San Libero – 234

8 giugno 2004 n. 234

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” Per un’Italia migliore! Vota on. Meno Peggio!”. Beh, insomma chi è più maturo, Fassino, o quella ragazzina del corteo? Non sto dicendo più a sinistra, più politico: proprio più maturo. E non ce l’ho con Fassino: dico Fassino per dire un medio politico come tanti, nè troppo illuminato nè troppo cialtrone; un brav’uomo. Fassino, Frattini, Rutelli… o uno come Lerner, o uno come Ferrara. Gente esperta dunque, gente tutto sommato non stronza, professionale; non necessariamente politici; la classe dirigente insomma.
Bene. Prendete uno di questi qua. E prendete un medio ragazzo di un corteo. Chi ne ha azzeccate di più, negli ultimi dodici mesi? L’ideologo dell’Ulivo, in questo momento, è il buon vecchio Giuliano Amato. Craxi, dopo-Craxi, centrosinistra, D’Alema… A me tutto sommato è simpatico, perchè qualche anno fa, en passant e senza accorgersene, disse qualcosa di molto bello sui padri di famiglia che non si vergognano di far sesso a colpi di soldi con le ragazze di vita. Comunque, è un politico importante (anche se non l’ha mai votato nessuno); uno che ai dibattiti sorride con aria saputa e fa la sua figura. Bene, questo è uno che fino all’altro giorno voleva assolutamente restare in Iraq con cannoni e cavalli, per difendere sia l’Iraq che l’Occidente. Poi arriva Zapatero, e liberi tutti. E gli altri? Grandi politici che non riuscivano a decidere se Iraq sì, Iraq no o Iraq mezzo-mezzo. Poi è arrivato Prodi, e tranquillamente gli ha detto: “Dopo le torture,. basta”. E loro si sono accodati, buoni buoni. Il ragazzino del corteo lo diceva già da un anno.
E’ stata penosissima, la figura dei “grandi” in questi giorni a Roma. E’ dal 1977 che non esistono scontri violenti di piazza, provocati dai manifestanti, in Italia. A Genova ci sono voluti i blackbloc protetti, e una precisa decisione del governo, per arrivare alle botte. Era evidentissimo a tutti che, non importando blackbloc in città, e usando la polizia come va usata, i cortei romani sarebbero stati pacifici e allegri – e perché non avrebbero dovuto esserlo? Eppure, a quanto pare, tutti se ne sono stupiti.
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Il Paese è molto più maturo, ormai, della sua classe dirigente. Amato, Frattini, Rutelli e gli altri sono più o meno l’equivalente del vecchio conte Solano della Margherita che, con tanto di basettoni bianchi e di cappello a cilindro, veniva cerimoniosamente ricevuto – come capo dei liberal-moderati – dal granduca di Toscana o dal re di Sardegna. Intanto fuori c’era Garibaldi. Il qualunquismo ingenuo dei politici, compresi e soprattutto i più “scaltri” – Fini, D’Alema, Amato – ormai fa tenerezza. Manovre callidissime per risolvere problemi che esistono oramai solo più nella loro testa. Ignoranza assoluta di qualunque cosa abbia a che fare con i problemi e le teste della gente di fuori palazzo, quella vera. Noi, per loro, siamo quattordicenni, esattamente come il pubblico per i pubblicitari. “Con dentifricio Dentibelli sei più bello e scopi di più!”. “Forza Italia!”. “Via le tasse!”. “Uniti per l’Europa!”. L’anti-politica allo stato puro.
