San Libero – 188

21 luglio 2003 n. 188

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Venticinque luglio. “Giornale Radio. Sua Maestà il Presidente d’Italia e Protettore d’Albania ha accettato ieri le dimissioni di Sua Eccellenza il cavalier Benito Berlusconi, che ad opera dei Regi Carabinieri è stato già tradotto in luogo sicuro e protetto da ogni intemperanza popolare. Sua Maestà ha conferito i pieni poteri al Maresciallo d’Italia Massimo Ruteglio. La guerra contro l’Europa continua, a fianco dell’alleato americano e con inconcussa fede negli alti destini della patria. Nessuna recriminazione sarà consentita, nessuna manifestazione tollerata”.

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Saddam si sbarazzava dei personaggi scomodi. Anche Blair. “Alì il comico” (il famoso ministro dell’informazione iracheno) sparava balle galattiche a puro scopo di propaganda. Anche Bush. Nè Bush, nè Saddam nè Blair sembrano destinati oggi a unbrillante avvenire. I due che non sono ancora latitanti riescono a sopravvivere per il momento solo perché hanno più missili e cacciabimbardieri. Ma sono, con ogni evidenza, della stessa razza. “La storia ci assolverà”, hanno detto quando le balle sono apparse troppo evidenti. È quello che hanno sempre detto tutti i dittatori, da Hitler in poi. Tradotto in linguaggio corrente vuol dire: “È vero, abbiamo violato tutti i valori civili e umani in cui voi gente comune credete, a cominciare dal rispetto della verità. Ma l’abbiamo fatto per alti scopi storici, talmente alti che voi poveracci qualunque non potete arrivare nemmeno a capirli”.

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I soliti ignoti. Secondo il giornalista “africanologo” Di Nunzio (www.nuovimondimedia.com), il coinvolgimento dei servizi italiani nella faccenda dell'”uranio di Saddam” è reale: ma nel ruolo delle vittime bidonate, non degli zerozerosette. Com’è andata, allora? Ecco: francesi, scocciati per la prepotenza di Bush, a un certo punto decidono di gettargli una “polpetta avvelenata” per inguaiarlo. Scelgono un paese africano sotto la lroo influenza (il Niger) e di là mettono in giro terrificanti voci sul traffico di uranio fra l’Africa sahariana el’Iraq. Gl’inglesi, che sono gente seria, non ci credono. Gl’italiani (come previsto dai francesi) sì. Compilano avidamente un rapporto e lo mandano al loro capo del governo. Costui, alla prima occasione, lo consegna con gran solennità al Comandante Supremo. Per Bush, è un regalo insperato: venendo da un capo di governo, suppone che sia stato controllato. Per Berlusconi, che da mesi scodinzola davanti al ranch del texano, è un’occasione per darsi importanza.
Su questa bella base, scoppia la guerra e ci lasciano la pelle alcune migliaia di iracheni e alcune centinaia di americani. Alla fine, naturalmente, la balla vien fuori. Gl’inglesi, costretti a stare al gioco, difendono come possono lo scoop di Berlusconi (sempre però precisando “noi non c’entriamo”). Alla fine, quando lo scoop da indifendicile diventa proprio ridicolo, si “appellano alla Storia” (non senza qualche altro provvedimento diciamo così operativo) per chiudere il caso. Applausi per Blair e funerali per il dottor Kelly.
Chi è il responsabile dei servizi segreti in Italia? Direttamente il presidente del Consiglio. Chi dovrebbe controllarli per conto del Parlamento? L’ex ministro del centrosinistra Bianco, quello che fece massacrare i pacifisti a Napoli. L’unica cosa che ci salva, è che per fortuna in Italia le sceneggiature “segrete” tendono a ispirarsi a Totò e non a Schwarzenegger.

