6 settembre 2004 n. 247
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Tempi. C’è stato un periodo, intorno ai primi anni sessanta, che visto da ora si può definire una belle epoque. In America e in Russia comandavano rispettivamente Kennedy e Krusciov: il primo fu quello che mandò i soldati federali contro i razzisti del suo paese, il secondo quello che sbaraccò l’arcipelago Gulag staliniano. Entrambi erano fortemente appoggiati, in queste battaglie civili, dai loro cittadini. Gli americani (i “baby boomers”, i papà dei sessantottini) credevano nei diritti civili e si consideravano americani essenzialmente per questo. I russi, eredi di una guerra terribile e martoriati dal potere, vivevano finalmente il “disgelo” – chiaccherare, parlare, essere un po’ più liberi di prima. Entrambi erano popoli orgogliosissimi, non masse impaurite: gli americani giovani e pratici, con gli unici drive-in del pianeta; i russi, nei loro dolori, fieri della durissima guerra contro l’orrore hitleriano.
Attorno a Krusciov e a Kennedy c’era tutta una serie di capi giovani, nelle nuove nazioni che andavano ricoprendo il mappamondo. Nehru in India, Lumumba in Africa, Castro in Sudamerica, Nasser fra gli arabi, e altri ancora. Nessuno di questi era antioccidentale, nessuno fanatico religioso. Volevano semplicemente accedere ai benefici civili e tecnici dell’occidente, essere uomini liberi come i bianchi, e non essere colonizzati mai più. Serbi e croati non si scannavano fra di loro. La fame, che ricopriva gran parte del pianeta, andava lentamente scemando; ed era comunque considerata un nemico da eliminare, col capitalismo o il socialismo, non un destino umano. Russia e America, tiranniche coi paesi vicini, facevano tuttavia a gara per allettarsi i paesi poveri regalando risorse e tecnici – pochi, ma pure servivano a qualcosa. L’America restava imperiale, la Russia autoritaria; ma imperialismo e tirannia apparivano delle zavorre del passato che a poco a poco sarebbero state obsolete.
C’era la Bomba, sì, che pendeva sinistramente su tutto quanto. Ma, col senno di poi, i primi ad averne paura erano i generali. Nessuno (con l’eccezione di Kennedy nella crisi cubana) pensò mai di usarla. Il mondo era minorenne, ma non pazzo. Dopo due guerre terribili, voleva solo crescere e stare in pace.
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Tutto questo, per riempire la pagina che dovremmo altrimenti riempire di bambini. Di corpi dilaniati, di occhi grandi, di prostituiti, di bombardati, di uccisi per le più varie religioni e ideologie. Ai Kennedy e ai Krusciov dei miei tempi subentrano gli spietati guardiani dei servizi segreti delle due parti. La Cia e il Kgb, da una decina d’anni in qua, eleggono i presidenti. Ai Lumumba, ai Nasser, ai laici e civili decolonizzati che allora distruggemmo perché non ci sembravano abbastanza servili, subentrano i selvaggi fanatici di Dio. La fame aumenta, diminuisce il termine di vita (in Russia, dieci anni in meno!); l’Africa è ormai caduta fuori dalla zattera e si disfà orrendamente nel disinteresse di tutti. I kamikaze e i bombardieri si affrontano, sfidandosi a chi apre più corpi umani. La guerra contro le donne e i bambini, condotta dai maschi adulti del pianeta, fiammeggia e non se ne vede la fine. Armaggedon è qui e ora e il diavolo, come la vittima, siamo noi.
