6 luglio 2004 n. 238
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Luglio. La giovanissima rumena che, non avendo i mezzi per vivere, si prostituisce dietro un cespuglio. Il suo bambino, nato da undici giorni, che piange nella carrozzina mentre lei soddisfa l’anziano cliente. L’altra giovanissima, dietro le lamiere della baracca, che le dà una mano col piccolo e dorme con lei e lui su dei cartoni al Collatino, e adesso si sta guadagnando qualcosa con un cliente pure lui sui diciott’anni. “Non ho come dargli da mangiare”. “Non ho a chi affidarlo quando mi prostituisco”. E mentre tutto questo accadeva, i governi si litigavano e la gente andava in vacanza.
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Ma chi ha governato davvero, in questi anni? Chi è il responsabile, bene o male, di tutto ciò che è successo? L’asse Treviso-Brianza. I partiti moderni non sono più politici, ma propriamente “marxisti”: rappresentano cioè direttamente classi e ceti sociali, senza mediazioni. Un manager del Settore Vendite così può diventare subito SegrOrg del Partito e un fiscalista di lusso superministro dell’economia. E questo era Tremonti. Dietro di lui non c’era un’anodina maggioranza parlamentare ma tutto un brulicare di imprenditori recenti, padroncini, cumenda, fazo-tuto-mi, commercialisti, lavoratori, evasori, gente che due generazioni fa metteva ancora i soldi sotto al materasso. Hanno rifatto, materialmente, Conegliano Veneto o Carate Brianza, e dunque sono convinti di aver rifatto il paese. Negli anni della ricostruzione, i Cinquanta e i Sessanta (quelli in cui si decideva se l’Italia stava con l’Ighilterra o col Portogallo), loro non c’erano oppure andavano ancora giro a cantare nei night o a vendere saponette. Ne hanno un’idea terrificante e mitica, di un communismo feroce con in più il papa e Andreotti.
“Roma ladrona”, ma in realtà, senza dirlo, è pure Venezia ladrona, pure Milano, tutti i luoghi in cui ci sono edifici inutili (non case, non capannoni) e c’è gente che chiacchiera di cose come la qualità della vita e la cultura. La cultura è il geometra a diciott’anni e poi via in azienda. La vita è lavorare più, ogni tanto, la figa di Moana Pozzi. Tutto il resto è poesia, e una forma particolarmente pericolosa di poesia sono le tasse. Che tanto se le mangiano, che tanto si sa a cosa servono, che tanto tutto ciò che mi serve me lo produco io.
Tutto questo è finito, in un finesettimana molto caldo di luglio, con Tremonti che si alzava dal tavolo e se ne andava con stile. “Io volevo diminuire le tasse”. Già. E io volevo toglierle del tutto, le tasse, mandare a casa tutti quei pelandroni, mettere una buona meta sul prezzo del pane e dar finalmente mano libera al governatore in carrozza: “vidit Ferrer”. Mezza Italia, la più ricca, è a questo livello qua e (l’altra metà, quella non manzoniana? Lasciamo andare). Non è strano che Tremonti ci sia stato, è strano che non sia durato più a lungo.
L’Europa s’è fatta due volte, finora. Una nel dopoguerra, alcuni paesi si sono ricostruiti e altri no. E una negli anni Sessanta, alla fine dei due secoli industriali, Barcelona ad esempio è sopravvissuta e Birmingham è andata a fondo. Questa è la terza volta, e le etichette non contano, conta l’economia. Abbiamo i polacchi alle costole, e già siamo stati spolpati dai coreani. Dobbiamo abbandonare la giungla, fare il salto. Sul costone, però, c’è spazio solo per pochi e già tedeschi francesi e inglesi ci stanno stretti. Va bene: respirare profondo, una decina di metri di rincorsa e via. Solo che in tutto questo non c’entrano niente il Veneto dei padroncini e la Brianza.
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Quali sono le due nazioni d’Europa in cui le donne contano – politicamente – di più? Spagna e Sardegna. Carta canta: metà dei ministri (o degli assessori) là sono donne.
