25 luglio 2005 n. 294
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No, cominciamo con una cosa bella, invece. Tornano i ragazzi dell’antimafia in Sicilia. A Palermo, senza aiuto di politici e in maniera assolutamente spontanea, sono sorti almeno tre nuovi gruppi di giovani – uno fa una rivista di satira, un altro la campagna contro il pizzo, un terzo manifestazioni antimafia in provincia – ed è a loro che dedichiamo, in questi giorni difficili, questo numero della Catena. Hanno idee buone e nuove: quelli dell’antipizzo, per esempio, non si limitano a far lamentele ma hanno lanciato una proposta precisa (“non comprare da chi paga il pizzo, compra solo dai commercianti dignitosi”) che è già stata raccolta da quattromila cittadini. Quelli della satira stanno facendo un loro giornaletto divertentissimo (presente il Male o Frigidaire?) in cui i mafiosi vengono presi spietatamente per il culo; e si vende. I “provinciali” stanno in uno dei posti più difficili della Sicilia – Capaci. Io ho dormito nella loro sede piena di coppe sportive, pennarelli, libri, volantini, giornali fatti da loro e – nascosti in uno scaffale – pacchi di foto in cui si vedono bambine con le treccine che sfilano allegramente alla manifestazione antimafia e ventenni che comiziano accanto a Orlando – più di dieci anni fa.
Quelle bambine ora sono ragazze grandi, e mettono i manifesti di Falcone sull’autostrada. Quei ragazzi ora sono uomini fatti, veterani, e ancora non hanno mollato. Ed ecco che la strada si va riaprendo ed ecco che spunta già l’altra generazione.
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A Bagheria, a Camporeale, a Castelvetrano – tre nomi che nella storia contadina sono terreno di battaglia da più di sessant’anni – quest’estate c’erano tre campi di lavoro organizzati da Libera e popolati da un’ottantina di ragazzi di tutte le parti del mondo: un giamaicano, un tanzaniano, una giapponese, diversi americani, latinos, altri africani: il pianeta. C’erano poi – ma non per un’estate: per sempre – i giovani delle cooperative organizzate, sempre da Libera (ma su una vecchissima idea, di vent’anni fa, dei Siciliani), per gestire i terreni confiscati ai mafiosi (incazzatissimi: ma quest’anno le cooperative sono state riconosciute e ufficializzate e se ne preparano anche altre). C’erano numerosi militanti, per lo più giovani, di Libera, di Lega Ambiente e di altre bande. C’era qualche vecchio pelandrone, ancora intestardito a esserci una volta di più alla faccia di tutto. Non c’erano, grazie a Dio, politici, ma pane, vino, acqua fresca e olive. Si stava bene, insomma.
Ecco: immaginate tutta questa gente assieme, su un’aia di un posto che, per quelli che sono siciliani o rossi si chiama Portella delle Ginestre e per tutti gli altri è semplicemente una gialla campagna in fondo alla Sicilia, coi monti, qualche albero, sentieri e un cielo intensissimo addosso. E adesso arriva un’automobile e dalla macchina scende, aiutato da una ragazza e da un altro appena un po’ meno vecchio di lui, un vecchio sorridente circa ottantino. Sono quattro in tutto: uno serio e magro, uno corto, ironico, uno che non parla quasi mai ma molto spesso ammicca e questo qua che è arrivato ora. Nel quarantasette, il giorno del Primo maggio, essi erano qui, a qualche centinaio di metri di distanza. Il compagno del sindacato, ritto sulla pietra su cui da tempo immemorabile parlavano, clandestini o no, gli oratori dei contadini, aveva appena avuto il tempo di cominciare: “Lavoratori, compagni…” che già i mafiosi avevano aperto il fuoco sulla folla dei contadini.
“Io? Io ero picciotto, quattordici anni avevo. Scappai. Poi m’arricordai di mio zio cca’ bandiera, mio zio portava la bandiera dei socialisti e perciò non era scappato…”. I vecchi parlano, in mezzo al gentile cerchio dei ragazzi. Una ragazza cogli occhiali, a ogni pausa del vecchio, traduce. Le parole passano da un ragazzo all’altro, dall’italiano all’inglese e dall’inglese alle altre lingue. I visi, via via che le parole si trasmettono, si animano compostamente. Solo i siciliani – mi sembra – non dicono niente, forse perché non hanno bisogno di traduzione, forse perchè non sentono necessarie, ora, altre parole.
