della pattumiera nucleare e il venerdì protesteranno in tutta Europa: alle 20.30 del 4 luglio, in qualunque città d’Italia o d’Europa si trovino in quel momento – la proposta è del “Circolo dei Sardi” – i sardi si stenderanno in terra per dieci minuti, in silenzio totale: “in modo che tutti vedano che presto potremmo essere uccisi”.
Aderisco alla protesta (cosa non semplice, dati i miei reumatismi) come isolano di un’altra isola, che spesso invidia ai sardi la loro silenziosa ironia e la loro immensa dignità. Ma dove mettere i rifiuti nucleari? Beh, proporrei due luoghi. Il primo ad Agrigento, esattamente dentro i Templi. L’unica maniera per convincere i (selvaggi) indigeni a tener giù le mani da essi e a non costruirci ville attorno. Il secondo a Treviso: dopo un po’ comincerebbero a nascere trevisani verdi a pallini blu e sarebbe oltremodo educativo, per gl’indigeni, abituarsi a convivere con concittadini di diverso colore.
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Destra e sinestra. Una delle maggiori conquiste del governo D’Alema fu l’istituzione del Bingo. La destra, appena ha potuto, ha risposto con dei circoli ricreativi denominati Sale Tombola. I binghisti accusano i tombolisti di fargli concorrenza sleale. I tombolisti rispondono che la tombola fa parte dell’identità nazionale. Il Bingo, in effetti, evoca new economy, Andy Capp, Blair, plastiche, signore tatchereggianti. La tombola, Storace che festeggia il sindaco di Fregene con vino e porchetta all’abbacchio. “Non a caso e nella misura in cui”, come si diceva una volta, il binghismo è stato l’approdo finale dei ragazzi della “new left” dalemiana. Di destra, ricordo invece una bellissima “tombola del camerata” annunciata sui muri di un paesino etneo qualche anno fa. Insomma, fra bingo e tombola non c’è buon sangue. Alla fine, tuttavia, statisticamente, il cinquantun per cento delle giocate va a finire sempre sul vecchio caro Lotto democristiano.
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Centro. Il presidente della Sicilia Cuffaro indagato per concorso esterno in associazione mafiosa (tramite un altro politico che faceva affari col boss di Brancaccio Guttadauro). Apriti cielo! Come si permette la magistratura? Ecc. ecc. (Fra gli ecc. una vibrante dichiarazione di solidarietà dal presidente della camera Casini, il “berlusconiano buono” su cui tutti contiamo per ristabilire la legalità in Italia).
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Soldi 1. Condannato a tre anni Maurizio Raggio per i soldi all’estero (clandestini) dei socialisti di Craxi. Il tutto alla chetichella. Poche righe sui giornali e nemmeno su tutti; nessuno ha ricordato nell’occasione il misterioso “suicidio” della contessa Vacca, avvenuto due anni fa e ormai del tutto dimenticato.
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Soldi 2. Il nuovo padrone della Fiat, Umberto Agnelli, gira l’Italia esponendo i piani di rilancio della Fiat. Certo la situazione è difficile, ma alla fine ce la faremo. L’orgoglio italiano, i sacrifici, lacrime e sangue, non mollare. Alla fine il pubblico applaude commosso. Nei giorni scorsi s’è tenuta l’assemblea della Giovanni Agnelli & C, la holding di famiglia che raggruppa – sul modello saudita – tutti i cugini, cognati, parenti ecc. del clan Agnelli fino alla settima generazione e che controlla a scatole cinesi la Fiat e tutto il resto. La Giovanni Agnelli & C. ha chiuso l’anno con un utile di cinquantuno milioni di euri, una liquidità impressionante, un patrimonio di 738 milioni di euri e una posizione finanziaria netta del +52,4 per cento. Beh, con tutti questi soldi – penserete voi – non dovrebbero esserci problemi a risollevare la Fiat, orgoglio italiano ecc. ecc. Col cavolo: i soci si sono divisi fra loro (come dividendo) 15,6 milioni di euro, hanno incamerato il resto, e quanto alla Fiat… alla fine dell’assemblea si sono alzati in pedi, si sono rivolti verso il Lingotto, hanno osservato un minuto di silenzio e poi, mentre il più anziano dava il regolamentare grido “Azionistiiii!”, tutti come un sol uomo hanno fatto il gesto dell’ombrello.