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Tolleranza zero per i ragazzi dei motorini. Vieni qua, tu. Fa’ vedere il patentino – ah ah! Non hai pagato… Ma chi ti credi di essere, Tanzi?
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Quando è morto Carlo Giuliani? Nel 2000? Ad Avola, nel 68? Nel settantasei? Non me lo ricordo più. Non se ne parla più – d’altronde, se ne parlava ben poco, di ragazzi così, anche a qui tempi. Franco Serantini, a Pisa, che venne ucciso a botte prima in piazza e poi in carcere (cos’era, il 75?) dopo aver contestato un comizio dei fasci. Aveva una gran massa di capelli neri, sulla copertina del libro di Stajano, era un senza-famiglia ed era anarchico sardo. Mi pare che avesse diciannnove anni. Allora non si metteva “Franco Serantini, ragazzo”. Si fischiava sommessamente l’internazionale e poi qualcuno dava lo sloga. “Franco-e-vivo-e-lotta-insieme-a-noi”.
Col cazzo. Non era vivo affatto, era sotto due metri di terra coi suoi riccetti diciannovenni e la sua anarchia. E noi non lottavamo – non più – ma recitavamo la lotta. Campavamo. Come da mondo è mondo. C’era il vecchio avvocato compagno e ebreo che era un personaggio importante, uno di quelli che avevano fatto la Costituzione. “Quest’ansia di giustizia, anzi oseremmo dire di vendetta giuridicamente sazionata che ci brucia dentro…”. Bruciava sì. Brillava, dentro le palpebre dei compagni. Eppure. Eppure ora siamo qui, chi a fare il giornalista perbene, chi il professionista di successo, chi il ministro di Berlusconi. I più fortunati, come me, a fare i giardinetti. Ma se ci aveste visto allora. Quando non eravamo cambiati.
Com’è possibile che dal corpaccione di quel compagno grasso, quello che scappava asimando davanti ai poliziotti, sia venuto fuori quello spietato cortigiano, quel Ferrara? E quand’è che quel sorrisino saputo – da compagno furbetto, da ragazzo – s’è trasformato in quel sorriso utile da manager, da public relation, da Gad Lerner? Berlusconi, a quel tempo, cantava nelle terze classi delle navi: un italiano affamato, un predatore innocente come gli altri.
Il tempo appesantiva tutti quanti, un fast rewind stridente e poi di nuovo f-forward ce li mostrano tutti, a scatti buffi, come sono . Fermi e giovani, restano soltanto i ragazzi morti. “Figli dell’officina/ E figli della terra/ Già l’ora s’avvicina/ della più giusta guerra…”. Cantarono questa canzone ai funerali di Serantini, bandiere rosse e nere e il verde degli alberi, due generazioni fa. Per Carlo c’è stata una bandiera romanista e quella scritta in piazza Arimonda, sopravvissuta molto più a lungo (poiché non sporcava) delle sue macchie di sangue, che invece furono pulite quasi subito. E poi ritorni a casa, dibattiti, giornalisti, esperti, poliziotti, compagni, problematiche giovanili e fasi del movimento. E mentre ciascuno di questi esseri umani effettua ciascuna di quelle attività che l’occasione richiede – ciascuno assolutamente in buonafede, come da Dna molto profondo – il tempo insensibilmente li pialla, li sposta su un lato estraneo, quello in cui ciò che succede ormai è accaduto e non resta da fare altro che raccontarlo. Mentre il ragazzo Franco, o Carlo, o il contadino Vittorio a Sciacca o l’altro che si chiamava Ramòn nel trentasei o – rewind, rewind – magari Spartacus chissà quando, ciascuno di questi ragazzi è rimasto infinito là, col tempo che era tutto un futuro velocissimo e reale e in quel momento preciso s’è congelato. No, non lotta insieme a noi. Siamo noi soli che lottiamo, e contro cose impalpabili che, quando eravamo Carlo e Franco, non avevamo mai immaginato.