“Poi dovetti emigrare, in Germania dovetti andare, ma poi tornai, siamo tornati tutti prima o poi…”. Parla il secondo vecchio, e la ragazza traduce. Parla il terzo, e poi il quarto, e una ragazza biondina di lingua inglese, un compagno di qua sui trent’anni, di nuovo un vecchio, uno della camera del lavoro, un ragazzo di non so dove… C’è un’aria allegra, di scampagnata fra amici, non di commemorazione. Il sole comincia a scendere, nel grande tramonto siciliano. Dove porterà quel sentiero? Di là c’è Piana, di là san Giuseppe Iato, molto lontano Palermo, più in là ancora il continente, l’Europa moderna, il mondo…
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Quest’anno i giorni di Borsellino sono andati così, nella città di Palermo. Alcuni li hanno passati da una parte, imbrattando con segni osceni la sua lapide, cercando di dar fuoco alle cooperative antimafiose o rimettendo a fare il giudice il “giudice” Carnevale (quello che sbraitava: “quel cretino di Falcone!”). Altri li hanno passati dall’altra parte, qui a Portella o nella sede di Libera o nelle piazze e i cortili in cui si ricordavano i compagni nostri. Pochi sono rimasti neutrali. E questa, ora come dieci anni fa, è l’anima di Palermo. “Ciudad del pueblo” come Madrid o Stalingrado o Barcellona; o capitale di Sauron, roccaforte del buio, del non-umano. E queste due Palermo si combattono e sempre si combatteranno. E’ possibile una momentanea stanchezza ma non mai un accordo.
In città, ai ragazzi che m’incontravano, mi veniva da dire – involontariamente – “Ehi, ma attento però, pensa al domani! Non è a revolverate che ti faranno fuori, ma con la fame”. Ma poi, laggiù a Portella sotto il sole, svanivano l’apprensività protettiva e i “pensaci bene”. Restavano solidarietà e hermandia e, guardandoli e sentendoli e vedendoli lì, un orgoglio smisurato.
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Si sente la mancanza di Wojtyla. L’idea della guerra di religione, di civiltà, o come si voglia chiamarla, avanza sempre più cupa dalle due parti. E’ artificiale e popolare come un McDonald e come questo ha degli ottimi esperti di marketing.
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Quanti terroristi sono nati il giorno in cui i leghisti gettarono sterco di porco nel luogo dove doveva sorgere una moschea? Quanti nazisti sono nati il giorno delle bombe a Londra?
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Quanti musulmani sono morti a Londra? A Roma, all’ora di punta, molti autobus sono pieni di romani dalla pelle scura.
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La battaglia “ideologica” con l’Islam: che non possono e non vogliono fare perché gli somigliano troppo.
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Dal sette luglio circa cinquecento aggressioni a musulmani (per lo più sputi alle donne) in Inghilterra.
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La “normale” frustrazione di un adolescente povero. Gli hooligan. La religione o la curva sud, senza gran differenza. Personalmente tendo a fidarmi poco degli indicatori ideologici “alti”.
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Del Ventunesimo Secolo (quando c’erano ancora le religioni) gli archeologi, scavando, trovarono questo graffito di due ragazzi ignoti: “Credevamo in fedi diverse, ma non è mai stato un problema”.
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Piazza Alimonda. Anche quest’anno il 20 luglio ho incontrato una famiglia di gente pulita, che ha avuto un figlio ucciso da chi ha giurato di servire lo stato, e un processo negato da chi ha giurato di servire la giustizia. Anche quest’anno in piazza Alimonda, che molti si ostinano a chiamare piazza Carlo Giuliani, c’erano Elena con il suo sorriso, Giuliano con la sua determinazione, Haidi con i suoi occhi asciutti e il cuore gonfio, Haidi che parte dalla memoria di suo figlio per organizzare mostre sul sessantesimo anniversario della Costituzione, voce isolata in una città che l’anno scorso si fregiava del titolo di “capitale della cultura”. Anche quest’anno c’era Arnaldo, uscito dalla Diaz a sessant’anni suonati con una gamba spaccata e un braccio rotto che ancora oggi continua a dargli problemi, ma che non gli impedisce di essere ovunque ci sia qualcuno che chiede verità e giustizia per i fatti di Genova. C’era Don Gallo con il viso un pò più stanco del solito, che afferra un megafono per cantare a voce alta Bella Ciao quando alle 17,27 un applauso ricorda una vita spezzata troppo presto.