E intanto i ragazzi ragionano, fanno esperienze, vanno avanti. All’ultimo corteo, per esempio, gli aspiranti black-bloc (veri o pagati: io in queste cose sono malignazzo) sono stati semplicente soffiati via. Come uno dei problemi più futili, da non dedicarci più di tre minuti. “Dieci cento mille Nassirya!”. E giù tutti a dibattere. Ma per i ragazzi dei cortei è futile dibattere di cose come queste, esattamente come lo sarebbe discutere se qualcuno, in coda al corteo, fra uno slogan e l’altro facesse pipì per terra. Bambini inutili e basta, oppure spensierati fighetti: in ogni caso, gente che non c’entra. Di Nassirya, noi parliamo con i massimi esperti italiani, dal segretario del sindacato carabinieri a uno come Strada, che da quelle parti ci ha passato una vita. Non certo con i bambini e i fighetti, e memmeno con chi gli dà conto. Abbiamo tante cose serie da risolvere, tante cose da fare! E dobbiamo risolvercele da soli, perché sui politici-mummie – come abbiamo visto – non si può più contare.
Quanti capilista in queste elezioni: Berlusconi, Fini, Bertinotti, Bonino, Dipietrocchetto, Pecoraro Scano. Per non parlare di Prodi. Ormai, pubblicitariamente, sono convinti che devono soprattutto ripetere il nome del prodotto. Tanto il pubblico è scemo. Che il pubblico, cioè noi, abbia un cervello non li sfiora nemmeno un sospetto.
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Finché c’è Berlusconi, per quanto buffo e divertente sia (ma ci sta costando davvero un po’ troppo) bisogna votare, non c’è dubbio. Berlusconi e non-berlusconi vuol dire democrazia e non-democrazia. Neutrali non si può. Ma poi vorremmo sapere.
Le privatizzazioni sono state un bene o un male per l’Italia? Cinque anni, sono passati. Doveva svilupparsi un sacco di ricchezza, di posti di lavoro, di nuova economia. Che fa, è di Berlusconi la colpa? Oppure, fra cinque anni, l’albero privatizzato comincerà finalmente a fiorir zecchini?
A Roma ci sono più automobili che persone. Che facciamo? Facciamo qualche altra domenica ecologica? O cominciamo a passare alle energie alternative?
Insieme a questa mail, riceverete – in media – cinque o sei spam da virus: con Windows, ne fanno quanti ne vogliono e non c’è niente da fare. Bene così o cominciamo a fare gli spot Linux del governo?
Ci basta l’Iraq (e il Kossovo)? Sicuri che non vogliamo conquistare anche la Grecia, Tripoli e l’Albania? Ce lo mette per iscritto, sig. D’Alema?
L’articolo diciotto, che fine fa? Via Cofferati, non se n’è parlato più. La mia nipotina farà la cococò tutta la vita, oppure magari a cinquant’anni le farete un contratto all’antica?
I soldi dello stato non bastano perché c’è troppi pensionati o troppi Tanzi?
Chi li sceglie i ministri? Agli esteri, mettiamo un grande politico lungimirante come Amato, oppure un coglionazzo qualunque che non s’è mai mosso da casa sua come Gino Strada? E agli interni chi ci mettete? Uno come Di Pietro o Enzo “Tonfa” Bianco? Chi lo decide? Magari ci fate una telefonata, prima?
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Ecco. Vorremmo una sinistra democratica. Che non c’è. Mica per faccende “storiche” (il communismo, il fascismo e tutto il resto) ma proprio perché non son democratici, come categorie, i notabili italiani. Sono brava gente. Spesso sono simpatici. Ma democratici no. “Il compagno Lucio? – mi rispondevano una volta. Qui al giornale non c’è. Vedi se lo trovi al Plaza”. Non si può essere democratici e vip insieme. Figuriamoci di sinistra.
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Perciò: “Turiamoci il naso e votiamo diccì”. Diccì: vale a dire Prodi, Follini, D’Alema, Mastella, forse anche Bertinotti, e tutto il resto… Basta che non votiamo Berlusconi. Costa troppo e io sono stufo di pagare. Però poi ragioniamoci, a bocce ferme, perché in realtà dobbiamo ancora cominciare veramente a votare.