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Indymedia wrote:
< Alcuni dei processi relativi ai fatti del luglio 2001 stanno entrando ora in fasi cruciali. Indymedia ha partecipato e partecipa tuttora all’evolversi di quel processo politico di piazza che ha segnato e segnerà ancora profondamente molte esistenze. Una partecipazione che è di volta in volta individuale o collettiva, ma che in tutte le sue forme rivela che genova è tutt’altro che finita, e che anzi è più che mai attuale. In questo momento, per un atto di responsabilità verso tutto il movimento e verso TUTTE e TUTTI coloro che hanno manifestato, abbiamo organizzato un lavoro di supporto al team di legali che stanno seguendo i processi (attualmente è in corso il processo dei 26 per devastazione e saccheggio). È un lavoro enorme, dall’archiviazione cartacea a quella delle immagini, dallo studio dei materiali al sostegno pratico degli avvocati… Chiunque può immaginare quanto si deve fare e con quanto poco tempo. Abbiamo bisogno di soldi per mantenere questo impegno >
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Vip. D’Erme, che pure sarebbe un bravo compagno, litiga con Bertinotti, che pure sarebbe uno dei politici meno peggio in giro. Il motivo della lite è che Bertinotti, secondo D’Erme, ha negato a D’Erme e al popolo un seggio al parlamento europeo. Secondo Bertinotti, il popolo-D’Erme non ha preso abbastanza voti e quindi tocca a lui Bertinotti, che insomma è il capopartito, decidere a chi dare i resti e dunque la poltrona.
Tutto questo è normale, tutto sommato anche fisiologico e non c’è dubbio che fra sei mesi tanto Bertinotti che D’Erme ci sorrideranno su tranquillamente, rimettendosi senza problemi a fare il lavoro che gli si chiede (che non è questo).
La cosa notevole, invece, è che tutta ‘sta polemica è passata in diretta o quasi su radio 3131. E chi è che fa radio 3131? Pierluigi Diaco, un ragazzo professionista (per quanto ormai un po’ grandicello) che via via è stato l’allievo prediletto – e incarrierato – di Pintacuda (quando vinceva la Rete), di Curzi (quando saliva Rifondazione) e infine, naturalmente, di Ferrara. Da qui in poi, è stato tutto un leccalecca, combinando abilmente i ruoli del giovane pensoso e del velino: Berlusconi grand’uomo, noi giovani tutti con Berlusconi e così via. Certo, la gioventù ha i suoi bisogni e occorre essere comprensivi: però oramai sono rarissimi i politici, imprenditori, vip, manager e manageresse di cui il ragazzo non si sia inventato un’occasione per parlare in tono encomiastico-servil-cunnilingativo. Io sono un uomo tollerante, e credo che anche i viados in fondo, vittime della società e della subcultura, abbiano una loro dignità umana. Ma per Diaco, onestamente, debbo sforzarmi acora moltoper arrivarci.
Va bene: e adesso Diaco, come un Brunello Vespa in via di sviluppo, ha il suo piccolo Portaaporta dove i vip e aspiranti vip della sinistra vengono a depositare i loro crucci. Indovinate dove sarà il puttanello fra un anno o due di questi tempi, col centrosinistra. A sinistra o a destra? Con Berlusconi e Ferrara o con Veltroni e Prodi? Disoccupato o grande (e assai progressista) anchorman di successo?
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La mafia non esiste. Francesco Merlo, Repubblica, non rinuncia a nessuna occasione per pubblicitizzare una sua profonda convinzione, che è la seguente: i mafiosi sono piccoli e sporchi, in realtà non hanno mai contato quasi niente e chi dice il contrario è un “professionista dell’antimafia”. Stavolta il percorso è il seguente: Brando ha fatto un bellissimo e affascinante “Padrino”; ma i mafiosi veri in realtà sono dei poveri marginali come Bagarella o Santapaola; ecc. ecc. Merlo, che è tirolese, non ha mai sentito parlare di Sindona o di Cassina o dei Salvo, o di Graci. E i lettori giovani probabilmente nemmeno, perché è un argomento che sui giornali ormai è abbastaza vietato. Però forse Merlo, a Bolzano dov’è cresciuto, avrà sentito dire che nella lontana Catania i quattro principali imprenditori erano considerati tutt’e quattro molto vicini al sistema mafioso; c’era addirittura chi pensava che fossero i loro desideri ad essere tradotti in realtà dai Santapaola, e non viceversa. Va bene, storie passate. Ma se Merlo mi fa un articolo su di loro, una volta in vent’anni, giuro che gli offro un caffè.
