14 marzo 2005 n. 275
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Ancora giù in Sicilia. I nostri lettori hanno il privilegio, rispetto a quelli di altri giornali, di conoscere la storia di Carlo Ruta, un giovane giornalista siciliano (della Sicilia più profonda: Ragusa) che, su un miserabile sito di provincia, ha fatto tre cose proprio da giornalista.
1) Ha riaperto le indagini sull’assassinio di Giovanni Spampinato, il locale corrispondente de L’Ora che proprio a Ragusa venne assassinato per quel che scriveva, molti anni fa, mentre stava indagando sui rapporti fra mafia e estrema destra terrorista. A ucciderlo fu un fascista, di una delle principali famiglie della Ragusa-bene. Gl’inquirenti indagarono poco e male, le complicità e i legami rimasero inesplorati. Il caso fu però ripreso da Luciano Mirone (dei Siciliani) nel suo libro “Gli insabbiati” e, più di recente, da Ruta. Scatenando reazioni violentissime nel ceto notabilare – che è sempre lo stesso – della lontanissima e tranquilla città siciliana.
2) Ha aperto un’inchiesta sui collegamenti e le amicizie di alcune grosse banche del ragusano. Non solo siciliane ma anche nominalmente “continentali”. E’ stato – giustamente – querelato: l’istituto della querela serve proprio a stabilire, davanti alla legge e in un giudizio imparziale, chi ha torto e chi ha ragione in questi casi. Il processo però è è cominciato in modo abbastana eccentrico: a richiesta dell’avvocato delle banche – dunque una delle parti che teoricamente dovrebbero essere uguali – il sito di Ruta è stato senz’altro sequestrato e il suo contenuto distrutto, prima di una qualsiasi sentenza in qualsiasi direzione. Un provvedimento “strano”, senz’altro molto inusuale e comunque passato inosservato a causa della lontananza e al fatto che Ruta non è Enzo Biagi nè Santoro.
3) Ha accumulano nel sito alcune migliaia di documenti – giudiziari e giornalistici – sulla storia della mafia siciliana. Questi documenti sono stati tranquillamente distrutti, insieme al resto, con la chiusura del sito. Pazientemente, gli amici di Ruta ne hanno ricollazionato la maggior parte, e li hanno riofferti a un pubblico su un nuovo sito. La partita si è dunque riaperta. Una partita pericolosa, per l’establishment locale, dal momento che i materiali di Ruta sono difficilmente contestabili e hanno ricevuto l’approvazione, oltretutto, di storici e giornalisti storici della sinistra siciliana: Fidora, direttore de L’Ora, Casarrubea, storico del caso Giuliano, e altri amcora. “A dispetto di tutto, le inchieste aperte sulle banche, le istituzioni forti, i potentati, gl’insoluti giudiziari dell’isola, verranno continuate e portate a termine senza dover rinunziare a una virgola. Si insisterà a lavorare con la disposizione consueta con il dovuto rispetto per le persone, la verità, le cose”.
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La notte fra il 4 e il 5 marzo, sotto casa di Ruta, gli viene rubata l’automobile (di non grande valore: i ladri evidentemente erano d bocca buona) contenente alcune centinaia di copie di “Morte a Ragusa”, il libro sul caso Spampinato, che erano attese per l’indomani dalla distribuzione. Io considero quest’episodio assolutamente esplicito: ai miei tempi, nelle provincie più tradizionalmente mafiose, si sarebbe chiamato “un avvertimento”.
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Delle due grandi inchieste di Ruta una, quelle sulle banche, ha un carattere classicamente giornalistico e come tale dovrebbe essere difesa, al di là delle opinioni politiche, da chiunque abbia minimamente a cuore la libertà d’informazione. L’altra, quella sul caso Spampinato, non solo ha un carattere giornalistico “freddo” ma anche, con ogni evidenza, un carattere “politico” e – scusate la desueta parola – antifascista.
