8 dicembre 2003 n. 208
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Tabù. “Tanto se li vendono lo stesso e non si riesce a impedirlo: tanto vale legalizzare la compravendita, così almeno si rende tutto regolare”. E’ ufficialmente partito il dibattito politico-culturale sulla privatizzazione del traffico degli organi umani, e probabilmente non è casuale che esso sia cominciato (ai massimi livelli e addirittura nelle associazioni mediche) in Inghilterra. “La società non esiste”, disse la signora Thatcher una volta. E tutti la guardarono stupiti perché, nel paese più socializzato d’Europa, sembrava inimmaginabile un mondo in cui ognuno potesse contare solo su se stesso. Ma aveva ragione lei. Anno dopo anno, in Inghilterra, l’idea di “società” è stata sistematicamente demolita nei più vari settori, dalla scuola umanistica ai contratti di lavoro, dall’assistenza medica al non morire per strada. “Via quest’altro tabù!” proclamava, di volta in volta, l’ imbonitore. E infatti. Tabù dopo tabù, sono arrivati al penultimo, il traffico di carne umana. L’ultimo, che senza dubbio seguirà, sarà quello affrontato da Swift nella sua “Modesta Proposta” dublinese: che, se fosse avanzata oggi, verrebbe certo presa sul serio e senz’altro messa in atto.
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Valori. L’Italia non è affatto in declino, ha detto Ciampi: i valori nazionali sono in aumento, e tutti i cittadini debbono essere fieri di essi. Mentre il presidente parlava, la Finanza stava cercando per concorso in bancarotta il massimo banchiere italiano, Geronzi; qualche metro più in là un ministro – e non un ministro qualsiasi, ma proprio quello delle Istituzioni – avvertiva soavemente che non sapeva se nel futuro prossimo avrebbe organizzato o meno una secessione; e intanto le televisioni avvertivano che il Capo del Governo, non pago dalle iniziative parziali dell’Alleato, prevedeva in combutta con questi di aggredire manu militari gli stati esteri che non lo soddisfacessero quanto a regime. A parte questo – a parte il fatto che più di metà dei lavoratori ormai sono in nero, a parte che i più venerabili senatori vengono sorpresi chi a chiacchierare coi mafiosi e chi a sniffare coca, a parte che quando un politico becca cinque anni di galera i suoi amici festeggiano perché poteva andar peggio – a parte tutto questo, i valori sono alti. I valori del made in Italy, ha precisato opportunamente il presidente: si parlava di Armani, mica di Enrico Toti.
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Coraggio. Non sono ancora partiti i contingenti di rinforzo che dovevano andare, per quel che avevamo capito, a rafforzare le posizioni italiane in Iraq. Noi eravamo convinti che ogni sezione della Lega, ogni federazione di An, ogni sede di Forza Italia si sarebbero trasformate in uffici di reclutamento, e che i dirigenti dei vari partiti e ministeri sarebbero stati i primi a dare l’esempio arruolandosi volontari e partendo per il lontano oriente. E invece no: sono rimasti a casa, sia loro che i loro figli. “Il sottotenente Previti, al comando dei reparti…”, “Con sprezzo del pericolo, il caporale Alemanno…”, “Moschetto in pugno, il fante Maroni…”. Non leggeremo mai questi titoli: il patriottismo delle famiglie di serie A si esplica già a sufficienza mandando al fronte le famiglie di serie B: Esposito, Brambilla, Agnolin, Purcheddu o, in paesi più grossi, Fernandez e Martinez. Tutti siamo patrioti, naturalmente; ma c’è chi il patriota lo fa a Roma e chi, per ordini superiori, un po’ più in là.
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Bingo Bongo. “Nairobi non diventerà mai un’altra Palermo”, disse il capo della polizia di Nairobi quando gli riferirono che alcuni delinquenti locali avevano cominciato a darsi al traffico di droga.
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Pezo el tacon del buso. “Fini ha fatto bene a scaricare le cose più indifendibili del fascismo, così ora possiamo vantarci senza problemi delle cose buone che invece il fascismo ha fatto”: così il capomanipolo La Russa ha dato la linea per tranquillizzare i camerati di base.