In piazza Carlo Giuliani incontro amici di tutta Italia, uniti dall’esperienza del luglio genovese a dispetto della lontananza geografica. “Mancano solo i genovesi”, mi racconta Haidi con una punta di rammarico. La città ha rielaborato il lutto nel modo più semplice: con la rimozione del ricordo. Chissà come finirà tra qualche giorno, quando in consiglio comunale a Genova si discuterà l’opportunità di installare a spese della famiglia Giuliani un cippo che ricordi semplicemente “Carlo Giuliani, ragazzo”, e a presiedere questa discussione ci sarà lo stesso sindaco Ds che nel 2001 ha firmato di suo pugno l’ordinanza che proibiva di stendere i panni alle finestre, sospendendo perfino le faccende domestiche in una città sequestrata da otto potenti.
Piazza Alimonda è così, un luogo che trasuda dai mattoni la morte e la sua negazione, capace di strapparti un sorriso di affetto e un nodo in gola nel medesimo istante, un luogo che ti fa pensare a tutto quello che potevi fare e non hai fatto, a tutti i Carlo che ogni giorno sono risucchiati nelle sabbie mobili della violenza, a tutti i ragazzi considerati la parte malata della società mentre sono semplicemente una parte di una società malata. Non so se eravamo mille o diecimila, ma per quanto mi riguarda la dignità e la civiltà non sono mai state una questione di audience, e fino a quando in piazza Alimonda ci saranno dei ragazzi che lasciano fiori, bicchieri di vino e poesie, io crederò che c’è ancora una speranza per il mio paese, ancora un po’ di vita nell’animo umano. [carlo gubitosa]
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Sorry. Non c’entrava niente coi terroristi il tizio sospetto e scuro sparato fra la folla dagli agenti a Londra. I media, Times di Murdoch in testa, erano già partiti con “l’aspirante kamikaze” ma la polizia, a Londra, è ancora inglese e ha immediatamente – e civilmente – riconosciuto l’errore. Non osiamo pensare a ciò che sarebbe successo in Italia in un caso come questo.
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“Trattiamo il terrorismo come la mafia!” ha detto il governo. Bene. Resta da trovare un Alì Ben-Utri per fargli organizzare il partito del presidente.
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Viva la guerra 1. Secondo il pentagono 1713 soldati iracheni sarebbero pronti ad un’azione accompagnata da militari USA, ovvero 3 battaglioni su cento. [tito gandini]
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Viva la guerra 2. Il pentagono ha proposto di alzare l’età massima delle reclute ad oltre 42 anni. Recentemente poi sono diminuiti i requisiti richiesti per arruolarsi: un candidato dopo aver manifestato il desiderio di arruolarsi, in capo ad un paio di giorni si è persino visto recapitare a casa il diploma di studi che gli mancava per essere preso. Quando i limiti d’età verranno alzati a 65 anni e abbassati a 16, ci ritroveremo a difendere Berlino, strada per strada, dall’avanzata delle truppe sovietiche. [tito gandini]
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Venerdì nero. Roma, bar La caffettiera, a due passi dal Parlamento. Altero Matteoli, Maurizio Gasparri e Ignazio La Russa, parlano di Fini: “È malato, gli tremano le mani, non ce la fa a guidare il partito. Dobbiamo dirgli Gianfranco, svegliati. Se serve prendiamolo a schiaffi”. Alle loro spalle uno stagista del Tempo annota tutto. Il giorno dopo la conversazione è sul giornale, depurata delle espressioni più volgari. Quarantott’ore più tardi Fini rimuove i tre colonnelli e i loro uomini da tutte le cariche interne al partito.