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Genova. Due anni fa, il 21 luglio 2001, sono successe essenzialmente due cose. Una è patologica: di fronte a manifestazioni di piazza la polizia – evidentemente ancora molto più argentina che inglese – è intervenuta con spranghe e torture. Queste ultime hanno suscitato le proteste di Amnesty International, che di norma si occupa di dittature del terzo mondo. Dalle indagini sono risultati particolari tipicamente sudamericani: funzionari di polizia che trascinano un sacco pieno di molotov nel dormitorio degli studenti per incriminarli, agenti che s’inventano coltellate per giustificare le torture, e roba del genere. E questa è una delle due cose, quella che ottimisticamente si può attribuire a devianze di singoli (per quanto altolocati) individui.
Il secondo aspetto del luglio di Genova invece non appartiene alla patologia, ma proprio alla fisiologia del sistema. Delle squadre speciali sono state reclutate e scaraventate, per giustificare la successiva repressione, sulla città inerme. Nessuno dei cosiddetti black-bloc è stato ostacolato dalle forze dell'”ordine” nel compimento del suo lavoro. Diverse foto li mostrano a braccetto con gli esponenti della polizia “ufficiale”. I computer in cui erano custoditi i files relativi, raccolti dal “movimento”, sono stati il primo obiettivo delle spranghe della polizia regolare. Di questi files uno, coi nomi più compromettenti, è stato misteriosamente “rubato” nella stessa centrale di polizia, e a tutt’oggi non si sa che fine abbia fatto.
Tutte queste precauzioni si sono ovviamente rivelate inutili, in un mondo in cui l’internet permette di raccogliere e metterre fulmineamente in rete notizie che un tempo potevano essere insabbiate. E comunque non cambiano il dato complessivo: in presenza di una contestazione di massa, non estremista e dunque potenzialmente “pericolosa”, il potere in Italia reagisce con “iniziative speciali”, allo scopo di estremizzare il movimento, spingerlo a reazioni violente e utilizzarlo dunque come spauracchio sociale. Nel 68, l’estremizzazione del movimento era stata ottenuta con le bombe di piazza Fontana. Nel 77, con l’assassinio a revolverate – tuttora impunito – di due studenti dell’università di Roma. A Genova, invece, l’obbiettivo non è stato conseguito: grazie alla grande e inaspettata maturità del movimento, che è rimasto ed è tuttora uno dei protagonisti politici italiani (il che non è privo di peso nel momento in cui si attende una nuova svolta dal centrodestra al centrosinistra). Ciò tuttavia non assolve affatto il potere da ciò che ha tentato di fare. All’interno del governo attuale, il personaggio più presentabile e legalitario è risultato senz’altro (in confronto agli altri) il “fascista” Fini. Eppure è stato proprio lui, nei giorni di Genova, a piombare misteriosamente a dare ordini e istruzioni: agli uomini in divisa, e a quelli senza.
L’estremismo violento, l’ingenuità, l’agire senza pensare, dopo Genova escono definitivamente dall’orizzonte dei movimenti italiani: nessuno sarà più così stupido da cader nelle trappole in cui sono caduti – per esempio – quelli del 77. Esce però anche l’ipotesi di una destra che si democratizza progressivamente: i servizi segreti di Genova operano esattamente nel solco di piazza Fontana, con la stessa strategia terrorista e le stesse coperture ai livelli più alti del potere.
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Carlo Giuliani è morto – a quanto hanno dichiarato i magistrati – per un proiettile colpito in aria da un sasso, un caso su un milione. Non è stato ritenuto necessario approfondire se altri carabinieri o agenti speciali, oltre quello già noto, abbiano tirato colpi di pistola. Non è stato retenuto necessario approfondire il motivo per cui nelle due ore dopo l’omicidio le autorità diffusero la voce (immediatamente smentita grazie all’internet) di un decesso causato da una sassata. Con tutto ciò, io da molto tempo ho deciso di non discutere le sentenze della magistratura: sia quelle che mi piacciono, sia quelle che non mi piacciono. Immagino che i magistrati che hanno indagato su Genova (e che hanno denunciato le bugie, sulle torture e altro, di polizia e ministero) l’abbiano fatto con la massima consapevolezza del ruolo che si assumevano, in un momento così decisivo e drammatico, per la credibilità della giustizia presso le giovani generazioni di questo Paese. “Ci sono dei giudici in Italia. Falcone darà giustizia ai massacrati, Falcone dentro l’anima dei giudici che non hanno paura” scrivevo, non per emozione ma razionalmente e convinto, in quei giorni. Perdonatemi se vado avanti con l’autocitazione:
“Falcone, fra le tante cose che ci ha lasciato, ci ha lasciato anche questa, che la giustizia non appartiene nè al governo nè alle autorità: appartiene a tutti. Non c’è bisogno di vendicatori nè d’improbabili rivoluzioni, per fare giustizia: ci sono già i giudici, e di loro ci possiamo fidare. Così, a te che stai leggendo e che stai cominciando :-) ad essere un compagno ora, posso dire tranquillamente che passamontagna e sassate sono roba da coglioni, che puoi fare politica senza sfasciare niente, che puoi veramente provare – ma seriamente – a cambiare il mondo. Perché non sei mai solo, compagno. C’è sempre la legge, e una Magistratura serva della legge, che non ce l’ha con te ma anzi quando hai ragione ti difende”.
Non ho nulla da aggiungere a quello che ho scritto allora. Se la coscienza o il coraggio di qualcun altro ha ceduto, questo non cambia niente. I miei ragazzi hanno abbastanza cuore e cervello per non cadere nelle trappole, per capire che – in ogni caso – questo è il loro Stato, da conquistare e riempire, civilmente, passo per passo. Questa lezione avrebbe potuto e dovuto essere data da ben altri che da un povero giornalista: ma comunque è ormai matura per essere recepita. È questo che al potere fa paura. Andiamo avanti.

