San Libero – 319

3 febbraio 2006 n. 319

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Voltaire, aiutaci. Il direttore di France Soir, Jacques Lafranc, è stato licenziato in tronco per aver pubblicato una vignetta satirica su Maometto. Il padrone del giornale, che è franco-egiziano, ha presentato le sue scuse alla comunità musulmana per la vignetta “blasfema” e ha dichiarato di aver licenziato Lefranc per dare “un forte segnale”.

È un episodio gravissimo, molto di più di un attentato. L’attentato, o qualunque altro gesto immediatamente riconoscibile come criminale, è infatti riconducibile alle patologie individuali di elementi culturalmente deboli e dunque portati ad assumere una qualsiasi ideologia/religione a pretesto arbitrario delle proprie pulsioni asociali. In questi casi, una volta punito il singolo criminale, l’incidente è chiuso.

Nel caso di monsieur Raymond Lakah, il “patron” di France-soir, non è così. Lakah non è un ignorante fanatico, nè le sue capacità di far danno si limitano all’assassinio di alcune persone. È uno dei più importanti editori europei, ed è in condizione di danneggiare la vita di decine e decine di milioni di esseri umani, privandoli dei diritti essenziali (libertà, eguaglianza, fraternità) conquistati coi sacrifici di molte generazioni. Mentre l’assassino “islamico” è dunque prima un assassino e poi, e solo en passant, un islamico, l’imprenditore che vuole agire da “islamico” va messo sotto controllo in quanto tale.

Naturalmente, non stiamo parlando dell’islamismo in quanto fede; è probabile che monsieur Lakah sia tanto maomettano quanto papa Borgia era cattolico, e che si sia mosso non  tanto per convinzione personale quanto per furberia commerciale. Ma questo non cambia niente. Nel momento in cui egli, potente imprenditore, invoca un sistema ideologico per ferire la libertà altrui, quel sistema diventa – qui e ora – “sospetto”. E il colpevole va punito non solo per il reato in sè, ma anche per l’indebita applicazione nei rapporti civili di un sistema ideologico dato per superiore.

Fino a pochi anni fa, questo problema da noi si poneva solo nei confronti della religione cristiana. E la Francia l’aveva risolto brillantemente. Ognuno può credere quello che vuole, nessuno può far credere agli altri quello che vuole. Monsieur le Cardinal de Paris e l’ultimo manovale algerino, sul suolo della Repubblica, hanno diritti eguali ed eguali doveri. Quando il signor cardinale ha cercato di ribellarsi a questa elementare regola civile, i signori Robespierre e Guillottine hanno rapidamente provveduto a chiarire la sistuazione.

Nessun patron cattolico francese oserebbe oggi licenziare un lavoratore per ateismo. Non per bontà di cuore, ma perché la tolleranza gli è stata insegnata a forza di botte in testa e barricate. Se un padrone islamico ci prova, allora botte in testa (educative) anche per lui. Perciò ci auguriamo che il governo francese provveda rapidamente ad arrestare Lakah, a confiscargli i beni e a espellerlo dal paese in via amministrativa. Ancor più ci auguriamo che il governo italiano, quando avremo un governo, sappia reagire con severità a episodi consimili, se mai si verificheranno.

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Gli integralisti cattolici, dal canto loro, fanno il possibile per non farsi dimenticare. Il giudice italiano, di religione ebraica, che si era rifiutato di rendere giustizia sotto il simbolo non-statale del Crocifisso, è stato sommariamente condannato e sospeso dalla magistratura. Una sentenza “islamica”, degna di monsieur Lakah. Utile, ai fini nostri, perché dimostra come l’intolleranza non sia legate a questa o quella religione ma a tutte, se non vengono vissute in spirito d’umiltà e di rispetto.

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Maometto: un intellettuale brillante con una moglie ricca. Padre Pio: un fratacchione intrigante con l’accento barese. Mosè: quarant’anni su e giù a trascinare folle nel deserto, mentre con una guida Michelin sarebbe arrivato in due mesi. Voltaire: uno scrittore di sinistra che chiamava le persone più povere “populace”. Di tutti costoro, però, è l’unico che possiamo criticare dappertutto senza paura di passare guai.