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Venerdì rosso. Roma, Consiglio nazionale dei Ds. Un ordine del giorno presentato da Cesare Salvi e firmato da Mussi e Napolitano denuncia le spese gonfiate di Campania, Calabria e Lazio, il proliferare delle commissioni e delle consulenze: “Le regioni governate dal centrosinistra rischiano di dimostrarsi più clientelari di quelle governate dal centrodestra”. Bassolino non commenta. Tre giorni dopo a Napoli Maria Fortuna Incostante, bassoliniana, diventa nuovo segretario provinciale dei Ds. Votano contro gli uomini di Salvi e Mussi, si astengono quelli di D’Alema. [francesco feola]
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Festival. Per fortuna non c’è solo quel carrozzone di Sanremo. Ad Arezzo, ad esempio, sono diciannove anni che fanno l’ArezzoWaveLoveFestival a inizio luglio. Si attacca allo WakeUpStage e allo PsycoStage dalle 10 alle 19, nel bel mezzo del parco del colle del Pionte. Un po’ di sole un po’ di ombra e tanta musica italiana. Band emergenti che arrivano da tutta Italia. Roba underground. E’ in questi due palchi che si misura la febbre alla musica italiana. La sera tutti allo stadio con i big. E poi teatro, cabaret, comics, incontri, letture e da quest’anno cinema. Affollatissima la retrospettiva su Pasolini. [rocco rossitto]
Bookmark: www.arezzowave.com
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Padroni. In Italia c’è il razzismo. Ci sono anche dei padroni incazzosi e avari, cui bisogna stare molto attenti e magari fargli anche un po’ d’opposizione. E chi è la vittima del razzismo? Ma l’Unipol naturalmente, la vecchia assicuratrice del Partito che, caduto l’infame communismo che la costringeva a essere una cooperativa di lavoratori, è diventata dapprima una finanziaria e poi una vera e propria banca padronale. Che adesso, come tutte le banche, va in giro avidamente per la foresta cercando padroni più piccoli da divorare. Questi ultimi protestano e D’Alema (è lui il denunciatore del razzismo e il nemico dei padroni) li accusa: “Razzisti! Ce l’avete con noi perché un tempo eravamo rossi!”. Il che non è giusto, visto che tutti i colori – oramai – sono pressocché uguali.
L’Unipol (che presto si chiamerà Megabank SpA, o New Financing Corporation, o insomma con qualche logo perbene che non ricordi i tortellini e la diffusione domenicale dell’Unità a Bologna) quand’è in borghese si chiama anche Legacoop, Lega delle Cooperative, e questo nome è una delle cose più belle della storia dei lavoratori italiani. Una volta, quando eravamo compagni e non ci facevamo ancora quotare in borsa, avevamo dei partiti per istruirci, dei sindacati per difenderci e delle cooperative per raccogliere, lira su lira e una giornata di lavoro dopo l’altra, i poveri soldi fatti lavorando insieme. I fascisti, quando conquistavano un paesino, per prima cosa davano fuoco alla cooperativa, perché sapevano che la forza dei lavoratori stava là. L’agrario del paese, quando arrivava la coop, diventava nero. Io ho avuto il grandissimo onore di far parte della Lega nella mia giovinezza, poiché il giornale a cui appartenevo a qui tempi – un giornale siciliano, libero e antimafioso – era fieramente socio della Lega delle Cooperative.
Così, quando ci siamo trovati nei guai (ho detto che eravamo antimafiosi) e i dirigenti della Lega son venuti a dire: “Tranquilli compagni! Ci siamo qua noi!” non abbiamo avuto il minimo dubbio sul fatto che la lotta ai mafiosi avremmo potuto continuare a farla ancora per cent’anni. E invece no: nella nostra ingenuità, non sapevamo che dai tempi delle cooperative incendiate erano passati molti anni, e che i cooperatori moderni – almeno i capi – avevano un grande ideale, moderno e non “ideologico”: fare i soldi. Così hanno mollato noi e si sono messi invece a lavorare insieme agli imprenditori collusi. Di giorno ci dicevano: “Bravi! Avanti così! Non mollate!” e di notte andavano a far appalti coi nostri nemici. Ed ecco perché in questo momento non vi scrivo dal mio giornale ma da uno dei (tanti) posti in cui di volta in volta mi trovo a stare.