Di che si tratta, infatti? Dell’assassinio di un giovane compagno, redattore del giornale del Pci, perpetrato da estremisti fascisti nel quadro di un establishment baronale e di una mafia diffusa. Certo, non un argomento simpatico per i partiti di destra che oggi in Sicilia godono di un potere non da poco. Ma come mai i partiti della sinistra (specie quelli ex-Pci: Ds, Rifondazione, Comunisti italiani) non sentono il bisogno *morale* di intervenire sulla vicenda? Stavolta non c’è la “scusante” del caso Catania, in cui venivano “qualunquisticamente” inchiestati destra e sinistra. Stavolta tutte le vittime – vive e morte – sono incontestabilmente di sinistra, e tutti i violenti sono esplicitamente di destra. Cos’è, anche Ruta “fa di tutt’erba un fascio”? E’ “qualunquista”? O i segretari e deputati di Ds, Rifondazione e Comunisti italiani sono ormai tanto privi di sensibilità civile, hanno tanto gettato via la loro memoria storica, da non percepire nemmeno la drammaticità umana e politica di un simile caso?
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Io non faccio più appello al sindacato dei giornalisti, che in Sicilia non esiste (per documenti e moduli ci si rivolge direttamente all’addetto stampa di Cuffaro) e che a Roma e Milano è ben lontano da queste povere e periferiche cose. Non faccio appello alla libertà di stampa, che in Italia vale ormai quanto vale, nè alla coscienza civile e democratica – come si diceva una volta – di chi sta nelle istituzioni. No, faccio appello esclusivamente all’interesse di partito più egoistico (visto che altro ormai non intendono) dei segretari regionali di Ds, Rifondazione Comunista e Comunisti italiani e ai rispettivi deputati e senatori. S’incontrino, pensino per un momento a ciò da cui discendono – a Licausi, a Miraglia, ai sindacalisti antimafiosi – e facciano il loro dovere in questa incredibile storia sostenuta finora dal solo Carlo Ruta.
Bookmark: www.leinchieste.com
Info: carlo.ruta@tin.it
Solidarietà: c.c.p. 52625597 intestato a Edi.bi.si., via Ungaretti 46, 97016 Pozzallo (RG).
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(Appendice. Elenco dei giornalisti assassinati in Sicilia dal dopoguerra in poi: Alfano Giuseppe, Cristina Cosimo, Di Mauro Mauro, Fava Giuseppe, Francese Mario, Impastato Giuseppe, Rostagno Mauro, Spampinato Giovanni. L’elenco è tratto dall’unico libro finora apparso sull’argomento, “Gli insabbiati” di Luciano Mirone – ovviamente anche lui disoccupato e senza redazione).
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Fede contro Giuliana. I non-giornalisti attaccano i giornalisti.
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Iraq. Check point. Fosse passato il papa, avrebbero sparato lo stesso.
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Soluzione finale. Benzina e fuoco: è accaduto alla periferia di Foggia, dove un ghetto di zingari è stato ripulito così dai volenterosi carnefici locali. Per errori nell’esecuzione tecnica, i quattrocento zingari si sono salvati: solo una decina di bambini all’ospedale.
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Tempi. Dicono i commercianti che da un po’ gl’italiani hanno cominciato a risparmiare il più possibile sugli alimentar i- scuola e medicinali non lasciano più spazio alla gastronomia raffinata.
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Politica. “Vota Cuffaro” in Sicilia può essere uno slogan, un’opinione politica, o anche un’affettuosa raccomandazione del boss Bernardo Provenzano. Che i siciliani, educatamente, hanno accolto.
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La Cina è vicina 1. Il sindacato in fabbrica è una iattura. Le fabbriche senza sindacato, come in Veneto, ai tempi sono sembrate il non plus ultra. Poi i cinesi hanno inventato la fabbrica non solo senza sindacato ma anche con la polizia dentro. E i padani ora protestano: concorrenza sleale.
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La Cina è vicina 2. Dice che siamo troppo pesanti per reggere la concorrenza, che paghiamo troppo. Bene. Ma paghiamo troppo Tanzi o paghiamo troppo Cipputi?