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Una storia italiana. Daniela è bella, ha il sorriso più dolce di Roma nord, e aspetta che la chiami la direzione sanitaria dell’ Ospedale Pediatrico Bambino Gesù, per sapere se ha vinto una borsa di studio di tre anni per studiare “i fattori di rischio pre-, peri- e post-natali per la mortalità neonatale e la disabilità in un’ampia coorte italiana di nati gravemente pretermine”. Daniela ha 33 anni e 3 splendidi figli, l’ultima di 14 mesi.

A marzo il Bambin Gesù l’aveva chiamata a sostituire per sei mesi una ricercatrice che andava in maternità; lei, che in maternità non c’era mai andata, va al colloquio e scopre che gli argomenti della ricerca sono proprio “i suoi” quelli su cui si è laureata e su cui ha fatto la tesi di dottorato.

La responsabile del progetto di ricerca scopre che Daniela è brava, ha un curriculum brillante e farebbe proprio al caso loro. Il problema è l’orario, dalle 9 alle 18 che, se ci si aggiunge la difficoltà per arrivare al Bambin Gesù dal nuovo salario, diventerebbe 8-19 e allora con i 3 figli di cui l’ultima di 8 mesi non si può fare. Magari se fosse una cosa più stabile; ma per sei mesi non vale la pena di far andare in part-time il marito e di organizzare baby sitter e nonni. Daniela e la responsabile si lasciano, a malincuore, sperando nei prossimi bandi.

È luglio, escono dei nuovi bandi all’OPBG, la responsabile della ricerca la richiama invitandola a fare domanda. “È richiesta la Laurea in Scienze Statistiche. L’esperienza e la formazione maturate nell’area della epidemiologia perinatale o riproduttiva costituiranno titolo di qualifica aggiuntivo…”
Daniela è contenta, sarebbe un contratto di tre anni per lavorare a quello che l’appassiona, ha tutte le caratteristiche necessarie, l’argomento è il suo (le malformazioni congenite e le disabilità infantili) ed è considerata molto brava, (la sua tesi di laurea è stata la migliore nel 2000, anche la sua tesi di dottorato è stata la migliore e sta per essere pubblicata).

Daniela è preoccupata, perché sa che l’orario sarà sempre lo stesso 9-18 (che poi diventa 8-19) e non vuole rinunciare ai figli, a vederli crescere, a fare i compiti con loro. Ma pensa che si possa fare, il marito è disponibile, baby sitter e nonni si trovano… La lettera arriva a settembre e dice: “E’ stata selezionato il suo curriculum e quello di un’altra ragazza”. L’intervista sarà il 28 settembre, intanto bisagna mandare alla direzione sanitaria due lettere di presentazione e un certificato che attesti le proprie qualità morali redatto da un parroco o da altri.
“Guarda che è una formalità!” le dice il marito, “starà scritto in qualche vecchio regolamento dell’Ospedale, magari perché è un ospedale cattolico… Preoccupati piuttosto di rimediare le lettere di presentazione dai professori con i quali hai lavorato per le tesi!”.

Daniela è laica, sì ha fatto la cresima e andava in chiesa e ai gruppi parrocchiali, poi si è stufata e gli danno pure un po’ fastidio le ipocrisie nello stile di vita di molti cattolici. Nonostante sia rimasta in buoni rapporti con qualche prete non trova giusto far “certificare” le proprie qualità morali da persone che non frequenta più; non trova giusto farsi passare per quello che non è proprio nei confronti dei veri credenti. Sono 15 anni che fa volontariato in un’associazione che si occupa di persone con sindrome di Down, chiederà a loro. Le lettere di presentazione e quella che attesta le sue qualità morali sono bellissime e le invia con orgoglio.

Al colloquio ci sono una decina di persone, tra cui la responsabile della ricerca, le domande molto generiche le fanno i membri della commissione e della direzione sanitaria. “Il suo curriculum è molto brillante, complimenti, le sue referenze sono ottime, veramente, ma come mai questa lettera dall’AIPD e non da un parroco?”
Daniela un po’ se l’aspettava questa domanda ma è serena anche se un po’ indispettita, spiega che lei è laica, anche se cresimata e le sembrava più corretto far descrivere le sue qualità morali a chi le può apprezzare ogni giorno.
“Va bene ma almeno è sposata in chiesa?”
“No, sono sposata con rito civile” e poi di getto “e se può interessare i miei tre figli non sono battezzati, sceglieranno loro, quando vorranno”.
L’intervista si conclude e le faranno sapere entro un mese.