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Così, neanche Nino Manfredi aveva più niente da fare in Italia – in questa Italia – e s’è levato di mezzo. Lui era proprio l’ultimo, più o meno come la Morante era stata l’ultima degli scrittori, e con lui se ne va una stagione altissima della cultura italiana: la più densa e profonda (col suo neorealismo scritto e filmato) dal Rinascimento. Noi non abbiamo mai avuto (lo notavano già nell’ottocento) un gran teatro; il primo è arrivato a novecento inoltrato, ed era più letteratura che teatro – Pirandello. Le altre nazioni (Lope de Vega, Shakespeare, Moliere) invece hanno avuto il loro imprinting proprio col teatro: la gente che schiamazza e si fa attenta, che ride, piange, vive la propria vita e la confonde con le vite, coi sentimenti, coi personaggi, con le passioni che il carro dei teatranti le ha portato davanti, un un luogo qualunque, la piazza dell’auto sacramental o il teatro Globe. Autori e attori, gente qualunque, fricchettona, esposta a tutti i colpi della vita, qualche volta “antipatici”, mai vip. Da noi, umanisti boriosi, seduti sui loro scranni al lume dei candelieri di corte. Così, dal Bembo a Francesco Merlo via Monti, Carducci, Malaparte e compagnia cortigiana, l’intellettuale italiano è sempre stato segnato: eleganza e bel garbo, ma via dalla strada.
L’eccezione, è la commedia dell’Arte e poi – sotterranea continuità – l’opera e il melodramma; e infine il cinemino di periferia, quello in cui i ragazzi “ignoranti” della borgata celebrano senza saperlo se stessi. Arlechin, Brighéa da Bérghem, Pulcinella sono dei paesani qualunque – degli “zanni” – che scendono nella città dei signori. A fare i servitori, i vivi-alla-giornata, i cococò. Come i loro spettatori. Otello, Cavaradossi, il Barbiere non vivono grazie ai palchi, ma grazie al loggione; vivono soprattutto fuori teatro, nella strada. Il cocchiere che canta, il barcaiuolo, il contadinello, la mondina: per tutto il settecento e l’ottocento il popolo italiano – per testimonianza unanime, e un po’ razzista, di milordi turistici e altri viaggiatori – è soprattutto un popolo che canta. Quante Rosine povere, nei loro abiti d’operaie e di cameriere, sono state corteggiate sotto casa da un giovane improvvisato tenore! E chi sarà stato l’interprete principe di Fenesta ca lucive, se non qualche sconosciuto guappariello, in chissà quale vicolo di chissà quale sera…
Questa è la letteratura italiana, quella del popolo, quella vera. A fine anni Quaranta, per una serie di contigenze storiche – principalmente il communismo, la libertà, il dopo-guerra – essa acquista una consapevolezza di sè, alza la testa. Tutta una generazione di scrittori “alti” vi si arruola. “Alti” di formazione e cultura; ma popolari. Pasolini o Zavattini in bicicletta, come Gassmann nei Soliti ignoti; poveri, ma belli e ricchissimi. La cultura, l’Italia, la cultura *italiana*.
Gli attori, in quel periodo fausto, erano regionali. L’Italia, infatti, allora era davvero una federazione. Non il federalismo grassoccio e avaro e un po’ vile di ora; ma un “federalismo” spontaneo, solare, di genti e tribù diverse che s’incontrino allegramente su una piazza o una via. Così, Gassmann era il Milanese, Edoardo e la Loren i Napolitani, Sordi e Fabrizi e la Magnani i Romani; com’era meridionale Polichinelle o padano Arlecchino, senza diffidenze e mutrie, fraternamente. E tutti insieme erano les Italiens, the Italian mandolini, i macaronì, i paisà, gli Italiani. Fra questi, Manfredi era il romano “burino”; vale a dire il romano vero, scetticamente ingenuo, non cittadino. L’anima di Roma, infatti, è qualcosa che continuamente si rinnova dalla campagna, da alcune migliaia d’anni a questa parte. E’ stato, coerentemente, il miglior Pasquino. E’ stato er Communista de Rroma, è stato er Pecoraro. Maschere – in romano “personae” – immortali. E’ stato a pieno titolo nella massima antologia del neorealismo, che è L’audace colpo dei soliti ignoti, del ’59.