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Bestie. Vietato ai cani l’accesso in centro a Treviso. E’ la piazza dove hanno tolto le panchine per non farci sedere gli “extracomunitari”. Di solito, chi è stronzo con gli animali poi diventa stronzo anche con le persone. Qui invece hanno cominciare col perseguitare gli esseri umani e solo quando li hanno esauriti sono passati a tormentare anche i cani.
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Smiracolo. Pur non invitate, numerose cavallette hanno già preso posto nella nuova chiesa che sarà dedicata a Padre Pio. Gli insetti sono ovunque, sulle pareti esterne della chiesa e sulle sedie disposte sul sagrato. Forse non si può parlare di una vera a propria invasione ma la loro presenza è massiccia e ben visibile, anche perché si tratta di aminali lunghi diversi centimetri. (shin.)
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Spetrolio. Il governo brasiliano ha annunciato che l’anno prossimo verranno prodotti ottocento milioni di litri di olio di mamona. La mamona è una pianta che cresce nei terreni semi aridi del sud america e dalla quale si può ricavare una specie di gasolio che alimenterà camion, autobus e mezzi pubblici. Il gasolio vegetale differisce da quello del petrolio perchè è rinnovabile, inquina di meno e non provoca guerre in medioriente. Se il programma darà i suoi frutti, il governo di Lula potrebbe trasformare il Brasile nel giro di pochi anni nella prima grande economia a propulsione biodiesel. (shin.)
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L’altra faccia dell’Europa. Fra il quarantatrè e il quarantacinque l’ideologia nazista passò a una fase due che, interrotta dalla sconfitta allora, forse è esattamente quella che torna a svilupparsi adesso. Il nazismo era nato come cosa tedesca e come ideologia strettamente nazionale (“volkish”). Formazioni spontanee e a modo loro “di sinistra” come le Sa e strutture tradizionali e conservatrici come la Wermacht e le polizie (una delle quali era, in fondo, lo stesso partito nazista) erano tutte accomunate dall’essere in diversa maniera “nazionali” e dal non voler essere altro che tedesche.
L’ascesa della seconda fase (che organizzativamente aveva il suo centro nelle Ss) fu lenta e circoscritta, e giunse a piena maturazione solo negli ultimi anni della guerra. L’ideologia, adesso, non era più basata sull’essere tedeschi, ma su un uomo nuovo la cui individuazione venne sviluppata per fasi successive, sempre più circoscritte: all’inizio, il tedesco oggettivamente “puro” contrapposto al semita; subito dopo, il tedesco determinato non più dalla “purezza” oggettiva ma dalla determinazione soggettiva a combattere tutto ciò che “puro” non fosse; poi non più il tedesco, ma l'”ariano”; infine, l’ariano sotto la particolare dizione di “europeo”. Tutte queste fasi si succedettero velocemente e caoticamente, confuse fra il fanatismo e la propaganda, ma non prive di una loro feroce logica interna.
Alla fine, Himmler era pervenuto ad individuare un sistema ideologico coeso, diverso da quello originario hitleriano, più lucido, più “realistico” e più conseguente. Il concetto della razza pura, in particolare, attraverso un arianesimo sempre più esoterico, fu mischiato con quello dell’Europa-padrona (e non più solo della Germania storica o di un generico Nord).
A questo punto, le file delle Ss – e della loro elite militare e ideologica, le Waffen-Ss – furono aperte largamente agli europei “ariani” che volessero farne parte. Furono costituite divisioni (la Charlemagne, la Wallonen, la Viking, ecc) ispirate non tanto alla ferocia della Grande Germania quanto a quelle (complici fra di loro ma in una qualche misura indipendenti) delle singole etnie d’Europa.