La telefonata arriva venerdì 28 ottobre; è la responsabile del progetto di ricerca, “Sono mortificata – dice – La sua candidatura era di gran lunga la migliore ma è stata scartata perché non ha le qualità morali necessarie, questa è un’istituzione religiosa”
“Ma nel bando non c’era scritto niente del genere, se no non avrei partecipato” replica Daniela,
“Ha ragione, proprio su questo punto ho dato battaglia, ma non c’è stato niente da fare”,
“Ma cosa c’entra con l’attività di ricerca sulle malformazioni congenite? E poi mica devo fare l’infermiera o l’insegnante, non devo mica essere a contatto con gli utenti dell’ospedale!” “Ha ragione ma non sono io a decidere, se avesse avuto la lettera di un sacerdote non le avrebbero nemmeno chiesto del matrimonio, non l’hanno chiesto a nessun altro” e poi ancora: Aanche io sono rimasta spiazzata, mi ero anche ingegnata a trovare un orario di lavoro che la facilitasse ad accettare, ora dovrò lavorare con persone meno preparate e competenti di lei, spero solo di poter collaborare con lei in qualche altro modo”.

“Non te la prendere sono queste le cose che fanno curriculum, non gli articoli scientifici!” la rincuora il marito, che, anche se non lo dà a vedere, è molto arrabbiato e conferma una volta di più la sua idea sulla chiesa cattolica e sui fondamentalismi, religiosi e non. “E poi così ci tolgono dal dubbio se accettare o meno!”

Chissenefrega se la lista di nozze consisteva in una donazione ad un prete peruviano amico che da 20 anni costruisce progetti di scolarità, tutela della salute e formazione al lavoro. Chissenefrega se anche i soldi dell’assegno dal governo per il terzo figlio sono finiti laggiù, e così quelli raccolte in occasione della nascita dei tre figli.
Daniela invece pensa che faceva meglio a starsi zitta e a dire che il matrimonio in chiesa era stato bellissimo! [lorenzo spizzichino]

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Elezioni 1. Il povero Grasso, giudice antimafia, ha pregato i partiti di non candidare politici inquisiti. Da destra, in Sicilia, è arrivata una sghignazzata generale (l’Udc, a dar retta a Grasso, rischierebbe di trovarsi con una lista di tre nomi). Ma va bene così: ci spiacerebbe se dovessero ritirare Cuffaro, da cui ci aspettiamo uno degli spettacoli più divertenti dei prossimi mesi (i presidenti delle regioni non hanno immunità parlamentare e possono esser portati via, se del caso, con poltrona e tutto).

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Elezioni 2. In Sicilia, la Margherita si rifiuta categoricamente di candidare Leoluca Orlando, che prta un sacco di voti ma sostiene la Borsellino (e, peggio ancora, ha sostenuto Borsellino). A Roma, i Ds si rifiutano di candidare Giulietti, che difende a spada tratta la Rai-servizio pubblico ed è il nemico peggiore, su questo terreno, di Berlusconi. Eppure la Margherita è contro la mafia,  e i Ds sono per la libertà d’informazione.

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Elezioni 3. Arzano (Napoli). Pacco bomba a Elpidio Capasso, consigliere comunale dell’Italia dei Valori. Ferita la moglie, Francesca Vitagliano, che aveva aperto il pacco.

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Elezioni 4. Caltanissetta. Portato a 1800 euri mensili lo stipendio dei consiglieri comunali locali.

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Elezioni 5. Alle elezioni, 1621 vota per 1816. L’ha dichiarato Vittorio in persona, tutto felice.