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Chips. A Barcelona c’è un club di lusso, il Baja Beach, in cui hanno abolito il denaro. Lo usi una volta sola – e ce ne vuole parecchio – quando t’iscrivi. Un medico, con un attrezzo apposito, t’installa un chip piccolissimo (come un chicco di riso) sottopelle. E c’è tutto là dentro: chi sei, come fai, cosa vuoi – soprattutot il tuo conto in banca. Da quel momento, hai svoltato: entri, passi allo scanner e sei un signore. Non paghi niente, non devi chiedere niente, non devi aspettare. Ci pensa a tutto il chip. Il chip è una parte di te – anzi, tu sei lui. Lo produce un’azienda che si chiama “Soluzioni Applicate”. Secondo me avrà successo; anzi, alla fine, saremo tutti chippati. Con chip di serie A, serie B e serie C; quelli di serie A e serie B avranno un sacco di diritti, e persino il voto; quelli di serie C s’attaccheno. Come succede a desso: ma tutto informatizzato, magari con la lucina – verde se sei Vip, gialla per i Consumatori, altrimenti rossa – che sbarlucica sottopelle a indicare di che rango sei.

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La viulenza. L’esaltazione della violenza “proletaria” nel 68 si è mutata nell’esaltazione, da parte degli ex, della violenza padronale. Eppure gli operai non erano violenti (a volte si difendevano: ma non ne facevano una strategia). Avevano i consigli di fabbrica, l’istituzione più democratica mai esistita in Italia (votavano ed erano eletti tutti, facessero o non facessero parte di sindacati e partiti), e i “consigli di zona”, un rudimentale coordinamento (sempre a elezione libera) di tutti gli operai di una città. Per noi “rivoluzionari” i consigli di fabbrica erano un imbroglio “riformista”, per i partiti ufficiali un pericoloso esempio di indipendenza dagli apparati. Alla fine, furono aboliti con sollievo di tutti. Del 68 operaio, e per buoni motivi, nessuno parla più. Eppure ci sono stati cinque anni anni durante i quali gli operai erano riusciti a contare molto, senza bruciare niente nè sprangare nessuno, semplicemente con gli strumenti non-violenti dello sciopero, dell’occupazione di fabbrica e del corteo. Nessun operaio sessantottino, e ne conosco parecchi, è finito con Berlusconi.

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Quarantaquattro. L’Europa fu liberata dall’America e dai partigiani ma , statisticamente, molto di più dai russi di Stalin. Che da un lato aprì i cancelli di Auschwitz, ma dall’altro si tenne ben tretti i lager suoi. Aggiungerei ancora che Hiroshima non è una città della Svizzera ma di quell’impero nipponico che in nome di una “Grande Sfera di Prosperità” uccise, violentò e fece a pezzi centinaia di migliaia di innocenti in Cina: qualcuno degli stupratori di Nanchino, statisticamente, doveva essere di Nagasaki o di Hiroshima; così come da Dresda, bruciata dagli Alleati con la gente dentro, erano partiti non pochi di quei “volenterosi esecutori” di russi e ebrei.
A Gaza, in questo momento, gli israeliani sono la Wehrmacht dei palestinesi, che dal canto loro applaudono ai ragazzini ebrei ammazzati mentre vanno a scuola. Io mi rifiuto di stare a questo gioco. Io sto con gli ebrei, con i palestinesi, coi russi e coi tedeschi e col diavolo che li porti nel momento in cui sono vittime, e contro ciascuno di loro nel momento in cui sono aggressori. Dopo, ma solo dopo, faccio politica e cerco di farla bene. Non voglio ammazzare un innocente per salvarne (o peggio vendicarne) un altro.