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Milano. L’azienda del dottor Albertini ha un nome strano, obsoleto e secondo me anche un po’ communista: “Comune” di Milano. Il termine è nato parecchi anni fa, quando gli abitanti – non i consumatori, non gl’imprenditori – di alcune case vicine decisero di mettersi d’accordo per provvedere ad alcuni servizi essenziali – non per fare soldi, non per quotarsi in borsa – che secondo loro avrebbero funzionato meglio in comune: le piazze, le strade, le chiese, le mura cittadine. L’idea, per quanto semplice, non era affatto scontata. Difatti in un primo momento il governo la vietò tassativamente e mandò anzi catapulte e marines per imporre l’ordine e la pace. Grazie al compagno Alberto (da Giussano) e anche a qualche aiuto da Roma il governo fu messo in minoranza e il comune potè andare avanti in santa pace. Ogni tanto, ovviamente, c’erano degl’intoppi: non è mai stato facile persuadere i governi a rispettare i comuni. Scoppiavano “tumulti di estremisti” (come titolavano i giornali), ma i vari Tramaglino, Cattaneo e Turati riuscivano sempre, alla fine, a difendere il buongoverno comune contro il governo.
Renzo Tramaglino, attualmente, fa il tranviere avventizio, prende ottocento euri al mese e con questi deve mangiare, vestire sè e i familiari, mandare i bambini a scuola, pagare l’affitto di casa (nella città più cara d’Europa) e infine pagare le tasse comunali. E’ due anni che promettono di rifargli il contratto, ma ogni volta lo rimandano indietro con un bel “Vidit Ferrer”. Alla fine il Tramaglino s’è stufato e ha bloccato tutto. Apriti cielo! Nemico della città e dei cittadini, estremista furioso, untore, sovversivo e chi più ne ha più ne metta. Eppure il povero Renzo voleva solo il denaro suo; nè il vicerè poteva dire che non ce ne fosse, poichè avendo appena venduto l’azienda elettrica cittadina le casse vicereali erano piene di ducati; impiegati però in speculazioni di borsa e non nella banale gestione dei tram e dei tranvieri.
Avendo dimenticato il senso della parola “Comune”, l’Albertini credeva infatti d’essere là per commerciare e non per assicurare i servizi ai cittadini. Così, la prima azienda italiana ad aprire la via all’inflazione è stata, tre anni fa, proprio l’azienda trasporti di Albertini, aumentando il biglietto a un euro (occasione presa al volo!) senza nè migliorare il servizio nè pagare i tranvieri. A Renzo che ha scioperato, bisognerebbe mettere una lapide in Galleria; al sindaco che ha speculato, bisognerebbe chiedere i danni civili per malamministrazione. Ma naturalmente non sarà così.
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“Renzo, che strepitava, aveva tutta l’apparenza d’un oppressore; eppure, alla fin de’ fatti, era l’oppresso. Don Abbondio, sorpreso mentre attendeva tranquillamente a’ fatti suoi, pareva la vittima; eppure, in realtà, era lui che faceva un sopruso. Così va spesso il mondo… voglio dire, così andava nel secolo decimo settimo”.
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Economia. Il 28 per cento dei lavoratori è precario, il 10 per cento disoccupato, il nero è il 19 per cento del Pil. Secondo l’ultimo rapporto Censis, sono irregolari il 55 per cento dei lavoratori. Secondo il rapporto Mediobanca 2002 l’industria pubblica guadagna, quella privata perde.