Va bene. Per dire che il povero D’Alema ha ragione: tutti i padroni sono uguali (le banche sono i più padroni di tutti) senza distinzione di etnia, di provenienza, di idee politiche e religiose. Però poteva anche fare a meno di incazzarsi tanto. In fondo, per quanto razzisti, mica in un Centro di permanenza temporanea ci ficcavano lui.
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Mangiam mangiam. Bobo Craxi: “Quest’anno non mangeremo il panettone a Palazzo Chigi”. Chiara Moroni: “Invece sì: mangeremo non solo il panettone ma anche il pandoro”. Gianni De Michelis: “Mangeremo il panettone là dove siamo ora”.
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Il bavoso è fra noi. Vittorio Sgarbi, condannato da giovane per truffa ai danni dello Stato e conduttore da adulto di una fortunata rubrica tv contro i giudici antimafiosi (durante la quale un paio di volte gli capitò di lasciar fisicamente colare saliva dall’angolo delle labbra per l’ira e l’eccitazione) adesso è un nobile esponente del centrosinistra e rappresenterà me, voi e alcuni milioni di lavoratori italiani in uno dei cinquecento seggi che, a suo vedere, l’Unione conquisterà sicuramente alle prossime elezioni. Da questo momento e fino al giorno delle elezioni il sottoscritto entra in stato di autocensura e non leggerà più giornali nè guarderà più programmi che in qualche modo abbiano a che vedere col centrosinistra, per timore di essere distolto dal suo indefettibile e patriottico proponimento di votare per il centrosinistra medesimo.
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Cronaca. Catania. Indagato per voto di scambio l’allegro sindaco Scapagnini: tre milioni di euri (del comune) distribuiti a tutti gl’impiegati comunali tre giorni prima delle elezioni. A Palermo, intanto, Cuffaro assume 7200 impiegati pochi mesi prima del voto.
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Cronaca. Palermo. “Mani in alto è una rapina”. Ma prima che il cassiere delle poste di via Ferrari Orsi potesse rispondergli, al bandito per l’emozione è caduta la pistola dalle mani. L’ha raccolta ed è fuggito.
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Cronaca. Roma. Abolita la magistratura indipendente in Italia. La legge continuerà ad essere uguale per tutti fino a settembre, quando verranno emanati i decreti di attuazione del nuovo Ministero per la Giustizia Popolare.
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Memoria. Giovedì 28, alle 18 alla camera del lavoro di via Crociferi a Catania, assemblea in ricordo di Beppe Montana, Ninni Cassarà, Robertino Antiochia, Boris Giuliano, Lillo Zucchetto e Natale Mondo, caduti lottando contro la mafia. Saranno presenti don Ciotti, Claudio Fava, Emanuele Giuliano e altri antimafiosi. Organizzano: Libera Catania, Acli, Arci, Asaec, Associazione Penelope, Centro Astalli, Cgil, Città Insieme, Città Libera, FareMemoria, Fondazione Giuseppe Fava, Fondazione Montalbano, Foro Democratico, Giovani per Agire, Isola Insieme, Lila, Mani Tese, Magistratura democratica, Millemondi, Movi, Pax Christi, Silp.
Info: liberacatania@libero.it
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Beppe Montana, commissario a Palermo negli anni più duri dell’antimafia, è stato ucciso dalla mafia il 28 luglio 1985. Aveva collaborato col giudice Chinnici non solo nelle indagini contro Cosa Nostra ma anche incontrando i giovani nelle scuole. Dieci giorni dopo di lui la mafia ha ucciso Ninni Cassarà e Roberto Antiochia: il primo dirigeva la Sezione Investigativa, il secondo è stato insieme a Lillo Zucchetto tra i suoi migliori investigatori. Un anno dopo la mafia uccideva anche Natale Mondo, collaboratore di Cassarà, miracolosamente sopravvissuto alla strage di via Croce Rossa.
“L’incontro e la riflessione collettiva che parte da Catania, la città che ha visto formare la personalità di Beppe Montana (per poi dimenticarsene in questi venti anni), vuole tracciare un percorso di impegno civile che, partendo dal ricordo di chi è stato partecipe di quell’esperienza umana e professionale, sappia anche attualizzarne la testimonianza per rendere possibile ciò che in quegli anni si stava realizzando: la sconfitta di Cosa Nostra”.