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Archeo. “La manifestazione, indetta da Cossiga, Ferrara e dal partito radicale…”. Toh. Ma guarda oggigiorno come stanno bene insieme.

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Horror. Si parla di Pippo Baudo a Domenica In. Forse si, forse no; lui sta nicchiando. Bonolis, Mara Venier, Del Noce: e non bastando questi, aprono la cripta di Tutankamon, l’Arca dei Predatori, Gozilla.

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Cuntrastamu. Mercoledì 9 alle 21 incontro nella chat di Cuntrastamu con Tano Grasso. Si parla del ruolo dei cittadini nel contrasto alle mafie e della situazione attuale. Cuntrastamu, fra l’altro, sta diventando anche un’associazione (la solfa è sempre quella: la mafia, l’antimafia e noi cittadini).
Bookmark: www.cuntrastamu.org

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Generazione. Come verremo ricordati, quelli della nostra generazione? Non è una domanda tanto per aria: se fossimo stati invitati a casa del signor Muller a Berlino avremmo avuto il piacere di conoscere una persona educata e perbene, buon padre di famiglia, ottimo lavoratore, con la sua brava Volkswagen sottocasa, i suoi marmocchi simpatici e la sua famigliola complessivamente felice. Faremmo un giro in centro (traffico ben regolato, molto verde, nessun mendicante) e in genere incontreremmo facce tranquille e soddisfatte di sè. Può darsi che parleremmo di politica: ma fra gente educata, su questo punto, non ci si accalora mai troppa. E poi, la politica, lasciamola a chi la fa di mestiere: noi abbiamo fin troppe cose a cui pensare. Il mutuo, il dentista, il meccanico, l’ultima pagella del bambino… Così, sorridendo svagatamente, si farebbe ora di pranzo: in un locale caratteristico, accogliente e pulito come tutto il resto.
Più tardi, quando sei ritornato nel tempo tuo, ti accorgi che hai fatto visita alla famiglia degli orchi, nella città degli orchi, nel paese degli orchi. I Muller infatti sono una qualunque famiglia berlinese del 1936 e in quanto tale hanno dirette e personali responsabilità – come oggi sappiamo – nello sterminio di milioni e milioni di esseri umani. Personali? Beh, il figlio dei Muller è militare, ma presta servizio nella Wehrmacht, mica nelle Ss. Hans e Annaliste sono regolarmente iscritti, è vero, alla Hitlerjugend e alla Lega delle Ragazze: ma che fanno di male? Campeggio, raccolta di abiti vecchi e qualche chiacchiera ogni tanto. E tutto è così normale: lo sguardo dei bambini, la risata di Muller, le strade. Non ci sono mendicanti, non c’è gente strana.
Noi tuttavia sappiamo – venendo da un’altra epoca ed essendo dunque osservatori disinteressati – che il mondo del ’36 sarebbe stato impossibile senza il consenso dei Muller. E dunque non ci sentiamo autorizzati a stringere le mani che ci vengono porte (borghesemente: perché i Muller, l’abbiamo detto, non sono dei fanatici del Partito) per l’addio. Le mani restano là, protese senza risposta a cercare una comprensione, e i visi sfumano mentre noi torniamo nel nostro tempo.
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Nel *nostro* mondo, muoiono trentamila bambini al giorno per cause prevedibili e facilmente evitabili. Seicento milioni di bambini sopravvivono con meno di duemila lire al giorno. Ma questi sono numeri, non vogliono dire niente. Il fatto reale è che, se esci di casa e invece di svoltare da una parte svolti dall’altra, ogni due o tre bambini che incontri uno non ha mangiato. Ogni tanto – diciamo ogni tre o quattro minuti – uno di questi bambini che stai guardando attentamente per capirci qualcosa scivola improvvisamente per terra e non si muove più, perché è morto. E siamo in un sogno didascalico, ancora, dunque del tutto asettico e pulito. Il bambino per terra, nella realtà, evacuerebbe liquidi disgustosi prima e durante il morire. Da una parte, e tuttavia impossibilitata a intervenire, ci sarebbe un altro essere umano per il quale il bambino morente era il centro del mondo, e che in questi istanti sta vivendo l’orrore puro. Ci sarebbero puzza e grida, e rumori casuali. E tutto questo sta avvenendo davvero, in questo preciso istante, e riusciamo a tollerarlo soltanto facendo finta che non sia così. Ma inganniamo noi stessi. Il mondo vero è quello. Questo – quello di questo monitor – è meno vero di esso.
Mi fermo qui, perché questo è un ragionamento impossibile da portare avanti oltre un certo grado. Ho bisogno – come te, e come tutti – di un certo livello di rimozione, perché altrimenti mi sarebbe difficilissimo vivere normalmente senza diventare asociale. Ma quelli che verranno dopo di noi – compagni posteri, diceva Majakovskij – non avranno di questi problemi. Loro vorranno semplicemente studiare scientificamente il nostro mondo, freddamente: perché ormai tanto tempo sarà passato.
Studieranno di noi come noi studiamo gli assiro-babilonesi, valutando tanto gli inni cosmici ad Enkhidu quanto i prigionieri impalati. E, forse, decideranno che siamo stati più o meno la stessa roba che i tedeschi del trentasei. Parleranno di Olocausto, come noi ne parliamo. Si meraviglieranno grandemente, con aria di sufficienza, per la nostra acquiescenza. “Come hanno fatto a non ribellarsi?” diranno, senza voler sapere di noi altro che questo.
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Siamo diventati così importanti – da acquirenti di Fiat Seicento a rate a cittadini-consumatori di uno dei paesi più ricchi del mondo – che ormai sarà impossibile, per quelli che scriveranno la Storia, non occuparsi anche di noi. Facciamo in modo che non pensino a noi come noi pensiamo al signor Muller. Teniamo gli occhi aperti.

