San Libero – 22

Il mio Intini
Mi ricordo che c’era una riunione della direzione del Psi. Mi ricordo che Craxi si era appena salvato da una richiesta d’arresto. Mi ricordo che a quel tempo facevamo un giornale che si chiamava L’Alba con un po’ di redattori ragazzini sparsi per l’Italia. Mi ricordo che Luca di Napoli in quel periodo era a Roma. Mi ricordo che Ricc ci disse: provate a immaginare l’arresto di Craxi. Mi ricordo che scrivemmo un pezzo di cronaca vera sull’arresto di Craxi e lo firmammo con il nome di una giornalista di Repubblica. Mi ricordo che facemmo una prima pagina uguale a quella di Repubblica con un titolo a nove colonne: Arrestato Craxi. Mi ricordo che fu divertentissimo. Mi ricordo che alle 11. 00 di sera chiamai la caposervizio di Paese Sera e le dissi: Noi domattina andiamo in edicola con questo titolo. Mi ricordo che lei mi disse: Aspetta che corro a bloccare le macchine. Mi ricordo che mi spaventai e le dissi che era solo uno scherzo.
Mi ricordo che la mattina dopo via del Corso era piena di poliziotti e di giornalisti che aspettavano la fine della riunione del Psi. Mi ricordo che il nostro giornale andava a ruba tra i passanti. Mi ricordo che i poliziotti ci dissero che non potevamo più venderlo, ma la gente veniva da noi a chiedercene una copia. Mi ricordo che qualcuno ci disse che c’era Intini per strada che si allontanava a piedi in direzione di piazza Venezia. Mi ricordo che era insieme ad un altro tizio vestito di scuro come lui. Mi ricordo che lo inseguii, lo raggiunsi, gli dissi: Permette? e gli misi in mano una copia del giornale. Mi ricordo che mi ringraziò, che guardò la prima pagina e, forse, sorrise.(Francesco Feola)


Gay a Roma. E ora che ha vinto Starace, che fine fa la giornata dei gay che dovevano fare qui la loro manifestazione mondiale a giugno?
Ipotesi di sinistra: i gay manifestano a Roma, però nel frattempo il papa viene autorizzato a manifestare a San Francisco: il Pope Pride 2000, con enormi neroni e voltaire di cartapesta e la folla dei boy-scout e delle suore che sfila allegramente gridando slogan fra i sorrisi tolleranti – per una volta – dei bravi borghesi, che si indicano a vicenda col dito i variopinti abbigliamenti dei manifestanti. Pope condicio, insomma.
Ipotesi di destra: la manifestazione si fa, però si fa secondo le regole del Vaticano. Siccome non esistono regole spcifiche per le manifestazioni gay, si applicheranno quelle per le manifestazioni degli ebrei, che esistevano invece ed erano in vigore fino all’ottocento. All’inizio della giornata i gay verranno dunque rastrellati e condotti a forza nelle chiese dove i frati cappuccini li inviteranno, con abbondanza di dottrina e scorta di soldati, ad abbandonare i loro perversi costumi e a farsi battezzare. Poi, sempre sotto la scorta degli svizzeri, il corteo potrà aver luogo; ma a piazza del Popolo il papa, a cavallo di un’asina, sarà lì ad aspettarlo e, senza scendere dalla cavalcatura, porgerà la pantofola da baciare al personaggio più autorevole del corteo (bisognerà dunque inventarsi un rabbino dei gay); poi, con la stessa pantofola, gli assesterà un calcio simbolico che quegli riceverà senza far motto, in segno di totale sudditanza. Dopodiché il corteo si scioglie, e Roma torna alla sua vita normale.
I bersaglieri provarono, nel settembre del 1870, a proporre qualche cambiamento nella normalità romana. Ma gli andò male: dalle parti della stazione Termini, a Porta Pia, furono travolti da una massa di preti che, dopo aver praticato una breccia nel muro di cinta (previdentemente ma inutilmente eretto ad argine dal governo italiano) irruppero in Italia a passo di corsa e a suon di tromba. I bersaglieri ancora raccontano che furono loro invece a entrare a Roma, e ci hanno addirittura fatto su un monumento: ma basta guardare un momento la televisione per capire come sono andate in realtà le cose.


Promemoria. Roma, tempo di Natale: un polacco non identificato, sui quarant’anni, a pochi metri da una chiesa in costruzione (costo della chiesa: dieci miliardi), una delle cinquantanove chiese nuove previste dall’accordo Giubileo fra comune e vaticano. 3 gennaio, Heidi, 60 anni, in piazza Pia, a due passi da San Pietro. 7 gennaio, Taddeus Sobala, polacco, 54 anni, davanti a un supermercato al Laurentino. 10 gennaio, Giampaolo Amendola, 51 anni, fra i cartoni, piazza Augusto Imperatore. 14 gennaio, una donna sulla cinquantina in via Marsala. 15 gennaio, un uomo sui 35 (francese?) in viale Giulio Cesare. 16 gennaio, un uomo di 50 anni, immigrato, al capolinea dei bus a Monteverde. 20 gennaio un vagabondo in un tugurio a Tor Nuova.
A Palermo, a gennaio, hanno fatto un convegno al Politeama su “I Diritti dell’Uomo nell’anno del Giubileo”, indetto dall’Intergruppo Parlamentare per il Giubileo (260 onorevoli, capeggiati dal ministro Cardinale). Prima di cominciare il convegno, pulizia della piazza: ci sono due barboni, o forse semplici disoccupati, sugli scalini del cinema Nazionale. La polizia va e se li porta via.