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Alla democrazia, alla normalità, al senso della misura: a questo bisognerebbe tornare, qui da noi come altrove, ma sono ormai concetti superati. I baffoni del Kaiser, invece delle buffe pagliette giolittiane: come sembrava “realistico” e virile questo passaggio! Così, nei telegiornali di ora, i segni di trasformazione si sprecano. Segnali antropologici, da etologia, nei corpi, negli atteggiamenti somatici, nelle risate incoscienti. Più facilmente leggibili nei volti dei poveri, dove il fanatismo altera gli angoli facciali, meno nei visi adiposi dei “civili”. Ultimamente, dovendo decidere di pace o guerra – di questa pace, di questa guerra – si riunì un partito in America, fatto di cittadini-elettori, gente comune. Costoro, avendola vista al cinema, erano tutti amanti della guerra. E l’applaudivano freneticamente, tanto nella figura dei generali quanto in quella degli attori che, non essendo mai stati in guerra, l’avevano tuttavia recitata. Non distinguevano più fra personaggi e persone, fra cinema e telegiornale. Powell e Schwarzenegger, per loro, sono due militari, due capi da seguire. Chi dei due sia vero e chi un attore, non lo sanno e non gliene importa più.
La Belle Epoque è finita, siamo solo all’inizio dei mali. La Russia e Putin, col loro kitsch sanguinoso, sono la caricatura realistica di quel che noi già in parte siamo. Putin è democratico, la Russia è un paese civile, fidatevi del Comandante-in-capo, finirà tutto bene.
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Autostrada. Tornati a casa, gli italiani si raccontano l’un l’altro le avventure delle vacanze, di cui la principale di solito è il rientro attraverso la Salerno-Reggio Calabria, l'”autostrada” che mezza Italia è condannata ad attraversare ogni estate. Altro che ponti sullo Stretto: aggiornate la Salerno-Reggio Calabria, fatene un’autostrada e create una cosa utile una volta tanto. Ma nessuno è mai passato alla storia per aver riparato una cosa che c’era prima.
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Sicilia. Dopo la pausa estiva torna alacre al lavoro il governo regionale. Fra i primi provvedimenti uno stanziamento per ospitare a Trapani, l’anno prossimo, l’America’s Cup di vela. E poi capitolati, norme ad hoc, leggi, leggine, appalti, assessori insediati, poltrone da rigirare: c’è molto da fare, in questo nuovo anno istituzionale, sia per gli affari ordinari che per quelli nuovi. Il più laborioso è sicuramente don Totò Cuffaro. Non solo deve lavorare come un negro per fare il presidente della regione; nei ritagli di tempo gli tocca anche di fare la spia per Cosa Nostra il che, Mitrokin insegna, non è un lavoro leggero. Almeno, così pensano i magistrati, che infatti lo vedrebbero volentieri in galera
Lui non si preoccupa e tira dritto. Telefona a questo, rassicura quello, avverti quell’altro ancora; l’altra volta, fra le tantissime cose cui metter mano, c’era pure la camurria di dover presenziare, inquantocché Capo della Regione, alla lapide di quel generale, il carabiniere ammazzato – ma come accidenti si chiamava? – perché secondo lui doveva liberare da Cosa Nostra la Sicilia. E va bene, andiamoci pure, visto che è dovere. Cravatta, scorta, autoblù e sorriso; e via alla cerimonia. Da donde, i pochi onesti che c’erano appena da lontano lo vedono si voltano, s’azzittano e sgattaiolano via, a partire dai magistrati.
Don Totò resta a stringere mani “di rappresentanti delle istituzioni e di semplici cittadini” fra cui uno che, non sapendo come meglio esprimergli la propria devozione, s’inginocchia sul marciapiede e gli bacia la mano. Don Totò, sbirciando i carabinieri vivi, sorride tutto spavaldo come un re normanno; il suddito, dal basso in alto, gli sorride timidamente dal marciapiede; brigadieri e appuntati, impassibili sull’attenti, cercano – per quanto consente la posizione – di guardare schifati dall’altra parte. Quanto a lui, quello che è morto là dove ora quel palermitano è inginocchiato, non dice nulla. Egli infatti riposa in un paese lontano, ben lungi da questa vile terra di Sicilia.
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America. Sempre più accese le due campagne elettorali in corso di svolgimento negli Stati Uniti. Nella prima di esse, che riguarda la massima carica civile dello stato, è in lieve vantaggio il liberale John Kerry; nella seconda, relativa al Comando Supremo delle Forze Armate, sembra invece favorito George Bush II, di antica famiglia tory.