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La Cina è vicina 3. Quattro marchi di latte sequestrati perché mettevano in circolazione latte scaduto. Bene. Ma quali erano, precisamente, questi marchi? Distrazione mia che non li ho trovati sui giornali o attenzione del Partito che – per non danneggiare l’Imprenditoria Nazionale – ne ha vietato la pubblicazione?
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“Bombe sangue anarchia” 1. A Siracusa trovato il responsabile di alcuni attentati a Cgil e televisioni locali rivendicati da “nuclei comunisti combattenti”. E’ un certo Andrea Acquaviva, 40 anni, espulso pochi mesi fa “per indisciplina” dal movimento di estrema destra Forza Nuova (di cui era stato candidato sindaco l’anno scorso).
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“Bombe sangue anarchia” 2. In giro per l’Italia diversi attentati (per ora fortunatamente leggeri: ma una volta tendevano a intensificarsi in tempo d’elezioni) rivendicati da una “federazione anarchica informale” di cui si sente parlare per la prima volta in queste occasioni. Repubblica però, sicuramente per distrazione, li attribuisce invece alla Fai (Federazione Anarchica Italiana) che esiste da piu’ di cent’anni. E’ la sigla ufficiale ufficiale degli anarchici italiani e ovviamente non ha mai fatto attentati.
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Zapatero fa un anno. In Italia gli zapateri sono due, uno professore simpatico l’altro sindacalista-gentiluomo. Come nascono gli zapateri? In Spagna, per colpa di un governo tanto citrullo da raccontare balle evidenti al pubblico proprio il giorno prima delle elezioni. In Italia più o meno allo stesso modo, ma diluito nell’arco di tre anni.
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Perché scioperano i ferrovieri. Nei traghetti Messina-Villa hanno abolito l’ufficiale di coperta (quello che si occupa della sicurezza) e l’ufficiale di macchina (che si occupa anche di anti-incendio).
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Cronaca. Torino. Crolla la palazzina fatiscente in cui “abitano” gli immigrati in via Veronese.
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Cronaca. Napoli. Crolla la palazzina fatiscente in cui “abitano” i napoletani al rione Sanità.
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Spubblicità. Per favore, non comprate – nel caso abbiate i soldi – Bmw nuova serie. E’ quella che ci rompe le scatole – aprendo un maleducato popup copritutto – ogni volta che apriamo le news di Repubblica.it.
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Stampa libera e free-press. A differenza della maggior parte dei paesi europei, l’Italia non ha una grande tradizione di lettura dei quotidiani. I lettori, proporzionalmente, sono circa un terzo di quelli inglesi, tedeschi o olandesi, sono poco più della metà di quelli francesi e in alcune zone del paese (in particolare il sud, oggetto negli ultimi anni di totalitarie concentrazioni editoriali) superano di poco quelli greci o turchi. Questo non è un problema di vita o di morte per gli editori (i cui profitti sono andati crescendo nonostante la flessione delle vendite) ma è certamente un indicatore non ottimistico sul culturale del paese. Nessun giornale è mai riuscito a mantenere a lungo in Italia una rappresentatività o un’autorevolezza pari a quella dei loro omologhi francesi o inglesi. L’opinione pubblica, da noi, passa quasi esclusivamente per le televisioni e il vecchio “l’ha detto la tivvù” è ancora sostanzialmente l’ideologia informativa corrente.
In questa situazione strutturalmente malsana, e in coincidenza con una crisi verticale della professione giornalistica (una quota crescente di giovani colleghi lavora ormai regolarmente senza un contratto di lavoro che ne garantisca l’indipendenza) l’arrivo della free-press ha segnato probabilmente il punto di non ritorno.
La tendenza a sottovalutare il dato dell’edicola e a puntare le carte maggiori sulla pubblicità adesso viene razionalizzata e ufficializzata: la scelta del lettore pagante è niente, la pubblicità è tutto. Il lettore, che una volta bisognava corteggiare per convincerlo a tirar fuori il famoso resto del caffè (che costava un carlino meno, appunto, gli spiccioli per il giornale) adesso è semplicemente un numero nella statistica dei contatti pubblicitari, un frammento di audience: in questo senso è del tutto analogo, strutturalmente, allo spettatore televisivo. Di cui però non possiede il telecomando.