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Articolo 18. America. Scende dal camion, consegna il carico di Coca-cola e finalmente può andare al bar a farsi una Pepsi. Lo viene a sapere la Coca-cola, e lo fa licenziare in tronco.
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Telefonini. Con tre anni di ritardo, arriva in Italia (grazie a un accordo fra Wind e Docomo) la tecnologia giapponese dell’i-mode. Di che si tratta? Autocitazione della “Catena” del 24 novembre 2000:
< I-mode e’ uno standard giapponese, analogo al nostro Wap ma molto piu’ efficiente e veloce, che permette di mandare e ricevere e-mail, andare sui newsgroups, fare operazioni di e-commerce e connettersi ad un certo numero di siti predisposti. Si basa su una versione compatta dell’Html che consente di modificare rapidamente i siti esistenti per renderli raggiungibili col telefonino (con Wap invece bisogna riscrivere radicalmente l’intero sito). La prossima versione dovrebbe essere addirittura in grado di utilizzare applet Java e quindi di gestire video e giochi interattivi. In Giappone, I-mode ha raggiunto venti milioni di utenti, scavalcando ogni altro sistema di connessione all’internet via telefonino >
Come mai in Italia solo ora? Perché era troppo semplice e costava poco; niente di paragonabile con i colossali profitti dell’Umts, che fra apparecchiature e riantennizzazione del territorio prometteva di essere la Mecca delle compagnie telefoniche. Per un paio d’anni, affari multimiliardari (non tutti limpidi: vedi Blu) e grandi discorsi; poi l’hanno di fatto abbandonato alla chetichella.
Ma dove vanno a finire tutti i soldi che si fanno coi telefonini? Boh. Tronchetti Provera ha appena finito di comprare la Ap.Biscom, l’agenzia propagandata anni addietro come la Cnn italiana e che invece ha floppato senza concludere niente. I (pochi) giornali che danno la notizia evitano di aggiungere il particolare che a fondare e dirigere l’agenzia, ai tempi della new economy, era stata l’attuale presidente Rai Lucia Annunziata. Qual è stato il valore professionale di questa esperienza giornalistica della Annunziata? Esattamente un euro: la somma (simbolica) per cui alla fine l’ha acquistata Tronchetti.
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Spot. Gli insegnanti e studenti dell’Università di Baghdad che scavano a mani nude tra le rovine della loro biblioteca. I bombardamenti (“intelligenti”?) su tutte le scuole di Bagdad. Quel fotografo freelance, laureato, in medicina, che a un certo punto posa la macchina fotografica e si mette ad aiutare i medici sotto le bombe. Quella professoressa di architettura che, prima di fuggire verso il deserto, ferma un reporter e gli regala (perché almeno non vada perduto) il progetto di parco per i bambini a cui lavorava da tanti anni… La televisione non ha mai parlato di tutte queste cose. Le ha raccolte un giornalista indipendente, Roberto di Nunzio, per Indymedia. Adesso sono diventate un libro.
Scheda: Roberto Di Nunzio, “Corrispondenze da Baghdad”, 7 euri, Falsariga edizioni, via Indipendenza 14, La Spezia, 0187.24183, falsa_riga@yahoo.it.
