14 luglio 2003 n. 187
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“Qui è nato Paolo Borsellino”. La scritta, su un bel cartello giallo a bordo nero, è in via della Vetriera, nel cuore della Kalsa, a Palermo. Veniva da un quartiere povero, Paolo Borsellino. Cosa c’è sotto la scritta? Un bel cumulo d’immondizia, ormai abituale. Periodicamente, i cittadini le danno fuoco, visto che il camion del comune non passa mai.
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“Affetto e solidarietà”. Vengono manifestati dai rappresentanti degli industriali siciliani al presidente della regione, coinvolto nella solita inchiesta mafia-politica. Non si chiama più Ciancimino (il tempo passa) ma la faccenda è sempre la stessa: giudici senza criterio istigati dai communisti. E il politico giustamente s’offende e protesta limpida innocenza.
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“Questo prete se ne deve andare”. Don Baldassarre Meli da vent’anni è il parroco dell’Albergheria. Vennero i mafiosi a spacciargli droga davanti all’oratorio e lui li mise in fuga a cazzotti. Vennero i disperati da paesi lontani, emigranti per fame come noi siciliani, e lui gli dette un tetto e gli cercò un lavoro. Vennero gli usurai mafiosi a raccogliere i bambini poveri del quartiere, a venderli ai pedofili in cambio dei debiti non pagati: don Meli difese selvaggiamente i picciriddi, denunciò i pedofili e li mandò in galera. Adesso, sta facendo le valige. I superiori hanno deciso che c’è stato anche troppo, un prete come don Meli, a Palermo. Via, trasferito. “Sopire, troncare… padre reverendissimo, lei m’intende”. Non c’è più l’antimafia e la rete a difendere preti come don Meli. Lui stringe i pugni, impotente. Che fine faranno, adesso, i suoi bambini?
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Questa è Palermo, undici anni dopo. Dei nostri antichi maestri alcuni – quelli a cui volevamo più bene, quelli di cui ci fidavamo come un ragazzo si fida d’un buon professore – hanno cambiato bandiera. A difendere i politici inquisiti oggi s’alza pure la voce di padre Pintacuda. Noi non osiamo giudicare: ognuno risponde a se stesso e alla coscienza sua. Ma voi, ragazzi, tenete duro, per l’amor di Dio.
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I nostri soldati. 19 luglio 1992. Catalano Agostino, Cosina Walter, Loi Emanuela, Li Muli Vincenzo, Traina Claudio. Caduti combattendo per il popolo siciliano contro la dittatura politico-mafiosa.
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Promemoria. Sabato 19 alle 20.30, nell’aula magna di palazzo Steri a Palermo, presentazione del libro “Giustizia e Verità”: gli scritti inediti di Paolo Borsellino. Presenti: Gian Carlo Caselli, Don Luigi Ciotti, Rita Borsellino, Giorgio Bongiovanni. Organizzano: Facoltà di Lettere, Libera, Antimafia Duemila.
Info: 0734.810470, www.antimafiaduemila.com
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Casca o non casca? Vince Fini o vince Bossi? Sua Eccellenza resterà in Italia o profitterà di qualche presidenziale viaggio all’estero per restare in qualche paese senza estradizione? Chi sarà il presidente di transizione, Casini o Fazio? “Il governo gode di ottima salute”.
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Radio Londra. Le tv italiane hanno finalmente dato notizia dell’istituzione di processi capitali nel campo di concentramento di Guantanamo, in cui sono rinchiusi i prigionieri catturati dai marines in Afganistan. I lettori della Catena (e di Clarence, di Infoguerrilla e di pochi altri siti liberi italiani) però questa notizia l’avevano avuta già il 23 giugno: in ritardo peraltro, perché essa circolava già (su giornali anglosassoni, e sulla Bbc) da altri venti giorni. In Italia, insomma, fra l’informazione ufficiale e quella vera c’è un distacco di circa un mese. E’ una situazione da radio Londra. Ci rende orgogliosi, e ci fa paura.