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Su Genova è uscito in questi giorni un ottimo libro (il più completo e documentato finora scritto sull’argomento) di Carlo Gubitosa, che vi ha dedicato due anni di lavoro investigativo e giornalistico di primo livello. Non è un racconto romanzato nè un insieme di “pezzi di colore” ma semplicemente la raccolta, circostanziata e datata, di circa duecento fatti e dati (corredati da foto e video, in un CD allegato) che, nel loro complesso, permettono di ricostruire un quadro abbastanza oggettivo di Genova e dintorni. Mi sento di raccomandarlo ai lettori.
“Genova, nome per nome. Le violenze, i responsabili, le ragioni: inchiesta sui giorni e i fatti del G8”. Un libro di “Terre di Mezzo” e “Altreconomia”. Pagg. 624, Euro 25, con Cd-Rom.
Info: Carlo Gubitosa – c.gubitosa@peacelink.it – 3492258342

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Informazione 1. Dai controlli di Enrico Peyretti (che ha contattato tutti i principali quotidiani) risulta che l’unico giornale italano a parlare tempestivamente del braccio della morte a Guantanamo è stato Liberazione, il 5 giugno. La notizia è stata invece “bucata” da Avvenire, Corriere, Europa, Manifesto, Osservatore, Repubblica, Stampa e Unità, oltre che naturalmente da tutti i giornali di destra.

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Informazione 2. Oggi manifestazione dei giornalisti contro il decreto Gasparri, che prevede fra l’altro la privatizzazione selvaggia della Rai. Al decreto Gasparri aderiscono Berlusconi e il senatore (destra Ds) Debenedetti. Alla manifestazione contro aderiscono l’associazione dei giornalisti liberi (Articolo 21) e Riccardo Orioles.
Info: www.articolo21liberidi.org

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Caporalato. Le varie aziende che gestiscono il lavoro interinale (gli equivalenti moderni degli antichi “caporali”) vogliono consorziarsi e, nel loro insieme, diventare un interlocutore ufficiale dello stato. La privatizzazione, insomma, dell’antico ufficio di collocamento. Ai tempi della democrazia, questo era stato una delle tante conquiste dei lavoratori: non più raccogliersi in piazza, all’alba di ogni giornata, in attesa del “caporale”, ma iscriversi in liste ordinate, basate sull’anzianità e sui diritti, sotto la pubblica tutela. A chiedere il collocamento privato, a nome di tutti gli altri caporali, è stato l’ex sindacalista Enzo Mattina: ai tempi in cui i lavoratori contavano, faceva la voce grossa contro i padroni; adesso che comandano gl’imprenditori, s’è fatto imprenditore egli stesso e la sua impresa consiste nel comprare e vendere i lavoratori.