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un lettore (di “Specchio dei Tempi”) wrote:
< Il fatto che siano stati pretesi 306 euri per il trattamento di una gattina, senza smaltimento, è di per sè sconvolgente. Mia moglie ed io ne abbiamo spesi 80 per un cane di grossa taglia, compreso smaltimento. La lettrice che ha raccontato il fatto, sempre che questa tariffa non comprendesse anche prestazioni collaterali precedenti la soppressione, avrebbe dovuto opporsi prima di pagare >
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Francesco Mantero wrote:
< Chi ha qualche annetto come me e da qualche annetto milita nell’ambientalismo ha sentito parlare di “alterazione del clima” da gas-serra e di “buco di ozono” sin dai primi anni ”70, per esempio nelle pubblicazioni del “Club di Roma”. Il meccanismo che abbiamo determinato per rispondere a questi gravissimi problemi è quanto di più perverso si possa immaginare. “Mucillagini” nell’Adriatico?Non si aumentò il numero o l’efficienza dei depuratori, bensì il numero delle piscine per evitare i bagni in mare. Clima intollerabile in città? Condizionatori per tutti! Se buttano fuori casa il calore e mandano in tilt la produzione energetica non ci riguarda. In bus si soffoca? Tutti in auto… “condizionata”! L’acqua si fa scarsa? Captiamo le ultime sorgenti e scaviamo pozzi sempre più profondi. I rifiuti ci soffocano? Bruciamoli nei “termovalorizzatori” (neologismo rassicurante per i vecchi inceneritori) che fanno tanto bene all’atmosfera. Gli insetti si moltiplicano per il dissesto ecologico e la tropicalizzazione del clima? Decuplichiamo la distribuzione di insetticidi. Desertificazioni su scala globale, ondate migratorie di “emigranti da crisi ecologica”, guerre per l’acqua e per la terra: e poi parliamo di lotta al terrorismo. Si può immaginare un terrorismo più feroce di quello di una parte del mondo che per i suoi sprechi e i suoi lussi condanna a morte un pianeta intero? >
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toni_i wrote:
< Sono contrario alla galera per Previti: è una persona che va recuperata alla società. Lavoro manuale in una comunità in cui capire il senso della cooperazione operaia. Dopo un decennio passato nel Sulcis potrebbe alla fine diventare anche lui una persona per bene >
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Claudia wrote:
< È da tanto che leggo questa e-zine, a volte di fretta e a volte con più attenzione – a seconda della forza che mi resta alla sera! Il contenuto non c’entra. – Mi è venuta una curiosità: chi la scrive? Una sola persona? Un gruppo? Chi è/ chi sono? Come gli è venuto in mente? Come fa a restare sempre aggiornato/i su un mare di cose con continuità? E chi è Giuseppe Fava? Grazie, Claudia >
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Giuseppe Pintus wrote:
< Ma si può sapere chi cazzo sei? Non voglio più ricevere i tuoi messaggi se non mi dici chi sei e che cavolo fai nella vita… >
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Accontentato: ho cinquant’anni, sono un giornalista professionista – abbastanza bravo: vent’anni di antimafia – e da tempo non trovo lavoro perché mi rifiuto di tradire i lettori vendendogli panzane e/o ipocrisie. Sono di sinistra ma, come avrai capito leggendo la Catena, non chiudo affatto gli occhi sulle cazzate fatte da essa. Cerco cioè, come giornalista, di vedere i due lati di ogni faccenda: quando non ci riesco non è per malafede. Pubblico più facilmente le lettere di critica che quelle di lode (che peraltro mi fanno piacere perché sono vanitoso). Credo nel buon senso degli esseri umani e penso che forse qualcosa delle cose che scrivo contribuirà a far crescere più umano qualche ragazzo. Non ho altri obiettivi e non ho fini né politici né d’altro. Giuseppe Fava era il mio Direttore ai tempi dei Siciliani, un bellissimo giornale che si faceva in Sicilia al tempo in cui la Sicilia c’era ancora.
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AntonellaConsoli <libera@libera.it> wrote:
Compagni di viaggio
< Prenderò Baudelaire tra
le mani, poi Matisse
e poi Tolstoi e poi
la nera terra
avrò qualcosa nelle mani
nella mia breve traversata >
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Partenza
< Le grandi valigie degli uomini
le piccole mani dei bimbi
le rotaie con chiazze d’olio
a terra acqua di fontanella
io parto >
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La resa dei conti
< La resa dei conti
non perdona i capricci
e allora dimmi
a che cosa servono gli Dei >
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Per la chiara A
< Per la chiara A voglio una nuvola
e un gufo per compare U
per l’allegra I un vestito d’arlecchino
e per la O meravigliata un grande cielo
la E da brava mediatrice brillerà
negli occhi dell’onesto rigattiere
e una L gentile la prenderà per mano >
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“A che serve vivere, se non c’è il coraggio di lottare?” (Giuseppe Fava)