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Gasparizzazione. L’informazione è libera, ogni cittadino ha il pieno diritto di fondare una sua televisione e di gestirla come vuole a condizione di avere quel paio di miliardi di euri che oggi sono necessari per stare sul mercato. La legge Gasparri non reprime (quasi) niente: dice semplicemente che la televisione è un monopolio in vendita al migliore offerente, che per pura combinazione è Berlusconi. I concorrenti possono venire non più dall’Italia, dove non ci sarà mai più la massa critica per fare un’altra televisione ma dall’Australia (Murdoch), dal Brunei (il sultano), dalla Cina (quando entrerà nel settore) o dalle due multinazionali americane. Dunque non è che non ci sia concorrenza. Semplicemente, non è più concorrenza italiana. Con questo, la storia della televisione finisce, e comincia quello di uno strumento tecnico che sta fra l’intrattenimento e la propaganda; non sarà affatto vietato criticare garbatamente il potere, purché non sulle cose importanti; è ammessa Striscia la Notizia, non è ammessa Samarcanda. Tutto qua.
La carta stampata segue, poiché la raccolta pubblicitaria (da quando i giornali hanno deciso di basarsi solo sulla pubblicità) è di molto inferiore a quella della televisione. Non è solo in Italia: in Inghilterra, patria della libertà di stampa, Murdoch sta trasformando il Times in tabloid proprio in queste settimane; in America (“E’ la stampa, bellezza”) la Cnn ha ormai dei regolari fogli d’ordini sulle notizie ammesse.
“E’ concepibile un paese senza governo, ma non senza libera stampa”: chi l’ha detto? Non Lenin, probabilmente; l’informazione libera era alla base della civiltà liberale dell’ottocento, quanto e forse più dei parlamenti. E ora, semplicemente, non c’è più. Possiamo benissimo dire, ai nostri tre amici, quel che ci pare; ma non possiamo più farlo arrivare agli altri cittadini, poiché non ci sono più i canali. Le scelte politiche non possono dunque più essere, in senso largo, collettive, ma solo individuali; o dell’individualità che comanda, e che spalma le proprie idee individuali su tutto il mondo, o dell’individualità che subisce, e che cerca di percorrere un proprio individuale percorso interno. La discussione, la piazza, la polis, non c’è più; ne restano dei succedanei a fini d’addolcimento, per tener buona la generazione che ha conosciuto la democrazia; ma fra una decina di anni neanche questi ci saranno più.
Nè la Cnn, nè i tabloid inglesi, nè la Tv russa nè Mediaset-Rai sono più stampa libera nell’accezione liberale ottocentesca; nè Bush, nè Blair, nè Putin nè Berlusconi sono leader parlamentari nell’accezione liberale ottocentesca. Ciascuno di questi media è organo – propaganda e consenso – di un potere ben delineato; nessuno di questi leader è stato eletto regolarmente nel corso di libere e paritarie elezioni. Berlusconi non è l’eccezione, è il mondo nuovo; rozzo, naturalmente, e texano e brianzolo; la prossima generazione di berlusconi sarà molto più “seria” e “professionale”. Non sarà democratica, naturalmente.
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Per quanto personalmente mi riguarda, sono stato gasparizzato tanti anni fa, per cui la gasparizzazione collettiva mi tocca, egoisticamente, solo di riflesso. In questi vent’anni ho imparato però che ci sono tante vie per continuare a informare. Da soli, per dare testimonianza, almeno quella; ma, in gruppo, anche per produrre degli strumenti che arrivino da qualche parte, che facciano danno. Che cosa facciamo adesso, dopo Gasparri? L’idea che la televisione pubblica deve morire è passata con l’unanimità sostanziale di tutti quanti. L’idea che l’informazione è mercato, e non diritto acquisito del cittadino, unifica l’onorevole Berlusconi di Forza Italia e il senatore Debenedetti dei Ds.
Come gestiranno costoro la fase successiva? Cercheranno di ritagliarsi degli spazi privati, più o meno vasti, ma comunque privati, nel nuovo mondo. Che cosa proporranno a noi professionisti dell’informazione, ai giornalisti? Di scegliere il privato meno brutale, di salvare se non il diritto del pubblico ad essere informato sempre e comunque almeno qualche briciola occasionale di libertà. Una aurea mediocritas oraziana (Augusto in tv ha avuto successo, mi dicono), con molte rassegnazioni e molte nostalgie.