Perché non c’era la pubblicità nel medioevo? Perché il mercato era troppo vicino. Se passi tutta la tua vita in un villaggio di ottocento anime, tutte le distanze tendono ad equivalersi e tutte le comunicazioni ad essere istantanee. Davanti alla chiesa, Toscani ti dice di comprare la verdura di Benetton, la più verde del villaggio. Ma la bancarella di Benetton è già a pochi passi, e la sua presenza fisica spazza via ogni messaggio: se la lattuga è verde te ne accorgi subito, e se è marcia lo stesso: la decisione che devi prendere in realtà non è quale verdura comprare, ma se comprare o meno quella che ti trovi già davanti. Una volta, fra il sorriso di Virna Lisi e l’acquisto del Clorodont c’erano parecchi metri e parecchie ore: guardare la pubblicità, andare a dormire, uscire di casa, fare delle cose, ed infine andare a comperare – in un locale apposito – la merce. La pubblicità combatteva per far sopravvivere il prodotto attraverso tutto questo percorso. Adesso Virna Lisi esce subito dal televisore, con il tubetto del dentifricio in una mano e l’altra mano tesa a ricevere le monete. Il percorso della pubblicità è ridotto a zero.
Perciò, nell’internet, è stata un’utopia (ma come si chiamano le utopie di destra?) pensare di clonare le funzioni classiche della pubblicità. Nell’internet non si può pubblicizzare nulla, si può solo vendere la lattuga – ora, subito – da dietro la bancarella. L’e-commerce, purtroppo, ha ancora una percentuale troppo alta di vecchia vecchia pubblicità.
Ah: poi, in realtà, la pubblicità ai tempi antichi non è che non ci fosse. “Piacciavi, generosa erculea proleƒ” – hanno appena trasmesso la prima ottava dell’Orlando Furioso, e già la seconda è uno spot pubblicitario. Però un momento: è pubblicità sovrastrutturale, non pubblicizza cioè l’acquisto di una merce (per il quale, abbiamo visto, non c’è tempo) ma di un modello culturale, un lifestyle: e in questo caso il tempo c’è, perché una faccenda del genere può richiedere anche una vita. Esercizio: negli ultimi dieci siti che hai visitato, quanti pubblicizzavano verdura e quanti facevano “poesia”? E negli ultimi dieci spot tv? Fra i dieci siti in questione, arriva prima in borsa chi pubblicizza verdura o chi vende “poesia”?


Tutti i ragazzini della piazza corrono verso il marciapiede. Corrono sorridendo. C’è stato un incidente.


Da Alessandro Aita:
Caro Riccardo, il 12 giugno ci sarà a Roma l’udienza del processo per i desaparecidos italiani in Argentina, scomparsi durante la dittatura militare. L’accusa ha chiamato a testimoniare Italo Moretti, giornalista, Adolfo Scilingo (l’unico ufficiale argentino che ha ammesso le torture e i voli della morte in cui i prigionieri vemivano gettati nelle acque gelide dell’oceano, che ogni tanto a distanza di anni provvede a restituire qualche scheletro), Horacio Verbistky, giornalista argentino, memoria storica sulla dittatura, l’ambasciatore Calamai, che venne rimosso da Buenos Aires dal governo pidduista italiano perché cercò di dare asilo ai ricercati di origine italiana e non. È una storia importante, che riguarda anche l’Italia: ma tranne il manifesto non ne ha dato notizia nessuno. Lo stesso per il brutale pestaggio subito da scioperanti e sindacalisti davanti alla Casa Rosada, il palazzo del governo argentino (io le ho viste su France2).
Saltando di palo in frasca, che ne pensi della vicenda Microsoft? Credo che la giustizia Usa sia arrivata tardi, e che la Microsoft sarà comunque ridimensionata dall’ingresso di Internet sui cellulari (che con la loro diffusione favoriranno il proliferare di sistemi operativi concorrenti). A proposito di Internet, il dottor Sottile si è detto certo di incassare almeno 30mila miliardi di lire dall’asta per le licenze dell’Umts, da destinare allo “sviluppo tecnologico”. Domanda: chi sarö il webbuscone di turno? Perché poi lo Stato ha di fatto rinunciato ad aver voce in capitolo sull’autostrada informatica e le nuove tecnologie ? Non ha neanche definito una politica di indirizzo.


Da Maurizio Meloni:
Napoli: dal 2 al 4 facciamo un Cantiere Sociale per intrecciare dei fili anche al di fuori dei punti di riferimento tradizionali e ragionare sui sui tre grossi filoni di ciascuno dei vari isolotti (welfare, democrazia locale, globalizzazione dal basso) della nuova “militanza”. Proprio in quei giorni in città ci sarà anche la Fiera nazionale del commercio equo, e questo potrebbe essere un altro buon momento di rete. Per aderire: carta@carta.org – 06/36005613, fax 06/36005677


Da Fabio Ferri:
Vorrei segnalare un’ iniziativa di una radio di Firenze, Controradio (www.geocities.com/controradio). Propongono l’ assegnazione di una via a quel muratore rumeno bruciato dal suo datore di lavoro. L’ idea mi sembra buona.


“Hacen algun tiempo en ese lugar
Donde hoy los bosques se visten de espinos
Se oyo la voz de u n poeta gritar
Caminante, no hay camino
El camino se hace al andar.
Golpe a golpe, verso a verso,
Murio el poeta lejos del hogar,
Lo cubre el polve de un pais vecino.”
(Machado)