San Libero – 190

4 agosto 2003 n. 190

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Il trattino. Alle prossime elezioni, che saranno le europee, sia il centro-sinistra che la destra andranno, a quanto pare, con due uniche liste, due listoni. Dal lato di Berlusconi (che s’è appena nominato, oltre che proprietario, anche coordinatore di Forza Italia), si tratta di ricordare ai soci di chi sono i voti che gli permettono di fare la bella vita: lista bloccata, niente preferenze, e al più presto premier plebiscitato con poteri assoluti. Dal lato del centro-sinistra si tratta di abolire il trattino che indica l’alleanza fra due forze diverse (il centro e la sinistra) e di fondare un partito nuovo: Ulivo, Democratici, centrosinistra… I nomi cambiano sempre ma la sostanza è sempre la stessa: un partito solo, come in America, basato sui famosi “moderati” con un po’ di “radical” a far contorno.
Per quanto riguarda Berlusconi, mi auguro vivamente – per ragioni satiriche – che riesca a metter su il suo listone. Così potrò facilmente paragonarlo a Mussolini, con la sua lista unica (“VOTA SI alla Lista Nazionale!”) comprendente, oltre ai fascisti, i nazionalisti di Federzoni e altri gruppi minori. Con sei televisioni e tutti i servizi segreti ai propri ordini, non dovrebbero esserci problemi a portare avanti un listone del genere. An e Cdu sparirebbero sostanzialmente dalla scena (come a suo tempo sparirono i nazionalisti) e il regime ne uscirebbe rafforzato, col Capo libero di mandare avanti ogni volta “moderati” o “estremisti” (Ciano o Farinacci, Fini o Bossi) secondo convenienza.
Per quanto riguarda il centro—sinistra (tre trattini, per sicurezza) sarebbe un’idea confusionaria, e suicida. Suicida, innanzitutto, perché i voti che mancano alla maggioranza di centro-sinistra non sono affatto quelli dei “moderati”: sono quelli degli operai del nord che a un certo punto si sono messi a votare Berlusconi. Questi voti non si recuperano in altra maniera che rimettendosi a fare gli interessi degli operai, per quanto banale ciò possa apparire. Confusionaria perché non si saprebbe più per chi votiamo. Tutti quanti, naturalmente, vogliamo mandare via Berlusconi e tornare in Europa. Ma questa è solo la parte in negativo. Di costruttivo, una volta tornati civili, che cosa vogliamo fare? Qui gli interessi divergono, e le scelte possibili cominciano ad essere più d’una.
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Per quanto personalmente mi riguarda – sono un giornalista, e sono siciliano – i miei interessi hanno a che fare con la libertà d’informazione e la lotta alla mafia. In entrambi i settori, mi sento minacciato dalla destra ma non garantito dal centrosinistra senza trattino. Io, per esempio, non credo che la Rai debba essere fatta a pezzi e privatizzata. Non credo in un’informazione completamente in pugno agli imprenditori. Certo, con un imprenditore solo la situazione è peggiore che se ce ne fossero due o tre: ma i due o tre, quando ci fossero, non tarderebbero a mettersi d’accordo sui punti essenziali, esattamente come hanno fatto quelli delle assicurazioni, dei telefoni e gli altri “liberi concorrenti”. Su questo, non mi fido di Prodi (o D’Alema). Sono pronto a fare dei compromessi con loro (oligarchia) per non far vincere Berlusconi (tirannide), ma senza abbandonare la mia idea (democrazia).
Non parliamo poi dell’antimafia. Qua, Fassino ha appena finito di mandare un messaggio di solidarietà al suo esponente siciliano sorpreso a trattare appalti con i mafiosi. Fassino sarà un galantuomo, ma il suo messaggio in Sicilia verrà pagato in vite umane. Se il leader dell’opposizione, di fatto, dichiara di non considerare importante la questione dei poteri mafiosi, è evidente che questi ultimi andranno avanti e non indietro. E io non me lo posso permettere, perché sono siciliano. Il centrosinistra potrà essermi utile contro i mafiosi con coppola e lupara: ma quelli imprenditori e politici, a quanto pare, me li dovrò combattere da solo. E sta bene: uniti nel primo caso, ognuno per sè nel secondo. Trattino, trattino e ancora trattino.