Entrambe le cariche, che per consuetudine vengono in genere assegnate alla stessa persona, risalgono alla fondazione delle varie repubbliche nordamericane (attualmente rappresentate sia alle Olimpiadi che alle Nazioni Unite da un’unica bandiera). Fin dalle origini, esse hanno infatti scontato una forte carica antimilitarista, dovuta essenzialmente al carattere autoritario degli eserciti di allora, impiegati sovente per mantenere sotto occupazione militare gli stati giudicati troppo poco evoluti per gestirsi da soli (la Virginia, l’Assam, lo Yemen, il Maryland e altri ancora). Per questo motivo venne stabilito che l’esercito “americano” avrebbe avuto un comandante elettivo e non di nomina regia, e che esso non sarebbe stato mai impiegato per occupare altri paesi.
Quanto all’autorità civile, rimase a lungo incerto se gli Stati Uniti avrebbero dovuto dotarsi di un re, di un Lord Protettore o di qualche altro tipo di pezzo grosso. Non era il solo dilemma che i Padri fondatori si trovassero ad affrontare (ad esempio: lingua ufficiale delle nuove repubbliche, il tedesco o l’inglese? Vinse l’inglese, per pochi voti) ma essi lo risolsero brillantemente istituendo una carica con poteri monarchici ma di durata limitata. Nell’assolutismo settecentesco, dopo i re riformatori auspicati dall’illuminismo, si ebbe così la variante dei re elettivi. Questi esistevano già, ma con poteri estremamente limitati, in Polonia; il “President” americano invece aveva un arco decisionale praticamente illimitato, certamente superiore a qualunque suo omologo europeo (dove nel frattempo si era sviluppato il parlamentarismo).
La coincidenza nella stessa persona del Generalissimo e del Presidente è stata estremamente utile, in varie occasioni, per risolvere crisi politiche di varia natura. Quando infatti, per un motivo o per l’altro, il Presidente ha difficoltà a svolgere regolarmente il suo mandato, non deve far altro che mettersi allo specchio e investire del problema il Comandante delle ForzeArmate. Questi immediatamente proclama che il Paese è in pericolo per opera di potenti nemici (messicani, cubani, algerini, coreani, russi: una volta gli abitanti della vicina isoletta di Grenada) e solo le femminucce possono restare a chiaccherare di roba come i livelli occupazionali o i prezzi. “Avanti, in nome di God!”. E il popolo americano, unito come un sol uomo, si schiera disciplinatamente dietro al Capo.
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Oggi, otto settembre… Beh, continuate voi come vi pare.
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Italia. Verrà spostata in Argentina la produzione dell’ultimo motore Fiat che ancora si producesse a Torino. Sedicimila posti in meno, nel giro di un anno, nella grande industria. Delle altre imprese, una su quattro avora completamente in nero.
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Cronaca. Villa San Giovanni. Si dimette dopo l’ennesima intimidazione (stavolta, cinque pallottole per posta) il sindaco Cassone, noto per le sue denuncie degli affari mafiosi sul ponte dello Stretto.
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Cronaca. Palermo. E’ morto cadendo da una scala mal fissata un operaio dei cantieri navali, Vincenzo Viola di trentavinque anni. Viola faceva il sindacalista e l’ultima denuncia che aveva presentata, subito prima di andare in ferie, riguardava proprio quella scala non messa in sicurezza.
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Cronaca. Firenze. Morto schiacciato dalla trituratrice un uomo, un marocchino di trentun anni, che dormiva in un cassonetto dei rifiuti. Non è il primo caso che si verifichi: i primi hanno meritato articoli in prima pagina e pensose analisi sull’emarginazione. Ma ormai ci abbiamo fatto il callo, e dunque dieci righe in cronaca bastano e avanzano. Così hanno ragionato tutti i giornali italiani, e così dunque ragioneremo anche noi.