Queste divisioni gareggiarono in atrocità e fanatismo con le tedesche. Se avessero vinto la guerra – e sarebbe potuto accadere – sarebbero state esse, nazione per nazione, a fornire il quadro della nuova Europa, che non sarebbe stata semplicemente una Germania più grande ma un’altra cosa. Avrebbe avuto i suoi mercati, i suoi equilibri, i suoi extracomunitari, i suoi mura di cinta. Se fosse riuscita a nascere e a durare, avrebbe avuto qualcosa in comune con gli aspetti peggiori dell’Europa di ora.
Questa creatuta orrenda non nacque mai perché il soldato Ivan, insieme a innumerevoli ed umili suoi contemporanei, si sacrificò per fermarla. Dall’aborto, però, si salvò un Dna. Che periodicamente, dopo un lentissimo periodo d’incubazione, si va riproducendo appena può.
In Belgio, ad esempio, rivitalizzando tradizioni antisemite e xenofobe locali, le Ss riuscirono a reclutare delle forti formazioni di nazisti “europei”, sessant’anni fa. Ad Anversa due anni fa un elettore su tre ha votato per l’Haider locale. Non sono segnali da sopravvalutare. Ma bisogna sorvegliarli attentamente e (stavolta) affrontarli in tempo.
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Che fai tu luna in ciel. “Un piccolo passo per un uomo, ma un grande passo per l’umanità”: ricordate di Neil Armstrong mentre metteva piede sulla luna, quell’estate di tanti anni fa? Come nei racconti di Bradbury, il razzo era partito fra le proteste dei manifestanti davanti alla base spaziale (“Pensate ai problemi della terra, prima!” e le speranze di sognatori, scienziati, persone di tutto il pianeta. Il televisore in cucina, in milioni di case in tutto il mondo, ritrasmetteva (in bianco e nero) i passi spugnosi degli astronauti sul suolo bucherellato luna: molti esseri umani passarono quella notte così, davanti a quei rudimentali televisori, a guardare esseri umani come loro che passeggiavano goffamente dentro la Luna dei poeti. L’inizio, senza dubbio, di qualcosa.
Dopo più di trent’anni, di Luna si comincia a riparlare. Stavolta però come business. Il primo turista spaziale, un tizio qualunque ma imbottito di soldi, è già tornato a terra con la valigetta dei ricordi delle vacanze e le foto. “Sarà l’affare più ricco del futuro” dicono alla Nasa, e naturalmente bisognerà provvedere anche alle pillole per non ingrassare, all’anti-abbronzante spaziale, a un minimo di american way of life sulla Luna e su Marte come alle Seychelles o alle Maldive. Va bene: si vede che doveva andare a finire così.
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Lev wrote:
< Io non ho i terribili ed annosi problemi di mafia che si possono scrivere e denunciare, sembrando così coraggiosi. Io vivo in un settentrione che adora un dio che si chiama “noi tutti “, e che non tollera nessuna deviazione. Tu forse pensi che il peggiore dei problemi sia la Mafia. Credimi, qui nella provincia settentrionale sta maturando un mostro che te la farà dimenticare. Qui c’è gente che ti fucilerebbe perché sei ancora sulle striscie pedonali col verde e li fai arrivare in ritardo. Qui leggi l’odio sulle faccie di tutti se solo non sei “come tutti”. “Noi tutti” sta diventando un dio, si sta sollevando un moloch al cui confronto il nazionalsocialismo è un animato dibattito. Non appena il mostro sarà davvero partorito, davvero ti accorgerai che una sicilia che litiga per i giornali in mano alla mafia non è nulla in confronto ad un veneto nel quale i giornali non ci sono, e se ci sono dicono tutti le stesse cose, tanto non li legge nessuno. E se provano a dire qualcosa di diverso vengono chiusi con odio.
Il feticismo di “noi tutti” ti si presenta ogni volta che fai qualcosa che non è come lo fanno “noi tutti”. Vuoi farti notare, hai degli obiettivi. Sono andato a lavorare un mese, dico un mese, di corsa per fare jogging. Mi andava così, avevo un contratto vicino a casa mia, 4 km di corsa fanno bene.