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Per gli appalti all’ospedale Garibaldi di Catania, condannati una serie di politici e manager fra cui Giuseppe Castiglione e Giuseppe Ursino. Quest’ultimo, che è il principale manager dell’editore catanese Ciancio, organizzava le riunioni della commissione incaricata di valutare gli appalti direttamente nello studio del suo principale. Che ogni tanto s’affacciava: “mi raccomando, lavorate bene!”.
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Per altri appalti, la settimana scorsa, arrestati ventisette fra imprenditori e politici in tutta la Sicilia. Uno di loro era in diretto contatto col clan Santapaola e con le famiglie mafiose di Barcellona Pozzo di Gotto. Queste ultime, coinvolte dieci anni fa nell’assassinio del giornalista Beppe Alfano, lo erano anche negli appalti delle ferrovie (www.terrelibere.it) che l’anno scorso indirettamente causarono il disastro ferroviario a Rometta. Il messinese, una volta “provincia babba”, edesso è quasi interamente dominato da Nostra. Nelle poche zone ancora “libere”, la mafia s’inserisce acquisendo attività economiche e organizzando attentati: l’ultimo, alla lega Ambiente a Milazzo. In Sicilia, l’87 per cento degli appalti viene ancora aggiudicato con ribassi inferiori all’uno per cento, come ai tempi di Ciancimino. La gara al ribasso non si verifica quasi mai, o per intimidazione o per intrallazzo.
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A Palermo, al processo Dell’Utri, il pentito Salvatore Contorno (uno di quelli “storici”, utilizzato da Falcone), dichiara quanto segue: “Avendo paura, non ho mai fatto alcuna dichiarazione sugli onorevoli Andreotti e Berlusconi. La vita me la guardo io perché non mi protegge nessuno”.
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Ad Agrigento, l’ex sindaco Sodano rinviato a giudizio per una villa abusiva, in piena zona dei templi, intestata alla vecchia suocera. Gli ecologisti, a suo tempo, sollevarono una battaglia contro l’abusivismo, guidati dal Diessino Giuseppe Arnone: Arnone fu trombato alle elezioni, e Sodano prese una valanga di voti.
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A Roma, l’ex comunista Giuliano Ferrara intervista, su un giornale di Berlusconi, il diessino Vladimiro Crisafulli appena incriminato per aver concordato appalti coi mafiosi. Il politico rivendica con orgoglio: “Gli appalti non sono farina del diavolo, sono materia della politica e io sono qui per convogliare finanziamenti”. Il giornalista lo giustifica con entusiasmo: un politico siciliano non può fare a meno di trattare dai mafiosi.
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A Palermo, il presidente della Regione Cuffaro, sotto inchiesta per concorso esterno in associazione mafiosa, esercita ancora regolarmente le sue funzioni (di presidenter; di associato mafioso, non si sa). A Bronte, il sindaco Salvatore Leanza, inquisito per vari e gravi reati già nel ’93, partecipa regolarmente ai comizi elettorali del centrosinistra. A Messina il sindaco, condannato per peculato, non è stato sospeso dalla carica – come la legge prevederebbe – dal prefetto. A Palermo, il Crisafulli di cui dicevamo sopra non è stato espulso ma si è semplicemente “autosospeso” dal partito. A Palermo i dirigenti regionali diessini, riunitisi, esprimono una condanna durissima verso il loro collega traditore – grazie soprattutto all’intervento di Claudio Fava: “Ricordiamoci di Pio La Torre!” – e annunciano una conferenza nazionale sulla questione morale, di cui adesso riconoscono l’esistenza. Restano tuttavia isolati dai vertici del partito, il cui segretario nazionale – che non è Berlinguer – solidarizza con Crisafulli.
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Questa è una settimana qualunque in Sicilia, una settimana normale. Nel 1978, secondo la sentenza dei giudici di Palermo, il senatore Giulio Andreotti aveva regolari rapporti coi vertici della vecchia mafia siciliana, Spatola soprattutto. Spatola è quello che fece assassinare il giudice Costa, il primo ad incriminare i trafficanti di droga. Un altro capo della vecchia mafia era don “Tano” Badalamenti (i cui rapporti con Andreotti debbono essere ancora chiariti). Badalamenti è quello che fece ammazzare il nostro compagno Peppino Impastato. Peppino diceva che la mafia è appoggiata dagli imprenditori siciliani e dal governo nazionale. I giudici, con la sentenza che accertava i legami mafiosi di Andreotti, gli hanno dato pienamente ragione. Venticinque anni dopo, la questione della mafia è ancora la più importante, e la più rimossa, di tutta la politica italiana. Venticinque anni dopo, Peppino ha ancora ragione.