C’è poi un’altra strada, che è la mia. Buttarsi su tecniche nuove, non ancora invase; gettare subito un guanto, sperando che sia raccolto e che faccia pensare; puntare sui ragazzi che crescono, sulla humanitas istintiva dei giovani esseri umani; e ipotizzare coerentemente un Gutenberg nuovo. “Buscar el levante por el poniente”: se la televisione col telecomando ormai è conquistata, lasciamogliela, e puntiamo su un continente – l’interattività, lo scambio veloce, la parità coi lettori, la rete – completamente nuovo, su cui non sono ancora arrivati. Ma bisogna puntarci tutto, fino in fondo, senza guardarsi indietro. Fa male – ad esempio – Dario Fo, dopo tanto dibattito su tv alternative e di strada, ad affittare un canale… da Murdoch. Non perché sia sbagliato “politicamente”, qui ed ora: ma perché farà danno in avvenire, impedirà di seguire l’altra strada.
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Firma o non firma? Tirarla o non tirarla, la giacca? Non è più una questione importante, la decisione – o non decisione – di Carlo Amleto Ciampi. O con Gasparri o con un altro, i vecchi media ormai se li sono presi. Non illudiamoci di riprenderceli grazie a Ciampi o a chicchessia. Inventiamocene, professionalmente, degli altri nuovi e diamo battaglia su di essi.
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Rai e Dubai. “Non si discute con la polizia e non si si critica lo sceicco al potere. A parte questo, sei libero”. (I diritti del giornalista in Rai? No, i diritti del cittadino nell’emirato di Dubai).
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Palestina-Israele. E’ stata rigettato dagli estremisti delle due parti il Piano di Pace promosso a Ginevra dai gruppi di intellettuali sia palestinesi che israeliani che hanno elaborato e presentato al mondo una vera e propria bozza di accordo diplomatico fra i due popoli. “Niente pace ora” ha dichiarato il capo di Hamas; “Niente pace ora” ha dichiarato Sharon. Ma nonostante l’opposizione dei due leader, l’iniziativa di Ginevra ha avuto un notevole successo diplomatico: l’hanno esplicitamente appoggiata i principali leader europei, l’ex presidente Usa Clinton, il segretario dell’Onu e numerosi altri personaggi (Carter, Walesa, Mandela) il cui parere conta qualcosa. Più significativo di tutti, l’incontro che – nonostante l’opposizione di Sharon – ha avuto coi promotori del Piano il segretario di Stato americano Powell. Sia che si tratti di un’iniziativa personale della “colomba” Powell, sia che – com’è più probabile – il governo americano abbia voluto tenere una porta aperta a un’eventuale uscita alternativa dalla crisi, in ogni caso è indubbio che il Piano è autorevole, è un interlocutore per tutti e non è affatto un’utopia. In Israele, i sondaggi hanno dato in calo il governo Sharon nei giorni immediatamente successivi alla presentazione del Piano.
(Info: Rete ebrei contro l’occupazione: shaertter@yahoo.com;
Movimento palestinese per la cultura e la democrazia: alirashid@tin.it)
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Scuse. “Per un deplorevole disguido tecnico, le vittime dell’ultima incursione non erano dei terroristi ma dei bambini. L’Aviazione si scusa e augura Buon Natale”.
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Cronaca. Torino. Revocata in appello la condanna per falso in bilancio all’ex presidente Fiat Cesare Romiti. Secondo la nuova legge infatti il falso in bilancio, per cui una volta si andava in galera, non è più reato ed anzi è una nota di merito in una carriera manageriale.
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Napoli. Inghiottita da una voragine, in via Diaz a Sant’Antimo, un’abitazione occupata da immigrati. Uno di essi, Jamil Hussain di 27 anni, è stato estratto vivo e in gravi condizioni dai calcinacci. Una donna risulterebbe invece dispersa.
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Cronaca. Roma. “Volevo vedere il mare” ha detto il piccolo Francesco E., scomparso dalla sua scuola – la media Omero di Casal Palocco – e ricercato per parecchie ore da polizia e carabinieri. E’ stato ritrovato da una pattuglia a Ostia, di fronte al mare, mentre camminava con aria assorta sulla battigia guardando le onde.