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Il coraggio. Io non sono abbastanza coraggioso da essere pacifista. Strada e Zanotelli sì. Spero di arrivarci anch’io, prima o poi. Nel frattempo debbo cercare di non dar loro dei vigliacchi, io stando seduto qui e loro rischiando la pelle là.

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Survivors. Se fossimo solo in cento, nel villaggio globale (in cento, ma nelle proporzioni attuali del mondo), saprebbero leggere e scrivere solo trenta di noi: gli altri settanta sarebbero analfabeti. In tutto il villaggio, solo venti abitanti dormirebbero in case: tutti gli altri, in baracche, in capanne – o per terra. Fra queste venti case, potrebbe anche esserci una chiesa: i cristiani, comunque, sarebbero non più di trenta. Metà di noi, stasera, avrebbe qualcosa da digerire; gli altri andrebbero a letto a pancia vuota. Saremmo in trentacinque fra europei e americani: di questi trentacinque, comunque, una parte sarebbero sudamericani, terroni, portoricani, negri di Harlem e così via, per cui le persone perbene in realtà si ritroverebbero in non più d’una ventina e avrebbero il loro da fare per controllare tutti gli altri (fra cui cinquantasette asiatici e otto africani). Il fatto è che i quattrini del villaggio sono quasi tutti in mano a solo sei persone (tutt’e sei cittadini americani); e questo potrebbe effettivamente creare qualche problema di ordine pubblico.
E il sesso? Nel villaggio ci sono quarantotto ragazzi e cinquantadue signore. Undici di loro, tuttavia, sono attratti prevalentemente o esclusivamente da individui del loro stesso sesso. E anche questo, probabilmente, potrebbe creare qualche piccolo problema se le autorità del villaggio, specialmente quelle religiose, prendessero l’abitudine di andare ogni notte a controllare i letti degli altri.
Una casa – o capanna, o baracca – del villaggio, una su cento in media, sarebbe una casa triste, perché ci sarebbe dentro qualcuno in procinto di morire di morte naturale, a quarant’anni (se africano) o a ottantacinque (se nordeuropeo). In un’altra casa, invece, si sta aspettando un bambino. La maggior parte dei bambini del villaggio riesce a nascere regolarmente e a superare il primo anno di età. Solo alcuni di loro (non più del dieci per cento) sono destinati ad essere fatti schiavi o prostituiti: la percentuale non è stata ancora esattamente determinata dalle autorità preposte ad essa.
Nel villaggio si sarebbe un computer, statisticamente, uno solo. Dubito che verrebbe usato per parlare degli abitanti, come stiamo deplorevolmente facendo ora,. Più probabilmente, verrebbe impiegato per cercare di vendere qualche modello culturale o qualche oggetto ai venti-venticinque signori in grado, dentro il nostro villaggio, di comprare qualcosa.