La qualità dei free-press italiani non è generalmente eccelsa. Notizie-flash, molto (o moltissimo, secondo i casi, enterteinment) taglio da notiziario televisivo. Alcuni prodotti (ad esempio Metro) sono, entro questi limiti, abbastanza civili; ad altri (ad esempio Leggo Roma) invece mancano solo le veline – intese come ragazze, non come Minculpop – per essere la versione stampata di un varietà. Gli altri si collocano fra questi due limiti, ma sempre e comunque con un’ideologia rigorosamente televisiva. Col che la funzione di riflessione e dibattito della carta stampata, quella su cui abbiamo costruito tutto il nostro modo di essere negli ultimi due secoli, se ne va tranquillamente a farsi benedire.
Però, non è il concetto di free-press in sè quello che crea l’effetto-televisione. Sono le tre particolari caratteristiche con cui esso si concretizza qui ed ora.
1) Siccome nessun gruppo di giovani giornalisti, e nessun impreditore “progressista” ha mai preso in seria considerazione la free-press quando si era in tempo a imprimerle un volto diverso, essa è diventata una creatura o di grandi gruppi multinazionali o di editori italiani preesistenti che la portano avanti essenzialmente per ragioni “politiche”, alimentandola con i residui di lavorazione dei propri quotidiani tradizionali;
2) Siccome, per motivi di agevolazioni politiche ecc., è risultato più semplice individuare il target della free-press negli utenti dei mezzi di trasporto urbano, i prodotti sono stati progettati strutturalmente per un tempo di lettura assai breve. Tempo breve non vuol dire necessariamente notizie-slogan. Ma certo, non vuol dire nemmeno l’opposto.
3) In conseguenza del primo e del secondo punto (e anche per la mancata assimilazione delle lezioni ricevute, sul piano della tempistica, dalla web-communication) la periodicità del nuovo prodotto è stata automaticamente assimilata a quella del quotidiano. Ora, in Italia il quotidiano è tradizionalmente, fra tutti i paesi del mondo, quello che meno si basa sull’approfondimento, delegato senz’altro (con poche e non mai abbastanza lodate eccezioni) al mondo dei magazines anzi, come da noi si dice, dei “maschili”.
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Nell’arrivo sul mercato – sia pure così distorto – della free-press c’è però una straordinaria riscoperta, un ritorno alle radici. La comunicazione è a pagamento solo da un tempo relativamente recente. Lo Spectator si paga, e in questo senso seleziona sul più moderno terreno possibile (quello dello strumento-denaro, da poco giunto a piena maturazione in quello scorcio di Settecento) una nuova classe di lettori, che è quella a cui fino a una generazione fa appartenevamo. Ma prima, la comunicazione era “gratuita”. Lo era la cattedrale medievale con le sue storie e le sue vetrate, lo era il cartello d’avviso, lo erano i graffiti… Tuttora, ci sembrerebbe strano dover pagare per la comunicazione che ci fornisce un segnale di divieto di sosta. La comunicazione, cioè, oltre che una merce, può essere un servizio.
Da chi fornito? Dal vescovo della cattedrale, dallo stregone della tribù col suo nerofumo, dal sindaco-notabile del paese. Oppure, colla sua pera a carboncino sul muro, da un Gavroche. Da pochi soggetti, in passato, pochi e coincidenti in genere col potere.
Ma oggi c’è XPress, c’è Html, ci sono le laserwriter, c’è la scolarizzazione di massa; c’è la Rete. Siamo sicuri che la comunicazione, in una società postindustriale, sia ancora solo, o prevalentemente, una merce? Che non possa tornare ad essere un servizio, proveniente stavolta da un’infinità “democratica” di punti-sorgente?
La free-press, naturalmente, non è ancora questo. Ma denuncia già la possibilità di ottenerlo, e la difficoltà d’accontentarsi, in prospettiva, di meno di questo
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Tu-tu-tuuu. “Vòdafon. Il telefono della Persona Amata non risponde…”.