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Enzo. Col Diario di agosto esce il libro di Enzo Baldoni sulla Colombia: “Piombo e tenerezza”.
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Nino wrote:
< A proposito di mafia, magistrati e politici: poi dell’inchiesta sui fatti di Reggio Calabria sulle presunti pressioni di esponenti di An (Valentino e Napoli) nei confronti dei giudici Mollace e Macri per condizionare delle inchieste? Ma si, quella inchiesta per la quale il Sisde ha opposto il segreto di stato alla perquisizione dell’ufficio dell’agente dei servizi segreti coinvolto…
Ci sarebbe un bel pò da scavare, in provincia di Reggio, e pentole da scoperchiare: ricordo solamente i rapporti tra ‘ndrangheta, massoneria e i golpisti di Junio Borghese (c’erano 4000 uomini armati pronti ad appoggiare il golpe), il ruolo della stessa nei moti di del ’70, o la partecipazione al progetto secessionista di inizio anni ’90…
Bookmark: www.repubblica.it/2004/k/sezioni/cronaca/reggiode/aninterc/aninterc.html
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fausto wrote:
< E ringraziamo il compagno Curzi per la bella trovata di Dj Diaco… >
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Vincenzo Branà wrote:
< Nel 2003, ben prima che esplodessero le polemiche relative all’evento The Italian Miss Alternative, i nomi di Sergio Cofferati, sindaco di Bologna, e Bruno Pompa, organizzatore dell’evento benefit e allora anche presidente dell’Arcigay Il Cassero, già coesistevano all’interno della pagina web di un noto blogger bolognese…
Bookmark: www.puta.it/blog/index.php?cat=5 >
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stefanococchia wrote:
< “Se le guerre le decidessero i soldati ce ne sarebbero molte di meno”? Dal mio punto di vista i soldati invece decidono, eccome. E non capisco il tuo ragionamento. Perché un militare italiano di oggi dovrebbe essere differente da un militare tedesco di sessant’anni fa? Se riteniamo che il militare tedesco aveva la possibilità di scegliere e disobbedire, perché negare la stessa possibilità al soldato di oggi? A me piace assumere le mie responsabilità ed il perché delle mie scelte riguarda solo me: non sono e non possono essere scusanti agli occhi degli altri. Il soldato non è un mestiere come un altro e se qualcuno ha scelto di fare il militare invece di fare il cameriere in svizzera o in Germania deve avere ben presente che in questa scelta (come ogni altra) comporta delle responsabilità >
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Marco Palomba wrote:
< Caro Beppe Pavan, spero che, amico mio, non mi credi tanto alienato da pensare e parlare di maternità, e di vita… per sentito dire (da Bobbio, dal Papa, da altri maschietti). Ho ascoltato molte donne. Mi nutro della loro sensibilità, cada die, ogni santo giorno. Non parlo di siti internet o di pamphlets. Più di sguardi, di esperienze, del loro linguaggio… Non la sento così lontana, da quelle parole. (Caro R., volevo spezzare una lancia x Casin.i.. Che, sì, non è De Gasperi, o Igino Giordani, né La Pira, né… Ma il merito di non essere grossolanamente allineato, glielo dobbiamo). Pace! >
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Olaf wrote:
< Leggo su Repubblica del 15 luglio che una ricerca italiana avrebbe scoperto che l’aspartame, il dolcificante sintetico aggiunto a moltissimi alimenti, sarebbe cancerogeno. Il giornale grida alla “novità” e all’ “allarme”, ma lascia ampio spazio di replica all’Autorità Europea per la Sicurezza Alimentare (EFSA), alla Federchimica e all’AIIPA, in rappresentanza del produttore. Quel che il giornale omette di dire è che per ben otto anni la Food and Drugs Administration (FDA) si era opposta all’approvazione dell’aspartame perché test di laboratorio avevano provato il suo potere cancerogeno, raccomandando inoltre che venissero fatte indagini su apparenti violazioni di leggi federali da parte della Searle (produttrice dell’aspartame, ora Monsanto), per aver falsificato test su animali sulla tossicità dell’aspartame (10 Gennaio 1977, FDA Chief Counsel Richard Merrill: “Searle apparent violations of the Federal Food, Drug and Cosmetic Act, 21 U.S.C.331(e), Act 18 USC 1001, for “their willful and knowing failure to make reports to the Food and Drug Administration required by the Act 21, U.S.C. 355 (i) and for concealing material facts and making false statements in reports of animal studies conducted to establish the safety of aspartame”).