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John Brown. “Ancora una rivolta nel centro d’accoglienza…”. Fra una notizia e l’altra, i telegiornali, fanno rapidamente scorrere immagini di reticolati, di uomini scuri che si agitano dentro i reticolati gridando qualcosa, di poliziotti schierati e di fiamme. Sono immagini da lager, da nazisti. Le immagini degli emigranti (ieri i “fuorirazza” e gli “asociali”, oggi sempre gli stessi) rastrellati, umiliati, rinchiusi come animali nei campi, sorvegliati a vista, ammassati nel sole. A volte delle sommosse, quando il caldo e la pena sono troppo intollerabili, scoppiano in questi campi. Gridano, fanno falò, mostrano dei cartelli. I più coraggiosi, nel disordine, cercano di fuggire, seminudi. La maggior parte viene ripresa subito. Qualcuno riesce a superare le guardie e a raggiungere abusivamente la città degli ariani. In Puglia, due settimane fa, i compagni – i pacifisti, i cattolici, i communisti, i santi: chiamateli come volete, fa lo stesso – sono riusciti a sfondare un campo, e a farne fuggire almeno un po’ dei prigionieri. Non so come si chiami questo reato, certamente punito dalla legge. Fu punito anche John Brown, e anche Gesù Cristo.

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La lista della spesa. “Agenti tossici chimici o biologici, gas lacrimogeni, materiali radioattivi”. “Sostanze atte a essere utilizzate in guerra per produrre danni alle popolazioni, degradare materiali e danneggiare le colturee l’ambiente”. “Gas lacrimogeni e antisommossa”. “Apparecchi per la disseminazione delle sostanze chimiche”. “Tecnologia per lo sviluppo, produzione o utilizzazione di agenti tossici”. “Agenti per guerra chimica: Solfuro di 2-cloroetile (vescicante), 3-Quinuclidinil benzilato (inabilitante) e Butil-2-cloro-4-fluorofenossiacetato (defoliante)”. “Precursosi binari: Alchil, Etil e O-Alchil”. E infine: “Sarin, Soman e Tabùn”, che non sono i seguaci di Bin Laden ma semplicemente i gas nervini all’ultima moda.
Tutto ciò sarebbe la lista dei prossimi acquisti del ministero della Difesa, regolarmente pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale. Immagino quando il ministro torna a casa. “Caro, ti sei ricordato di comprare il butilcloro?”. “No… Ma guarda che offerta di gas nervini ho trovato: un tabùn in omaggio ogni confezione da tre stragi!”.

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Eventi. “Rutelli a pranzo con Prodi per la lista unitaria dell’Ulivo” (dai giornali). Beh, forse la rivoluzione non è un pranzo di gala. Ma certo un pranzo di gala non è una rivoluzione.

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Economia. Sondaggio: ma in realtà, quanto vale un euro? Risposte: “Circa duemila lire” (il 34,6 per cento degli intervistati); “Circa mille lire” (il 45,6 per cento degli intervistati).

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Industria. Nuovo colpo di genio del management Fiat. Il nuovo modello, che dovrebbe risollevare le sorti dell’azienda, è un’utilitaria molto simile alla Renault Twingo. Il nome? Gingo. La Renault, naturalmente, ha minacciato causa legale per plagio. Gli abili manager Fiat hanno dovuto quindi far marcia indietro, e cambiare in tutta fretta nome e carrozzeria del modello. Per la carrozzeria non si sa. Quanto al nome, sarà Panda. (All’epoca della Panda vera la Fiat faceva ancora automobili e c’era ancora Ghidella, un manager competente e non servile poi fatto fuori da Romiti). Alla televisione, tutta questa storia viene tradotta semplicemente: “Non si chiama più Gingo, si chiama Panda. Punto e basta”.