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Spot. “Mi mangiassero i grilli”: è bello, è un romanzo, di sicuro è breve. Vi venisse voglia di leggerlo, potete: 1) ordinarlo al libraio; 2) chiederlo in prestito a qualcuno che ce l’abbia già; 3) ordinarlo via internet all’editore Fernandel che ve lo spedisce a casa.
Bookmark: www.fernandel.it/cgi-bin/select.cgi?action=show&art=Libri&all=1
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alessandro.paganini@cheapnet.it wrote:
< Istanbul, la polizia carica, pesta e arresta le donne in manifestazione. L’Europa si indigna, ma loro volevano solo fare come i “nostri” al G8, per sano spirito di emulazione. Una legge facilissima, realizzabile immediatamente con minima spesa, che dovrebbe essere ai primi posti nel programma elettorale di qualsivoglia partito eccetto quelli di estrema destra: numeri di matricola ben visibili su elmetti, schiena, petto e maniche dei poliziotti mandati a “tutela” dell’ordine pubblico. PS. grazie ancora ai giornalisti, quelli che rischiano manganellate o la pelle per permetterci di conoscere con chi abbiamo a che fare >
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ernesto@math.jussieu.fr wrote:
< Cari amici, esasperati dalla marea di strafottente incivilta’ che sta travolgendo l’Italia berlusconiana, come un’onda anomala di insulti e volgarita’, ma consci anche del fatto che non vi e’ alcuna resistenza a questa ondata da parte dei partiti della sinistra, che anzi sembrano disposti ad accogliere a braccia aperte questo nuovo stile e linguaggio, abbiamo deciso di muoverci contro cio’ che sembra rappresentarla meglio: l’amore sfrenato che la nostra classe politica nutre verso Bettino Craxi. Che Berlusconi si ispiri a Craxi sembra naturale. Ma che Fassino dichiari che Craxi deve essere considerato come uno dei padri fondatori del partito che lui sta riformando sembra veramente troppo! Almeno, troppo per votarli.
Comunque, diamogli un’ultima possibilita’: firmiamo questa petizione in cui gli si chiedono spiegazioni e speriamo che possa servire a qualcosa >
Bookmark: www.petitiononline.com/craxi/petition.html
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pierluigi.baglioni@fastwebnet.it wrote:
< “Noi con l’Iraq non c’entriamo niente, non abbiamo alcun interesse a intervenirci in qualsiasi modo… > Io non considero l’Iraq affar suo ma anche nostro. Se non abbiamo interessi nazionali economici da salvaguardare, abbiamo quello umano di aiutare un paese ad uscire dai guai >
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gandini@wema.it wrote:
< Ci si abitua a tutto, diceva Heinrich Böll, quando i carri armati sovietici stazionavano sotto il suo albergo di Praga. “Sono vent’anni che non vedevo più un carroarmato per strada e sono bastati due giorni a farmici riabituare.” A distanza di quarant’anni, i morti nelle città non fanno più le prime pagine dei giornali, erano mille a novembre dopo 15 mesi di Iraq, 4 mesi dopo sono 1500. Un’accelerazione allucinante. Ma ci ci si abitua.
E allora tu sei uno di quei GI’s alla cui morte tutti sono abituati e magari senti pure il senso di colpa di non essere dei loro; di quelli che si sono abituati; ti senti in colpa che tu alla morte tua e di quegli otto, non mille, non millecinque, solo quegli otto che hai conosciuto e che sono crepati, non ti ci sei abituato. Ti senti in colpa perchè quello è il tuo mestiere, quello di crepare e di veder crepare, e tu sei un professionista, ma insomma ci hai anche provato, ma proprio di abituartici a sto fatto di schiattare non ci riesci.