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La Verifica. Grazie alle sue conoscenze altolocate (il cugino dell’autista della contessa Serbelloni-Mazzanti-Viendalmare) Fantozzi fu invitato, senza diritto di parola, all’incontro informale fra i capi delle principali forze di governo. L’incontro si era reso necessario perché da alcuni mesi costoro litigavano fra loro praticamente su tutto. “Fantozzi, si sieda lì e non dica una parola. Lei rappresenterà il Popolo Italiano, l’audience, i coglionazzi insomma”. Era la prima volta che Fantozzi partecipava alla politica! Perciò si raggomitolò in posizione quasi-fetale su una lussuosa sedia con braccioli dorati stile Luigi Trenta, con un maggiordomo in livrea severamente impettito alle sue spalle. Di fronte a lui, da un grande dipinto a olio di dieci metri per otto, lo guardava con aria di rimprovero il generale Alfonso Lamarmora, raffigurato a cavallo mentre sventolava la bandiera della patria. Alla sua destra, il conte Camillo Benso di Cavour (in un altro quadro formato campo di calcio) stava solennemente inaugurando la prima seduta del Parlamento Italiano: e anche lui guardava proprio Fantozzi, con aria ammonitrice. A sinistra c’era Garibaldi a cavallo, con la sciabola alzata nella destra, il telegramma “Obbedisco!” nella sinistra e il solito tricolore, grande quanto un lenzuolo, nell’altra mano.
Il dibattito cominciò. Il primo a prendere la parola fu un signore un po’ scuro, coi capelli ricci e neri (“Sarà un meridionale”, pensò Fantozzi) che guardò con aria di disgusto le due bandiere nei quadri. “Sapete che ci faccio con quella roba? – sghignazzò – Io mi ci pulisco il c…!”. Fantozzi arrossì violentemente, primo perché gli avevano insegnato che non si dicono le parolacce in pubblico e poi perché lui era un patriota e a casa aveva ancora il tricolore dei tempi di Italia-Germania. Per fortuna, un giovane intellettuale con l’aria saputa e gli occhiali (“Sarà un communista”, pensò Fantozzi) insorse violentemente. “Voi leghisti! Siamo stanchi di tollerarvi! Nemici della patria! Ve la faremo vedere!”). Fantozzi annuì, tutto contento. “Lei, Fantozzi!”. “Io?”. “Sì, dico a lei! Di dove sarebbe lei? Da dove viene?”. “Io… io sono di Milan… Ahi!”. Un formidabile manrovescio gli fece cadere due denti. “Così imparate a disprezzare la patria, voi padani! – fece il patriota occhialuto – Viva l’Italia! Andiamo avanti”. Tutti sorrisero compiaciuti, compreso il meridionale che aveva parlato per primo.
Il dibattito si avviò sui temi economici. Con aria lugubre, il ministro delle Finanze (palandrana nera, cilindro nero, occhiali scuri e cornetto all’occhiello) tossicchiò un paio di volte. “Ehm… Dunque… La congiuntura economica… Direi che… Considerando i fattori critici… Insomma, non c’è una lira”. Occhiali giù dai nasi, pasticcini di traverso. “Come non c’è una lira? Che fine hanno fatto tutti i nostri soldi?”. “Come facciamo a fare la devolution?”. “Che cazzo diamo questo ventisette alla gente?”. “Come facciamo il ponte di Matera? L’avevamo promesso!”.
“Signori… il fatto è che… purtroppo… l’allungamento della vita media… un parametro che non dipende da questo ministero… fatto sta che quest’anno sono morti pochissimi pensionati…”. “Ah! Le pensioni!”. “Fantozzi – sussurrò con aria sinistra il tesoriere – lei che cosa fa, di mestiere?”. “Io… io non lavoro più… sono pensionat… Ahia!”. Un terrificante sganassone gli fece saltare altri due denti. Cercando di non farsene accorgere, Fantozzi li raccolse accuratamente: un suo conoscente, che era stato un tempo dentista in Albania, forse glieli avrebbe reinstallati senza chiedere l’ipoteca sulla casa come facevano gli altri dentisti. “Maledetti pensionati!” fece un altro, e alzò minacciosamente un braccio. “No, no! Rinuncio alla pensione! Torno subito in fabbrica!”. “Bene! Lei è ancora un giovanotto, Fantozzi! Può lavorare fino a settant’anni!”. “Settantacinque!”. “Ottanta!”. “Ottantadue!”. Alla fine Fantozzi fu aggiudicato per centoquindici anni. Lui si chiedeva come avrebbe fatto a campare così tanto, visto che la mutua non passa più le medicine.
Il dibattito proseguì su tutti gli altri argomenti, dalla politica internazionale (qui Fantozzi si salvò dichiarando che suo nonno ci aveva addirittura sparato, contro i tedeschi) all’istruzione (fu deciso di togliere l’italiano dalle scuole, perché oramai c’è l’inglese; in compenso fu istituito il corso di Velinologia, obbligatorio per tutte le ragazze e per il trenta per cento dei ragazzi). Durante tutto questo tempo, il maggiordomo continuò a guardare con aria severa Fantozzi senza accorgersi minimamente delle posate e dei ninnoli che gli altri facevano sparire con aria indifferente nei taschini. In un angolo, un signore piccolo e simpatico raccontava barzellette (“Cosa fa un frocio che sta morendo di aids? Le sabbiature… così s’abitua a star sotto terra!”) a cui tutti ridevano fragorosamente. In fondo alla sala, un tedesco in uniforme pestava disperatamente su un pianoforte, evidentemente ubriaco.