L’aspartame fu approvato dalla FDA per l’utilizzo negli alimenti solo nel 1981, quando Reagan licenziò il commissario che aveva negato l’approvazione. Nonostante questo, l’opposizione ottenne l’istituzione di una Commissione Investigativa, il cui responso (ignorato dai reaganiani) fu di non approvare l’aspartame. Il CEO della Searle era al tempo Dom Rumsfeld, attuale Ministro della Difesa >
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dinamitebla@inwind.it wrote:
< “Un prototipo ha percorso più di cinquemila chilometri con meno di un grammo e mezzo di combustibile pulito…”. Dove l’hai pescata, questa notizia?”.
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Su Repubblica online. Il prototipo era di un’università svizzera e sembrava più una specie di triciclo con cabina che una vera automobile. [shining]
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filippo wrote:
< caro tito, le colonie sono illegali, illegali! il muro è illegale, l’occupazione militare è illegale… >
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marco.valdo@easynet.be wrote:
< Je fus un temps journaliste. Lontano fa. A présent, je traduis un certain Carlo Levi. Je le fais sous le nom de Marco Valdo M.I. (Manovale intellettuale) Je viens de trouver un article où vous saluez la mémoire de Gobetti. J’ai lu une bonne partie du reste de la page, puis l’ordi a foiré. J’ai retenu qu’il est possible de recevoir la Catena… Merci de me la faire parvenir par voie internetique. Bien cordialement Marco Valdo M.I. >
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A.A. wrote:
< Non ti capisco quando dici che i “grandi della terra” sottovalutano il terrorismo. A me sembra che lo valutino molto bene: terrorismo e guerra sono interdipendenti, l’uno è funzionale all’altra. E’ una logica perversa, ma la conosciamo bene: l’abbiamo già vista anche in Italia con le Br, i Nar, la strategia della tensione. I gruppi terroristi si possono infiltrare, o dirigerli dall’esterno, oppure inventarli del tutto. O meglio ancora, basta lasciarli fare. Alla fine, fanno sempre gli interessi dei loro nemici dichiarati. Anche perchè, spesso, hanno gli stessi obiettivi. Tutto il resto è fumo negli occhi dei “piccoli della terra”, che poi sono quelli che saltano in aria con le bombe. Ma noi possiamo continuare a fare domande scomode, soprattutto su quell’11 settembre di cui ancora non sappiamo quasi nulla: quando parli di controlli bancari, tocchi il cuore del problema. Ti ringrazio e spero di essere utile. Lo devo a te, a mio figlio che ha solo 6 anni e quell’indimenticabile persona che mi ha iscritto alla Catena: Enzo Baldoni >
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Auguri. E’ uscito il numero mille di “La non violenza è in cammino”, il quotidiano elettronico del Centro per la pace di Viterbo. Se lui non si offendesse, direi che lo dirige Peppe Sini: ma mi risponderebbe subito che lui è solo uno dei tanti artigiani (prestigiosi: Menapace, Peyretti, D’Ippolito… e mi fermo qui perché non ho spazio per gli altri cento nomi) che ogni giorno producono, senza rispetto per i padroni e senza voglia di diventarlo loro, questa bella scrittura. Eccezionalmente, ho chiesto al mio amico Miguel di dedicargli una poesia.
Info: nbawac@tin.it, tel. 0761.353532
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Miguel<saavedra@hidalguia.es> wrote:
El Tercio de la Paz
< Con arbalestas de aphorismas
y lanzas de solidaridad
con su banderas iridadas
marcha el Tercio de la Paz.
¡Ay, el capitàn Sin reproche!
¡Ay, el alferez Ben-dito!
Como estrellas en la noche
y también siempre unido
sigue esto ejercito el camino
de liberdad y de razon,
de planetaria hermandia:
dando verdad a la utopia
del Caballero del Leon
y de don Sancho, el Campesino >
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“A che serve vivere, se non c’è il coraggio di lottare?” (Giuseppe Fava)