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Ascari. Il capo del movimento “autonomista” siciliano Raffaele Lombardo non passerà, grazie a Dio, al centrosinistra (dove l’avrebbero purtroppo accolto a braccia aperte) ma si metterà viceversa agli ordini della Lega di Bossi: che dopo tanti insulti contro i meridionali ha così la soddisfazione di averne addirittura uno al proprio servizio diretto. Benissimo. Al neo-ascaro Lombardo ricordiamo, per regolarità, i suoi diritti: ha diritto a una regolare distribuzione di riso e tè due volte al giorno, a non ricevere mai più di venti colpi di scurbasc consecutivi, a un premio di trenta talleri (o l’equivalente in lire o bestiame) per ogni anno di servizio prestato, a fare – se necessario per il servizio – rispettose domande all’ufficiale bianco responsabile del plotone. Auguri.

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Italish 1. Su Repubblica, in un ponderoso articolo di politica internazionale, una delle due parti dava all’altra un categorico “out-out”. Naturalmente si trattava di un “aut aut” latino, che il redattore ha istintivamente americanizzato. L’autore, il giorno dopo, precisa che è stato errore di dettatura: ma ormai il danno è fatto e d’ora in poi l'”aut aut” sarà per tutti un “out-out” texano. Senza speranza di riscatto, come il povero “media” che ormai è dappertutto “midia” alla faccia di Danteh Aleegheears.

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Italish 2. Bisogna reinventà l’Italia, sennò nun se po’ ffà politica e nun se conclude gnente. Perciò tutti i muri di Roma erano tappezzati da un bel “Reinventing Italy” (Margherita). Oll rait.

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Libri e fuoco. Dino Paternostro è il segretario della Camera del Lavoro di Corleone. È anche giornalista e il suo ultimo libro (nella collana “I misteri d’Italia” dell’Unità) è una puntuale ricostruzione della storia della Cosa Nostra corleonese. Dopodiché gli hanno bruciato la macchina. Bene, senza sprecare inutili parole, vorrei invitarvi ad acquistare il suo libro. L’invito è esteso anche ai lettori di destra: è vero che l’editore è di sinistra, ma contro la mafia siamo tutti insieme [enrico natoli]
Bookmark: www.unita.it/ssl/store/info.asp?catid=23&item=201.

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Silenzi e grida. Cosa succede dietro le sbarre di Guantanamo Bay? Avevo letto molti articoli su questo carcere senza legge, ma per capire davvero le condizioni di vita di un luogo in cui ogni diritto è sospeso ho dovuto andare al di là dei limiti della parola scritta, e immergermi nei volti e negli sguardi di un racconto teatrale. “Guantanamo. L’onore obbliga a difendere la libertà” è il titolo di un’opera teatrale di Victoria Brittain e Gillian Slovo, portata in Italia in questi giorni da Serena Mannelli e Michele Panella della compagnia Tri-boo, un racconto in cui si scoprono le storie disumane di persone arrestate arbitrariamente e private dei diritti umani più elementari in nome della “Guerra Santa” al terrorismo. Tutte le testimonianze contenute nel copione di “Guantanamo”sono state riportate integralmente, senza adattamenti o modifiche: le parole che si ascoltano sono proprio quelle riportate nelle lettere dei detenuti, e perfino le pause e le ripetizioni nei racconti dei familiari sono le stesse contenute nei nastri con le loro interviste.

Sul palco le voci degli attori si alternano con le testimonianze video di altri protagonisti di questa vicenda, come Donald Rumsfeld, che spiega al mondo perché le convenzioni di Ginevra si applicano solo ai “prigionieri di guerra” mentre a Guantanamo ci sono solamente “combattenti irregolari”, e Jack Straw, il ministro degli esteri britannico, che annuncia altrettanto candidamente che i detenuti inglesi riceveranno un trattamento di favore: non verranno condannati a morte. Dopo aver visto e ascoltato, si vorrebbe urlare queste cose sui tetti, ma nei “grandi” teatri i nostri intellettuali in doppiopetto hanno cose più impegnate e “alte” a cui pensare. [carlo gubitosa]
Bookmark: www.tri-boo.it

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Cowboys. Quelli di Brorebak Mountain (che sono apertamente gay: ma quasi tutti i cowboys dei film anni 50 un pochino lo sono) non andranno in Cina, dove il Sant’Uffizio ha vietato la circolazione del film. Non andranno neanche nello Utah, lo stato dei Mormoni che ha sembre votato in massa  per Bush o per qualsiasi altro candidato supercristiano. I Mormoni, però, fino a qualche generazione fa praticavano apertamente la poligamia: meglio avere tre mogli, per il cowboy religiousally correct, o un ragazzo solo?