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Immigrazione. “Clandestini? Noi un rimedio l’avremmo”. Secondo il ministro degli interni russo Gryzlov il rimedio sarebbe semplicemente di deportare tutti gli immigrati clandestini in appositi stabilimenti, quelli che da noi si chiamano “campi di raccolta” ma che in Russia avrebbero un nome – Gulag – un po’ più breve. Il presidente russo Putin (“il mio amico Putin” di Berlusconi) di campi d’altra parte se ne intende, visto che prima di fare il politico faceva il dirigente del Kgb. Però è un’ingiustizia: noi, per sbarazzarci degli immigrati, dobbiamo fare i salti mortali – impronte digitali, cannonate in pancia e così via; loro, per sbarazzarsi di qualcuno, hanno già una Siberia pronta e attrezzata. Tutte le fortune.

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Igiene. “Perché non ci mettiamo tutti d’accordo, destra e sinistra, per fare a meno di Bossi e della Lega senza cercare più di portarcelo via a vicenda?”. L’idea, di Veltroni, non è male.

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Famiglie. Qualche lettore di Caltanissetta ce la fa a darmi l’elenco completo dei membri della famiglia Di Dio? Sono i dieci fratelli che, partendo per le ferie, hanno lasciato in mezzo alla strada la mamma ottantenne. Mi piacerebbe molto pubblicarne tutti i nomi.

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Informazione. Arrestato in Iraq l’inviato della televisione araba Al Jazeera. L’emittente – l’unico esempio di giornalismo occidentale in Medio oriente – non è nelle grazie dell’esercito americano, che già ad aprile ne aveva ucciso a freddo un redattore, Tarek Ajub, mediante un missile mirato. Neanche il precedente dittatore dell’Iraq aveva gran simpatia per la libera informazione.

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Argentina. Il presidente Nestor Kirchner ha annullato il decreto che garantiva l’impunità ai militari argentini che instaurarono dal 1976 al 1983 una delle più feroci dittature del Novecento. In carcere quarantadue alti ufficiali, pronti per l’estradizione in Spagna. Li attende Baltasar Garzon, il giudice che cercò di far processare anche Pinochet. In quei terribili anni le nostre Fiat, Eni, Iri, Bnl, Generali, Banco Ambrosiano, Rizzoli-Corriere della Sera, Techint, Banca Commerciale facevano la fila per firmare contratti vantaggiosi con la Junta dei massacratori. Con la benedizione del cardinale Pio Laghi, che non sapeva nulla dei desaparecidos e giocava a tennis con l’ammiraglio Massera, l’ideatore del peggior centro di tortura, la Scuola di meccanica della Marina. O festeggiando nei ricevimenti dell’ambasciatore Ferrara, che andava a cavallo con i generali assassini. Che differenza da quel giovane console, Enrico Calamai, che sfidando la morte salvò più di quattrocento nostri connazionali, prima di essere spedito in Nepal! Una storia che sarebbe piaciuta a quel giornalista di razza che fu GianGiacomo Foà, il corrispondente del Corriere della Sera in Argentina, allontanato dalla P2 perché nel 1977 cercò di raccontare la verità sulle vicende di quel Paese. (Alessandro Aita)

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Vaticano. Decisa svolta umanitaria della politica vaticana verso i gay: non verranno più bruciati in piazza (con rami di finocchio, per mascherarne l’odore) ma semplicemente relegati fra i peccatori.

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Conservatori. Conservare, con-servo.