Alla fine, come Dio volle, la verifica finì. Fantozzi raccolse da terra la manica che gli avevano strappato, s’inchinò educatamente a Garibaldi, al conte di Cavour e al maggiordomo e se ne uscì, finalmente, con qualche dente in meno ma lieto per il momento storico che aveva vissuto. Anche gli altri – chi era ancora in grado di alzarsi – si alzarono fragorosamente e si mossero per andar via. Per terra c’erano pozze di vomito, residui di coca, pugnali, boccette con teschi incrociati e documenti di programma. Per ultimo uscì il signore piccolo e simpatico. “Azeglio – fece uscendo – spazzi via tutto, mi raccomando”. “Il maggiordomo s’inchinò: “Sì, Eccellenza”.
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Archeo. Soddisfazione negli ambienti imprenditoriali siciliani per la sanatoria dei reperti archelogici decisa dal governo: chi possiede illegalmente beni archeologici d’ora in poi se li potrà tranquillamente tenere. Negli ultimi trent’anni, i carabinieri del Nucleo di tutela del patrimonio artistico avevano recuperato oltre cinquecentomila reperti rubati o detenuti illegalmente dai privati. Tanta fatica adesso è del tutto inutile, visto che ormai è passato il principio del “chi arraffa arraffa” e i proprietari illegali vengono tranquillamente equiparati ai musei. Il provvedimento, a quanto pare, non ha scandalizzato nessuno (meno che mai l’opposizione): e d’altra parte che c’entriamo noialtri coi greci, coi romani antichi e cogli etruschi? Se li venissero a sorvegliare loro, i loro cocci, se ci tengono tanto: noi italiani, grazie a dio, ce ne freghiamo. Gran parte del patrimonio archeologico italiano è già sottratto al pubblico, rinchiuso in collezioni private o venduto per quattro soldi a collezionisti stranieri. Esclusi, naturalmente, i reperti troppo grossi (come i Templi di Agrigento) per essere impacchettati e portati via: in questi casi gl’italiani si limitano a costruirci attorno palazzi, ville e discariche abusive.
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Europa. Continua il semestre di presidenza di Bahamas, Cayman, Liechtenstein e altri paradisi off-shore. Il neo-presidente questa settimana se l’è presa con la regina d’Inghilterra (“vecchia strega ritinta”), col primo ministro dell’Eire (“ubriacone come tutti gli irlandesi”), col segretario dell’ambasciata italiana (“si è deodorato le ascelle prima di venire a pranzo?”), con il rappresentante del Senegal (“ma lei è un negro!!!”), col presidente Prodi (“io sarò ladro, ma anche lei non scherza”), col direttore del Frankfurter Allgemaine (“zitto tu, crucco!”), col ministro degli esteri olandese, con l’Economist, con l’incaricato d’affari di San Marino, con l’arcivescovo di Canterbury, con l’Associazione Svizzera Combattenti e Reduci, e poi naturalmente con i froci, i giudici e i communisti. Alla fine, ha dichiarato: “Sono stato frainteso”.
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Los Angeles. In occasione dell’Arroyo Fest, “giorno del fiume” i cittadini sono riusciti a far chiudere dalle 6 alle 10 una delle autostrade più frequentate. Su di essa hanno camminato, in grandi gruppi e in modo piuttosto disorganizzato, scampagnante e piacevolissimo. “Surreale, fantastico – si sentiva dire – è stranissimo poggiare qui i piedi e non le ruote, io le ruote non ce le voglio mettere più”. Gli anziani raccontavano di come a suo tempo le case automobilistiche pagarono per la distruzione della rete tranviaria e di tutti i trasporti pubblici, storia completamente ignorata da tutti i cittadini con meno di sessant’anni. Al ritorno, i cittadini hanno risalito il fiume, recandosi per la prima volta sulle sponde attraverso buchi del reticolato sedendosi a guardare gli uccelli e le piante, parlando a sconosciuti, tutte cose che il mito della città violenta proibisce al di là di ogni immaginazione. (Toti O’Brien)
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Teheran. Proibita dagli ayatollah Bhianco e Scajolah la manifestazione studentesca indetta per protestare contro il governo. Una “zona rossa” (nella quale è stato vietato con le armi l’accesso ai manifetanti) è stata istituita nella zona dell’università. Gli studenti sono stati attaccati con violenza sia dalle normali forze dell’ordine che da squadre speciali in borghese di oscura provenienza. Il viceayatollah del governo, l’imam Finih, si è personalmente recato presso la sede della polizia di Teheran per coordinare l’azione di polizia, pasdaran e squadre speciali in nero.