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Persone. Un anno fa, Dino Frisullo. “A che serve vivere, se non c’è il coraggio di lottare?”.

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Antonello Cracolici, segretario dei Ds, siciliani, wrote tutto giulivo:
< Nel corso di una manifestazione di Uniti nell’Ulivo, tenutasi a Bronte lo scorso 29 maggio, è stata consegnata la tessera dei Democratici di Sinistra al sindaco on. Salvatore Lenza che da tempo aveva manifestato la volontà di sposare il progetto riformista dei Ds. Esprimo apprezzamento per la scelta dell’on. Lenza che si iscrive nel quadro di impegno dei Ds che mira a coinvolgere sempre pienamente gli uomini di cultura, l’imprenditoria sana, i lavoratori e i giovani >
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Questa chicca può essere apprezzata, temo, solo da chi è siciliano o perlomeno ha seguito le traversie dei politici siciliani al tempo delle persecuzioni (la variante locale di Mani Pulite: persecutori essendo i magistrati, e vittime i poveri politici incriminati). Leanza, comunque, giovane non è più; lavoratore, è opinabile; imprenditore forse, ma d’imprese un po’ particolari. Uomo di cultura dunque, l’equivalente moderno – nella cultura della “sinistra” siciliana – degli ormai obsoleti Quasimodo e Vittorini.

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Sebastiano Gulisano (ancora a proposito del povero Cocilovo) wrote:
< Ci siamo limitati a riportare quanto scritto dai giudici di Palermo in primo grado e ribadito in appello (sentenza depositata lo scorso 15 aprile), cioè che Luigi Cocilovo è stato “collettore di una tangente” di 350 milioni di lire versatagli dall’imprenditore messinese Domenico Mollica, nel 1995. Un dubbio, in realtà, ce l’avevamo ma ce l’ha tolto lei, dottoressa Milena Mosci, dicendoci che la sentenza è definitiva. Perché, in effetti, per ricorrere contro la sentenza d’appello ci sarebbe tempo fino a metà luglio. Ma se lei ci assicura che “è definitiva”, la prendiamo in parola: è una notizia. Resta il fatto che Cocilovo è stato assolto, ma non con “formula piena”, come lei scrive, bensì a norma del comma 2 dell’articolo 530 del codice di procedura penale (lo stesso dell’assoluzione a Palermo ad Andreotti), che così recita: “Il giudice pronuncia sentenza di assoluzione anche quando manca, è insufficiente o è contraddittoria la prova che il fatto sussiste, che l’imputato lo ha commesso, che il fatto costituisce reato o che il reato è stato commesso da persona imputabile”. Ora, che i giudici (di primo grado e d’appello) fossero convinti che Mollica la tangente l’abbia versata – come lui stesso ha dichiarato in istruttoria, provocando il processo – non ci sono dubbi: lo hanno condannato in primo grado e in appello. Mollica non ha ripetuto le sue accuse in aula, e, grazie all’articolo 111 della Costituzione, quello sul cosiddetto giusto processo, votato nella scorsa legislatura, le accuse devono essere ripetute in dibattimento, altrimenti non valgono. E così è stato, sia per Cocilovo che per l’altro imputato, il professor Musco. Insomma: i giudici (in primo grado e in appello) hanno ritenuto attendibili le accuse di Mollica, ma siccome la Costituzione impone che la prova si formi in aula, hanno mandato assolti Cocilovo e Musco. E condannato (senza attenuanti) Mollica a tre anni di carcere. Che le piaccia o no, è così >