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Spot. Sul numero di luglio di “Cuntrastamu”: Foto delle bombe, scoppiate dieci anni fa a Roma, con le quali la mafia trattava un armistizio con lo Stato. Un ricordo delle vittime di Firenze e Milano, morte nel corso della stessa “trattativa”. La vicenda di Claudio Riolo, docente universitario a Palermo costretto a risarcire un politico per aver pubblicato un articolo, e un appello in difesa della libertà di stampa. Un articolo di Marco Ciriello su Avellino e le riflessioni di Sabrina Pantano su immigrazione, tossicodipendenza e la risposta delle istituzioni.
Bookmark: http:// www.cuntrastamu.org

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alessandro wrote:
< Sono sempre stato più propenso a schiattare naturalmente piuttosto che varcare la soglia di una farmacia. Mi son preso l’herpes e mia moglie, a mia insaputa e contro la mia volontà mi ha preso l’aciclovir generico. È vero, costa un pò meno dello zovirax e – a parte il fatto che non serve a un cavolo allo stesso modo – di un tubetto minuscolo da 5 (dico 5) grammi, più della metà è VUOTO!!! Ci fregano sempre e comunque. L’unica soluzione dignitosa è l’autoriduzione dei consumi! La vita come socialità, natura, cultura, arte, sesso libero. No al consumo come fine, mezzo, aspirazione, compensazione. Fare l’amore, barattare, riparare, leggere nelle biblioteche comunali, spegnere le tv e accendere i nonni, biciclettare, coltivare, autocostruire, vivere locale, associarsi, incazzarsi. Facciamoli precipitare in una recessione mostruosa >

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dinamitebla wrote:
< “E adesso, in Sicilia, la novità è che la sinistra è impazzita…” Solo in Sicilia? Ma sei sicuro? >

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riccardo.guido@libero.it
< A candidare il noto imprenditore toscano non furono affatto i Ds, ma il Ppi. Volevano scaricarlo ma non sapevano come fare e lo scaricarono in Sicilia, un po’ come fanno le industrie del Nord Est con i rifiuti poco piacevoli. Per il resto concordo con te, dopo aver letto le interviste di Crisafulli. La sua carriere politica nei Ds (e nella sinistra in generale) dovrebbe finire oggi. Intanto è “autosospeso” da cariche e partito, ma ci vorrebbe un passo più deciso. Se il problema è la perdita del consenso che porta, è un consenso che solo se lo si butta fuori da tutte le sedi politiche si può ricominciare a ragionare >

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Nando dalla Chiesa wrote:

< Un uomo della Democrazia Cristiana per eccellenza ha avuto un incontro con i capi di Cosa Nostra prima dellpassassinio di Piersanti Mattarella, presidente della Regione Sicilia e uomo di spicco del suo stesso partito. Ha poi avuto un incontro dopo il suo assassinio. E nulla ha detto, su nulla ha avvisato, nessuno ha denunciato. Dunque colui che avrebbe dovuto spronare più di ogni altro gli uomini dello Stato a investigare e sapere sapeva e ha taciuto. Tutto ciò può essere caduto giudiziariamente in prescrizione, ma politicamente, moralmente pesa come un macigno. Il giudizio storico su Giulio Andreotti, sulla sua funzione nella DC, sul suo ruolo di uomo di Stato, non può, non potrà prescindere da questa agghiacciante verità. La quale ne trascina – sotto il profilo stringente della logica – molte altre: quel che fece Cosa Nostra negli anni immediatamente prima e immediatamente dopo >

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Persone. Padre Taddeo Gabrielli, 73 anni, missionario, bergamasco. Ucciso a coltellate a Imperatriz, nello stato di Maranhao in Brasile, da un tossicodipendente che stava cercando di aiutare. Padre Taddeo (“il frate con la tuta”, lo chiamavano lì) da quarant’anni lottava insieme ai contadini senza terra di quella poverissima regione del nord-est brasiliano.

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antenor@infinito.it wrote:

< Dormi ‘u sonnu di seculi,
ppi non sentiri i vuci de patruni.
Dormi ‘u sonnu di morti,
c’astuta ogni pinseri di vita.
Dormi, aspittannu ca chiovi.
Ma terra niura, sulfurea nivi
allinchi ogni cosa,
trasennu dintra la tò menti,
astutannu ogni pinseri di focu.
Dormi,
aspittannu ca scura,
ppi drapiri occhi firuti da luci accecanti
di riflessi marini, di muntagni salini, di troppi chiaruri. >

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“A che serve vivere, se non c’è il coraggio di lottare?” (Giuseppe Fava)