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L’ispezione. Bossi manda due tizi alla Procura di Milano. I tizi arrivano e dicono ai giudici di fargli vedere le carte riservate delle indagini sui soci di Bossi. I giudici naturalmente li mandano a cagare. Bossi si mette a sbraitare (“non volete collaborare! non avete ripetto per i superiori!”), poi arrivano le persone serie e la cosa naturalmente finisce lì. Ma allora perché lo fanno? Per creare un clima. Se non c’è abbastanza casino sarà molto difficile, il giorno della sentenza, scappare a cavallo e sparando in aria coi complici fulmineamente presi in sella. (Nel frattempo, ovviamente, Bossi si è servito del fatto di possedere il ministero della giustizia per vietare ai giudici di andare in America a raccogliere documenti su un intrallazzo di Berlusconi).

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Le tre i. L’indirizzo internet della Presidenza europea da diversi anni è semplice e breve: “www.eu-anno-punto-paese del presidente”. Col presidente greco, per intenderci, era “www.eu2003.gr”. Adesso dovrebbe essere “www.eu2003.it”. Ma se andate a questo indirizzo trovate una carrettata di storie, dati, conflitti d’interesse, barzellette… tutto per informare l’Europa sul pericolo Berlusconi. Come mai? Beh, il governo italiano non è semplicemente riuscito a registrare l’indirizzo: e se l’è preso un ragazzo belga, un certo Coeppens, che l’ha impiegato a modo suo. Vi ricordate le tre i? Una era l’internet. Speriamo che prima o poi almeno imparino come si registra un sito.

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Controvoglia. Due buoni provvedimenti del governo. Il primo, la stretta di freni con la “patente a punti”. Il secondo, la legge per punire un pò più seriamente i maltrattamenti e l’abbandono di animali.

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La Bossi-Fini. È stato giustiziato, col determinante concorso delle autorità italiane, il dissidente siriano Muhammad Said Al-Sahri. A novembre dell’anno scorso aveva cercato asilo politico in Italia ma – in base alla Bossi-Fini – era stato fermato in aeroporto, detenuto per alcuni giorni e infine riconsegnato alle autorità siriane. Il decesso, la cui notizia è giunta adesso ai familiari, è stato causato dalle torture subite in un carcere di Damasco.

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America. Ergastolo a un imputato dell’Oklahoma per aver ” gettato liquido corporeo addosso a un dipendente statale”. L’uomo, John Marquez di 36 anni, era stato arrestato per reati minori: durante l’arresto, aveva sputato addosso al poliziotto che gli metteva le manette. La corte, nonostante i test avessero escluso la presenza di malattie infettive, ha ritenuto che lo sputo fosse stato lanciato con l’intento di provocare infezioni letali al poliziotto.

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Spot. Antonio Bellia (l’aiuto regista dei “Cento passi”) sta girando “Crimini di pace: i veleni dell’Enichem”, sui disastri ecologici in Sicilia. Ovviamente non glielo paga nessuno e quindi s’è deciso di finanziarlo collettivamente con quote di dieci euro ciascuno. Una volta ultimato (entro la fine dell’estate) il documentario sarà “copyleft” per l’Italia. Sarà offerto gratuitamente alla Rai, a Mediaset e a tutte le altre emittenti televisive. Sarà a disposizione di quanti vorranno riprodurlo, farne copie e farlo vedere il più possibile.
Info: promotion@ateliergroup.it