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Giornali. Il signor B. ha dichiarato: “Io volevo stabilire la normalità della vita politica italiana. Ma come si è risposto a questo mio principio? Con una campagna giornalistica durata nei mesi di giugno, luglio, agosto, campagna immonda e miserabile che ci ha disonorato per tre mesi. Le più fantastiche, le più raccapriccianti, le più macabre menzogne sono state affermate diffusamente su tutti i giornali…”.
(B. in questo caso sta per Benito: è una dichiarazione del 1924…).
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till@mercurioproductions.com wrote:
< Sembra che questa settimana gli incassi nelle sale milanesi abbiano un numero uno indiscusso: “Charlie’s Angels 2”: 4.716 spettatori con una spesa di 32.835 euro. E invece no. Se sommiamo gli incassi e gli spettatori delle due parti del film di Giordana, i milanesi hanno dato i numeri: 18.641 + 14.788 euro = per un totale di 33.429 euro. Spettatori 3.487 + 3.235 cioè 6.722 biglietti venduti. Di solito, i fimme tagliani fanno pena e spesso le pelicule mericane sono toste. Stavolta è annata divessamente. Pecche?
Perché il film di Giordana non è uno stupido videogame e i milanesi non sono tutti giocatori da stupidi videogame. Nonostante la vergognosa “vicenda” Rai, Giordana ha dimostrato che molti cittadini preferiscono un mattone di sei ore (spaccato addirittura in due parti) ad un pezzo di allegria demenziale marchiato Ollivud. Un film difficile su cose italiane difficili, se scritto, diretto e recitato bene, non è condannato solo ai forum ciellini della noia perdonista >
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Pino Conte wrote:
< Condivido il tuo orrore per le notizie sui detenuti nelle carceri!!! Per quello che ne so io il carcere dovrebbe essere una sede come quella di non mi ricordo dove, in cui si lavorava al computer e si coltivavano piantine di pomodori in una serra >
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Nino wrote:
< Riccardo, parte dei tuoi E.zine si trovano ormai da qualche anno anche su www.till-news.org; E’ un po’ che non metto gli ultimi pezzi, a dire il vero, ed altri, cambiando server, sono andati perduti. Ora però, che avrò qualche settimana di ferie, riprenderò ad uploadarli. Per i commenti sull’immigrazione, che dirti? Dio (anche se tu non ci credi, in Dio) ti benedica. Io penso di credere in Dio da tre o quattro anni, e penso anche che se per metterci alla prova permette la stupida, ignobile, cattiveria di alcuni uomini, per gli altri uomini (le vittime, gli olocausti, gli agnelli, i “carrettatori del mare”), Egli abbia serbato già un posto talmente invidiabile da far crepare all’infinito Berlusconi (Bossi è solo un pericoloso cretino, che forse il buon Dio perdonerà pure!). Ti abbraccio, Nino Tilotta (orgoglioso ex de I Siciliani) >
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gaetanovolpi@liberliber.it wrote:
< In collocare le pagine, massime di notabil numero, ci vuole un non volgare accorgimento, e una particolare avvertenza e attenzione, e certamente non occorre aver troppo bevuto; altrimenti si erra con gran facilità >
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AntonellaConsoli <libera@libera.it> wrote:
Quanto la terra l’ama
< Guarda quanti fiori
in quelle braccine rotonde
guarda come corre tranquilla e scalza
su quella terra che sente sua.
Quanto la terra l’ama lei solo lo sa
era già tutto chiaro
tanto tempo fa. >
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La violetta
< Sul tuo tavolo
la violetta non dà più fiori
e forse dovrei essere un po’ triste
o consolarmi
sapendo che è passato il suo tempo >
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E tu che mi ami tanto
< E tu che mi ami tanto
e mi hai insegnato che son bella
adesso non mi vedi
ora che il mare m’ha pettinato e levigato per benino
ora che dolce la sera cede
i suoi veli amaranto
e tutte le donne aspettano
di essere belle col compagno >
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“A che serve vivere, se non c’è il coraggio di lottare?” (Giuseppe Fava)