E te ne stai teso e disabituato al tuo posto di blocco e vedi arrivare una macchina, una scatola di latta, e nelle mani non hai un grilletto, un pulsante, una cosa che spara, no, in mano, tra le braccia ci hai un peso allucinante, un peso incredibile, il peso di otto compagni morti, il peso di sedici occhi prima vivi e poi di sedici occhi morti che ti guardano dal basso del grilletto. Trentadue occhiche ti appartenevano come un tuo passato, come compagni di scuola, morti però, compagni di scuola morti e diventati proprio quel tuo cagnaccio al guinzaglio, quel tuo cerbero-grilletto a guardarti e a strillarti, a urlarti a squarciagola: Campa!
E allora tu sei quello li e per non saper nè leggere nè scrivere, hai sguinzagliato quei trentadue occhi, hai sguinzagliato quel cerbero e hai sparato. Hai sparato e basta. E per quel giorno sei vivo ed è andata bene così, anche se a morire è stato il contenuto sconosciuto di una macchina: l’equivalente bambino di una scatoletta di latta.
Il fatto è che li, tu e gli altri otto, non ci dovevate proprio stare e manco la scatoletta di latta ci doveva stare. Manco per mestiere >
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linarena@yahoo.it wrote:
< Quando scrivi di Calipari cerca di riflettere anche su un aspetto molto inquietante: la sinistra ha lanciato empre sospetti su tutto e su tutti perchè vive di sospetti e di insulti. Ebbene, il Sismi era formato da gente come il Calipari e non si debbono dimenticare le accuse che la sinistra ha lanciato contro il Sismi deviato. Ricordi? Doveva essere un tizio come Nicola Calipari l’agente deviato? E poi non ti viene il sospetto che gli amici della Sgrena che avevano inscenato il rapimento non si siano anche venduti l’auto dei servizi segreti e provocato il fuoco degli americani per non aver fatto passare l’avvertimento? >
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“Gli amici della Sgrena che hanno inscenato il rapimento…”. Cara Lina, Lei involontariamente sta facendo dell’ottimo anticomunismo. Non per ciò che Lei scrive sui servizi (tutti come Calipari? davvero?) ma proprio per il Suo atteggiamento categorico, di verità sprezzante e assoluta. Lo riscontriamo in Lei – ex comunista – e, risalendo la scala, in Bondi, in Ferrara, in Putin, tutti ex comunisti come Lei e adesso come Lei difensori del Capitalismo Assoluto. Al che uno si chiede come sarebbero andate le cose se Lei e i suoi (ex?) colleghi avessero preso il potere. Putin invaderebbe la Svezia, Ferrara – direttore dell’Italpradva – ne esalterebbe le gesta, Bondi organizzerebbe le sfilate di Forza Soviet e Lei, Commissaria del popolo da qualche parte, a quest’ora mi avrebbe già mandato in Siberia per deviazionismo di destra e di sinistra. Fortuna che invece c’erano Berlinguè e Peppone.
Va bene. Io ho l’obbligo di pubblicarla ai sensi della Legge Voltaire, ma forse sarebbe meglio non essere stati comunisti se poi deve finire così, da ci-devant feroci.
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George<rwll36-4w16@bigbro.uk> wrote:
<Un fastidioso stridore, come di una macchina non ben lubrificata, si fece sentire con uno scoppio dal grande teleschermo in fondo alla sala. Era un rumore che faceva drizzare i capelli in capo. I due minuti di Odio erano cominciati. Durante il suo secondo minuto, l’Odio arrivò fino al delirio. La gente si levava e si rimetteva a sedere con gran rimestio, e urlava per coprire quella voce maledicente che veniva dallo schermo. La bruna della fila dietro urlò “Porco, Porco, Porco”, afferrò un pesante dizionario e lo scagliò sul teleschermo. Una estasi mista di paura e di istinti vendicativi, un folle desiderio di uccidere, di torturare, di rompere facce a colpi di martello percorreva l’intero gruppo degli astanti>
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Pino Balzano (by donaudig@tiscali.it) wrote:
< Stronzo di un Freud
N’è mica il sesso
Che condiziona tutto,
la solitudine, è >
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“A che serve vivere, se non c’è il coraggio di lottare?” (Giuseppe Fava)