Perché lo fai, ti chiede il mostro noi tutti? Se noi non lo facciamo perché TU si? Chi credi di essere? Come la cuoca arcigna di un collegio, ti si presenta infuriata , mani sui fianchi e grembiule sporco, chiedendoti se non ti piace quello che cucina lei. “NOI tutti” cucina questa roba e nessuno si lamenta, perché TU non la mangi? CHI credi di essere, credi di essere un signorino dai gusti delicati? E risate dal pubblico.
Ma cosa vuole, perché viene al lavoro correndo, quando TUTTI noi veniamo in macchina? Vuol farsi notare, allora vuole le nostre donne… gli elementi alfa del branco temono di essere spodestati… Vuole farsi notare, allora magari vuole essere assunto… chi di noi perderà il posto? Io volevo solo correre un po’. Ma il dio “noi tutti” non tollera defezioni.
Certo, avrei potuto dire che correvo per ragioni agonistiche. O perché sono appassionato di trekking sportivo. In questo caso, sarei stato solo uno che segue una strana moda. Moda, sebbene strana. Ma correre perché ti va di correre non è consentito: non ha un nome.
Tra qualche anno, a forza di non badare ai problemi di chi ha i soldi, perché si pensa che chi ha soldi non abbia problemi, il moloch farà qualche altro passo, e allora lo vedrete nella sua spaventosa bruttezza. Le sue prima, terribili parole saranno: “vuoi comprare una vocale?”
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Alessandro wrote:
< Esultate, giorni gloriosi sono in arrivo! Avete ancora due anni e una solida maggioranza, e a colpi di fiducia potete ancora legiferare a favore delle vostre clientele, e svendere agli amici degli amici gli ultimi pezzi di Italia non ancora ipotecati. Ci sono ancora manifestanti da manganellare (che son belle soddisfazioni), appalti da assegnare, cemento da colare, soldi per la guerra da sottrarre a quegli imbelli dei cittadini, tasse da evadere e condonare, e nipoti da assumere nella P.A. Ma il bello verrà fra due anni, quando il nuovo governo si ritroverà fra le mani il “Sistema Italia” sul lastrico, indebitato, inquinato, corrotto, e – ovvove ovvove – non competitivo! Sarà bellissimo, quando le lacrime e sangue per (tentare di) riparare il macello saranno targate “centro-sinistra”!! Sai le risate!! Argh Argh Argh! Fate attenzione però, mentre uscite, a non pestare i piedi alla mafia, che quelli sono incazzusi, e quando i loro ex. amici sono in parabola discendente, non sono per niente riconoscenti. Ultima dritta: se proprio non ce la fate ad abbandonare le careghe, ci sarebbe un articolino della Costituzione – il 60 – che recita: “La durata di ciascuna Camera non può essere prorogata se non per legge e soltanto in caso di guerra”. Nel caso, visto che in guerra ci siamo già, basta solo la formalità di dichiararla – una sciocchezzuola – et voilà, l’avventura continua! >
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mimmolombezzi wrote:
< Leggo la storia dei cinquantenni di Viterbo e penso che se trovassi un produttore intelligente più di tutte le guerre e i casini balcanici o mediorientali che ho girato in passato, vorrei fare sarebbe un documentario sul “NAZIENDALISMO”, il “nazismo aziendale” l’unico “pensiero forte” rimasto in piedi oltre al fondamentalismo wahabita >
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Saffo<saphos@lesb.org> wrote:
< D’allegri fiori cingiti i capelli,
amata mia, e intreccia le ghirlande
d’erba di campo con le dita lievi.
La nostra dea e le Grazie sono amiche dei fiori,
non ne gode lo sguardo chi non li ha per corona >
* * *
< Cosi insieme danzavano allora le donne cretesi
muovendo svelte i piedi attorno all’ara .
Sfioravano lievi le cime
dell’erba del tenero prato >
* * *
< Le stelle attorno alla lucente luna
ancora una volta svaniscono e lei
spande il suo chiaro sulla terra, lieve
luce d’argento… >
* * *
< La luna risplendeva piena, ed esse
si disponevan torno torno all’ara… >
* * *
< Tramontò già le Pleiadi e la luna
passo già mezzanotte, e passa il tempo
Ed io son qui, sola >
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“A che serve vivere, se non c’è il coraggio di lottare?” (Giuseppe Fava)