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antonio musco – webmaster@erroneo.org wrote:
< ciao riccardo, ho pubblicato il mio primo cd, interamente scaricabile dal web: -si tratta di musica elettronica, spero vi possa interessare. al limite “fa’ girare”. ciao >
Bookmark:

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Simonetta Cormaci wrote:
< Siamo al 74mo posto nella classifica mondiale della libertà di stampa. Nella graduatoria 2004 compilata da Freedom House, l’Italia viene dopo paesi come Giamaica (31ma), Costa Rica (37ma), Slovenia (41ma), Cile (51°), Papua Nuova Guinea (58°), Uruguay (61°), Mali (63°), Israele (66°). La graduatoria è stata pubblicata insieme al Rapporto 2004 sulla libertà di stampa nel mondo, in cui l’Italia viene classificata come paese “parzialmente libero” (nel 2003 era “libero”): l’unico in Europa, a parte la Turchia. Freedom House venne fondata negli anni Quaranta da Eleanor Roosevelt e il suo consiglio di amministrazione (comprendente conservatori doc come Zbigniew e Brzezinski) è presiduto dall’ex direttore della Cia James Wooley >
Bookmark: http://utenti.lycos.it/nontuttisanno/.

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Raphaël Jakob wrote:
< Nella sua rubrica lei ha segnalato la sparizione dai siti Rai dell’ultima intervista a Borsellino. Essa si può trovare in versione completa nell’ottimo sito didattico di Roberto Tartaglione >
Bookmark: http://web.tiscali.it/scudit/mdfalconeinter.htm

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sasa <s.gensabella@tin.it> wrote:
< Vorrà pur dire qualcosa il fatto che nel 1944 le truppe americane furono accolte all’unanimità con i fiori in mano e la gioia stampata sul viso mentre oggi il presidente degli Stati Uniti deve muoversi come un ladro attraverso itinerari segreti e con decine di migliaia di persone che gli danno il “malvenuto”? Qualcuno si chiederà il perchè? >

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Libro di lettura (ad uso dei piccoli siciliani, e anche neri, marrocchini, africani, brasiliani e rumeni e di tutti gli altri Paesi).
* * *
< Mio nonno una volta mi disse
che imprigionare un’allodola è
un delitto fra i più crudeli,
perché è uno dei simboli più
alti di libertà e di felicità.
Parlava spesso dello spirito
dell’allodola, quando
raccontava la storia di un
uomo che ne aveva rinchiusa
una in una piccola gabbia >
[bobby sands]
* * *
< Cara signora,
lei di me non ricorderà nemmeno
il nome. Ne ha bocciati tanti. Io
invece ho ripensato a lei, ai suoi
colleghi, a quell’istituzione che
chiamate scuola, ai ragazzi che
“respingete”. Ci respingete nei
campi e nelle fabbriche e ci
dimenticate >
[scuola di barbiana, lettera a una professoressa]
* * *
< Lasciamo perdere se hai la
cravatta o l’oreccchino (io,
ripeto, preferisco l’orecchino
ma è questione di gusti).
Lasciamo perdere anche se vai
in discoteca o all’assemblea, e
come la pensi o per chi voti (anche
qui, ho le mie preferenze: ma
è sempre questione di gusti, ognuno
ha i suoi). Queste sono cose
secondarie. La cosa importante è che
tu vuoi vivere la tua vita, e che ti
sei scocciato di quella che ti danno. >
[siciliani/giovani, il coraggio di lottare]

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“A che serve vivere, se non c’è il coraggio di lottare?” (Giuseppe Fava)