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Spot. Sabato 13, a Palermo, alla Facoltà di Lettere (aula magna di viale delle Scienze) seminario su “Libertà di critica, libertà di ricerca. Valore, tutela, minacce” organizzato da Articolo 21, Libera e Magistratura Democratica.
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Prof. Camaioni, Università di Messina, wrote:
< 1) La “classifica” del Comitato Valutazione Studi Universitari riguarda la gestione del fondo di riequilibrio dei finanziamenti, perseguita ogni anno (dal ’94) con sottrazioni progressive di finanziamenti agli Atenei con trasferimenti “storici” di risorse superiori a un tetto. Ciò per una “perequazione” fra sedi “storiche” e “nuove”. In assenza di nuovi investimenti pubblici, questo meccanismo toglie risorse alle sedi storiche per portarle alle nuove.
2) Nelle università con Policlinici Universitari il personale è esorbitante e i relativi stipendi assorbono grandissima parte del FFO. Da ciò la spirale: visto che il personale è troppo si diminuisce l’FFO, ma così la percentuale degli stipendi rispetto al FFO cresce, restano meno risorse per l’attività scientifica e didattica in rapporto alla spesa stipendi e ciò fa ancora diminuire l’FFO fino al collasso del sistema.
3) La base di calcolo per il riequilibrio sono il numero di studenti in corso e il numero di esami superati. Ma questi numeri possono essere alti solo se si investe in risorse didattiche. Ma come si investe se l’FFO viene tagliato? Il vero motivo è che non esiste un sovrafinanziamento di università quali Messina ma un sottofinanziamento generalizzato dell’università.
4) Il segretario della CRUI, prof. Marco Pacetti, ha riconosciuto di recente che l’università di Messina è fra gli atenei “virtuosi”, cioè fra quelli che meglio hanno saputo resistere alla progressiva riduzione di risorse.
5) Il sottofinanziamento dell’università, il vero problema, è spesso tenuto nascosto dai media, e ha fatto piacere a tutti i governi da 10 anni in qua. In questa strategia si inquadra l’articolo del Corriere della Sera ripreso dalla Catena alcune settimane fa.
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Simone wrote:
< Credo che dopo anni di governo il partito (ri)nato a Fiuggi avrà una crisi (e forse un’agonia) simili a quella della quercia, già oggi se ne intravedono i segni: da un lato hanno i loro D’Alema (La Russa, Gasparri , Servello e tutta la corrente “Destra Protagonista”), ovvero quelli che rinnegano (solo a parole) il passato, per essere accettati dai potentati economici italici ed internazionali e mirano al mantimento del potere, dall’altro i loro Salvi (vedi Bontempo, Mussolini, Alemanno) ovvero chi non ci sta a correre verso il centro e a lasciare le idee ereditate dai padri e in mezzo un elettorato onestamente di destra, brava gente che ha votato An per avere ciò che tutti gli altri governi di destra in Europa mettono al primo posto nei programmi, ovvero legge ed ordine, e s’è ritrovato i suoi rappresentanti che svendono il Paese al cavaliere piduista, il cui programma principale è delegittimare le leggi e la magistratura. Questo elettorato è numericamente inferiore a quello della forte sinistra della società civile di cui tu parli, ma sarà un’altra incognita nello scenario politico dei prossimi anni >
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duelune wrote:
< Andreotti assolto per prescrizione, Previti condannato per aver corrotto il solo Squillante… Noi Siciliani, costretti a vivere, a convivere o a subire la mafia abbiamo, rispetto a tutti gli altri italiani, un po’ più di “coda”, come diciamo qui, nel valutare certi fatti. Quante persone “di rispetto” assolte continuano ad essere “rispettate” e ad incutere timore nonostante tutto! Ciò dimostra che noi “sappiamo” più di quanto sappia la “legge”. Per questo Falcone e Borsellino “sapevano” subito, di volta in volta, con chi avevano a che fare. Ma i limiti imposti, giustamente, dalla legge impedivano la condanna di chi si “sapeva” essere mafioso se non c’erano prove e testimonianze certe. Non è insolito che qualcuno assolto in pubblico processo sia poi condannato in modo drastico e senza appello in un altro processo, questa volta segreto, e quando ciò succede il commento tacito della piazza è: si sapìa c’avìa a fari ‘sta fini! (Si sapeva che faceva questa fine!). Capito perché quando si parla delle assoluzioni di certa gente noi Siciliani, tutti, sia gli onesti che i collusi, sorridiamo sornioni sotto i baffi ? Come a dire: A cc’a cunti ?! (A chi la racconti?!) >
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Piero wrote:
< Concordo con quanto scritto da Massimiliano. Ci fai un raffronto tra la mafia che conosciamo in Italia e la mafiosità di Arafat? Come altro definire un personaggio siffatto? (fermo restando che è giusto definire Sharon fascista) >
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luciano wrote:
< Caro Massimiliano, non ho nessuna voglia di difendere i terroristi, ma ti dico che, con uguale vigore, vanno condannati tutti i terrorismi, anche i frequenti terrorismi di Stato. (Non solo lo Stato israeliano, ma anche quello). Non so quanti anni avessi tu nel settembre del 1981, quando a Beirut c’erano gli israeliani, e truppe penetraroni nei campi-profughi di Sabra e Chatila: in 48 ore uccisero più di duemila palestinesi, in maggioranza donne, vecchi, bambini. La responsabilità del Ministro della Difesa, Sharon, nell’esecuzione di massa, fu accertata da una commissione di tre saggi, scelti dal governo israeliano: l’unico provvedimento che questo prese, fu di spostare Sharon dalla Difesa ad un altro ministero. Vedi, in Italia furono detenuti per un po’ due ufficiali tedeschi, che avevano comandato le SS durante le stragi delle Ardeatine e di Marzabotto. Poi, lasciamo stare in quali circostanze, se ne tornarono a casa propria. Uno in Austria, l’altro in Germania. Ora, io ti chiedo: se, a quel punto, i tedeschi avessero fatto ministro questo boia, il colonnello Kappler, non avremmo tutti maledetto la Germania? Ed ancora : quanti, fra i ventenni che oggi sono terroristi, hanno perso il padre, od un fratello, sotto il fuoco degli israeliani, o degli occidentali? Non si deve giustificare il terrorismo: ma, rinunciare a capirne le cause, è come rassegnarsi alla sua esistenza >
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daniel.san@tiscali.it wrote:
< “Ho assistito, almeno me lo figuro, alla nascita d’un plurale destinato senza dubbio al più lungo avvenire. In un campo sportivo, toscano naturalmente, non però fiorentino, durante una partita di calcio, un tale: “Ma come perdere! Se abbiamo già fatto tre go… [un attimo di esitazione]…i!”. Tre goi. Per chi proprio non lo sapesse, il popolo toscano tende a sopprimere, o meglio sopprime bellamente, le consonanti finali: da un singolare go, sempreché ci si rifiuti di considerarlo invariabile, non si può dunque cavare che un plurale goi”. (L’ha scritto Tommaso Landolfi, che aveva torto perché non si è avverata la sua previsione, ma ragione perché l’uso fa la lingua – nostro malgrado) >
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Alceo<alkaios@eleutheros.el> wrote:
< Tempesta dio nel gran cielo d’inverno
Gelò già la corrente nei ruscelli
Tu scaccia il freddo, tieni forte il fuoco
e versa nella coppa molto vino,
non risparmiare! E nastri sulla testa… >
* * *
< Non lasciamo, mio caro, l’animo nostro ai mali,
non serve a nulla piangere; piuttosto
ubriacati! La sola cura è il vino >
* * *
< Sì, ne ho passate tante: versa,
versa sulla povera testa, sul petto
ormai grigio di pelo un po’ d’unguento… >
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“A che serve vivere, se non c’è il coraggio di lottare?” (Giuseppe Fava)