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vzxc66@excite.it (via Macchianera) wrote:
< “Il nostro giornalismo e il loro”. Interessante, ma credo che tu abbia fatto un po’ di confusione. Quello che Feltri (per esempio) fa non è giornalismo “vecchia maniera” è semplicemente “propaganda”. E’ un modo di usare i mezzi di comunicazione di massa e controllare l’informazione noto e codificato fin dagli anni 20. Nella propaganda il controllo sociale si realizza con il controllo dei mezzi di informazione. Ogni fatto, anche quello apparentemnte opposto, viene usato al fine di rafforzare il consenso verso una precisa idea. Esemplare come si sono risolte (cioè nel nulla) sia la vicenda delle false notizie sulle armi di distruzione di massa, che quella delle torture di Abu Grahib.
Da questo punto di vista è piutto sto interessante notare che da quando sono nati gli strumenti di comunicazione di massa, come la stampa, già nel tardo settecento sono stati costruiti dei bavagli, dei sistemi per controllare la libera e incontrollata circolazione delle idee. Uno di questi è il copyright. Ancora oggi in Italia se qualcuno cerca di far circolare un giornale non registrato al Tribunale rischia una denuncia per “stampa sovevrvisa”. A prescindere dai contenuti. Purtroppola vera libertà di stampa fa paura. Perché come insegna il caso Internet una circolazione di informazioni troppo libera e incontrollata espone, per paradosso, anche alla falsificazione dei fatti, al rischio della manipolazione della realtà, senza prove e fondamenti oggettivi >
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niclavincenzo@tele2.it wrote:
< Ho conosciuto quest’anno la Sicilia e l’ho amata da subito. Ho amato i colori, gli odori, i sapori, la gente quella che conosce la cortesia come espressione di vita. Ho amato i luoghi e la storia, la cultura e la musica… ma ho avuto paura! Ho avuto paura di una calma apparente, del non vedere nulla di quello che conosciamo, delle casa seminterrate che sembrano disabitate, ma che se ti soffermi a guardare ti accorgi che dentro si sviluppa un mondo che non potrai mai conoscere… ho tremato davanti ai monumenti di Capaci e mi ha spaventata la mancanza di contraddittorio nel servizio stampa (mi risultava difficile trovare copie de “l’Unità”!). Mi sono fermata a parlare con un gruppo di giovani per affrontare problematiche comuni (anticipando che vengo da un paese del Gargano nel quale senza alcuna reticenza si spara davanti ai bar a qualsiasi ora) ma nessuno di questi giovani ha mai pronunciato la parola mafia, anzi se ne facevano allusioni di tutti i tipi e… si parlara a voce bassa
Ho avuto paura ma non sono riuscita a non amare una terra tanto ricca di cultura e di arte. Ho avuto tanta paura quando mi sono resa conto che tutto quello che si fa qui nel “continente” il quei posti arriva sbiadito, privo di enfasi e di coinvolgimento… allora mi sono chiesta: come cambiare qualcosa? Mi piacerebbe conoscere il parere dei siciliani quelli veri e degni di appartenere a questa splendida terra >
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chimera73@tiscalinet.it wrote:
< Ho bisogno di un favore, se possibile. Mi serve sapere dove, quante volte e quando, in Sicilia, sono stati sciolti Comuni per mafia, con relativo commissariamento. Grazie 1000 >
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Galina Padovanskaya <rosapia.bonomi@libero.it> wrote:
< Stavo lì sul bagnasciuga
chiacchierando coi pinguini.
Era in fiore la lattuga,
pigolavano i pulcini,
si grattavan sugli scogli
i trichechi e pur le foche,
i gabbiani con le mogli
passeggiavan tra le oche.
Vidi emergere da oriente,
da una nube bassa e nera,
una nave deficiente
senza neanche una bandiera.
No, non c’era una tempesta,
era il mare come un olio,
e la nave sputò, lesta,
rimasugli di petrolio.
Dio del mare e dei pinguini,
dei gabbiani e delle foche,
fa’ che affondino i cretini,
rimanendo tra le cache.
Fa’ che restino aggrappati
per tre mesi ad uno scoglio,
imbecilli e disperati
nel budino di petrolio. >
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“A che serve vivere, se non c’è il coraggio di lottare?” (Giuseppe Fava)