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fulvio wrote:
< In Iraq le vie della droga che stanno trovando nuovi sbocchi incontrollati attraverso il Kurdistan iracheno. In Afghanistan, dopo la “liberazione” da parte dei ribelli del nord con l’appoggio delle forze alleate, festeggiano il maggior raccolto di oppio dell’ultimo decennio. Magari con l’oppio potranno pagare la posa del nuovo oleodotto che permetterà di portare il petrolio dall’Uzbekistan fino al mar Nero, alla faccia degli arabi dell’Arabia Saudita, incazzati e preoccupati; del resto hanno molta paura che venga spezzato un monopolio petrolifero che dura da quasi 40 anni (e vi invito a leggere la storia di Enrico Mattei). Bin Laden e la sua organizzazione sono Sauditi: fate due più due >

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Claudio wrote:
< Cuba: i tre che sono stati fucilati avevano sequestrato, armi in pugno, una barca carica di persone tra le quali due turisti francesi minacciandoli di morte se la barca non avesse ricevuto il carburante per arrivare a Miami. Qui da noi e negli Usa sarebbero chiamati terroristi, se lo fanno a Cuba sono dissidenti! Stiamo attenti alla propaganda delle solite agenzie di stampa nelle mani dei potenti che danno un notevole risalto solo a fatti che useranno per dichiarare guerre future (e questo lo abbiamo già visto). Se fai atti di terrorismo in Kosovo sei Esercito di Liberazione se lo fai in Palestina sei terrorista se lo fanno gli Israeliani sono omicidi mirati se lo fanno gli Usa si chiama Guerra Preventiva (magari con 6000 morti) ecc.ecc. Tra l’altro la storia della barca l’ho vista sotto ai miei occhi perché ero a l’Avana e non sapevo più come spostarmi perché quasi ogni giorno sequestravano un aereo >
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Caro Claudio, noi siamo contrari alla pena di morte: o no? È vero che la propaganda utilizza a modo suo queste cose, ma è anche vero che le fucilazioni sono avvenute e sono una cosa grave. Secondo me, qualcosa è cambiata dentro la testa di Fidel Castro, ed è grave che il cambiamento nella testa di una persona abbia effetti sulla vita di tutte le altre. La dittatura di Castro può essere spiegata, in piccola parte (forse) giustificata, ma non accettata; fra l’altro, qui e ora, gioca a favore degli americani. “Hasta siempre” voleva dire un’altra cosa.

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dr Nicola A. wrote:
< Per quanto sia convinto che non si debbano fare scivolamenti di contesti (tra loro diversi) od utilizzare il nostro sapere professionale per indebite interpretazioni del comportamento dei legittimi rappresentanti dei nostri altrettanto legittimi interessi politici, giro con curiosità intellettuale (in un paio di liste psico-professionali) il quesito che ieri un collega mi poneva: “quanto l’accusa a gran parte dei deputati dell’Unione Europea, fatta dal neopresidente, di essere *turisti della democrazia* potrebbe aver a che fare con il meccanismo dell’indentificazione proiettiva?” Mi scuso in anticipo se i colleghi ritenessero off topic il tema, mentre ringrazio altrettanto in anticipo quelli il cui sapere psicodinamico e di psicologia delle relazioni oggettuali vorrano risponderci >

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Giacomo <solitario@infinito.it> wrote a proposito di:

Terroristi. <Credo che i cattivi sieno assai più rari che i buoni uomini, purchè non si chiamino cattivi (come si fa sempre) quelli che trattano male noi perché noi trattiamo male o indiscretamente loro; perché non vogliamo, o non sappiamo (cosa frequentissima), trattarli bene>
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Se stesso. <Le buone poesie sono ugualmente intelligibili agli uomini d’immaginazione e di sentimento, e a quelli che ne son privi>
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Fernara, Lerner, ecc. <Stridore notturno delle banderuole traendo il vento>
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Bossi e Fini. <L’odio dell’uomo verso l’uomo si manifesta principalmente ed è confermato da ciò che accade nelle persone di una medesima professione fra le quali la possibile amicizia è difficilissima, rarissima, incostantissima.>

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“A che serve vivere, se non c’è il coraggio di lottare?” (Giuseppe Fava)