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Spot. Emergency. Bologna, 8 febbraio, Sala del Baraccano viia S. Stefano 119: “Afghanistan, uno sguardo oltre”.  Interverranno il dott. Luca Ansaloni, chirurgo d’urgenza dell’Ospedale S. Orsola di Bologna, e Alessandro Greblo, logista di Emergency.
Bookmark: emergencybo.lucchesi.eu.org

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Agenda (con molto anticipo). I primi Stati Generali dell’Antimafia, organizzati da Libera, avranno luogo il 13,14 e 15 ottobre a Roma. È  vero che mancano ancora parecchi mesi, ma è bene cominciare a organizzarsi fin d’ora per portare un contributo a questa che potrebbe alla fine risultare la più importante scadenza politica dell’anno. “Una tre giorni dove protagonisti saranno tutte quelle persone, quelle storie che in questi anni contro tutto e tutti hanno combattuto le mafie”.
Info: Peppe Ruggiero, ufficiostampa@libera.it

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Achtung banditen. Un nuovo sito in Sicilia, con le malefatte di Cuffaro, Scappagnini, Ciancio e compagnia bella. Però anche tante storie spavalde e tenere di siciliani che, una volta ancora, si rimettono in piedi e ricominciano a camminare. In home page, una “vecchia” intervista a Giuseppe Fava, dell’83: mafia e banche, mafia e Stato, mafia che comanda. Da non perdere.
Bookmark: bandalibera.it

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Ettore Lomaglio Silvestri wrote:
< Siamo veramente spaventati dall’ipotesi che il difensore politico di Totó Cuffaro possa diventare Presidente della Repubblica. Chiedo, e spero di non restare il  solo, a quelle forze che in Sicilia hanno avuto il coraggio di sostenere Rita Borsellino,  di non lasciare che Pierferdinando Casini diventi il prossimo inquilino del Quirinale >

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Unione degli studenti wrote:
< Il 18 Febbraio saremo in piazza a Reggio Calabria per infliggere un duro colpo a tutte  le mafie e per dimostrare che un’alternativa reale all’omertà e alla violenza esiste. La Rete “Liberi studenti contro tutte le mafie di Reggio Calabria” ha chiamato nella  propria città studenti, lavoratori e tutti i cittadini che si sentono offesi e derisi dalla  prepotenza e arroganza che tutte le mafie esercitano sul territorio nazionale. Dobbiamo rispondere all’appello degli studenti reggini che ci chiedono di ribellarci! Noi non ci stiamo alla miopia della politica, al silenzio/assenso di chi ci  dice che con la mafia bisogna conviverci. Chiediamo che la questione delle mafie stia in cima all’agenda politica nazionale. Invitiamo tutti gli studenti a unirsi alla nostra lotta  per creare dal basso una società libera dalle mafie >
Info: sulatesta@unionedeglistudenti.it

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Giancarlo wrote:
< L’Europa si accoda agli Usa nel sanzionare le libere elezioni in Palestina.  Seguendo il pensiero di George W. “d’ora in poi gli aiuti saranno dati solo  ai Paesi meritevoli (ossia che fanno quello che diciamo noi)” anche l’Europa condiziona gli aiuti al popolo palestinese. L’Europa dovrebbe mediare tra le due nazioni parimenti aggressive (Israele e Palestina), non imporre il proprio pensiero senza preoccuparsi delle ricadute nefaste sulle  popolazioni >

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Massi wrote:
< Che succederà ora che in Palestina ha trionfato il partito dei terroristi e kamikaze di Arafat? Noto da sempre che per voi comunisti (dalla sinistra più democratica alle frange più estremiste) indossare la kefiah è simbolo di libertà, di ribellione… Ora che ne dite? Sempre d’accordo a sostenere uno stato che come prima cosa vuole la distruzione di Israele? Israele continuerà con la politica di pace di Sharon; Hamas come al solito se ne infischierà e scoppieranno le prime autobombe dei patrioti palestinesi su obiettivi strategici israeliani (mercati affollati di massaie, bambini, innocenti vari). Alla fine nessuno di voi ci farà caso, finchè Israele non si difenderà militarmente… Allora voi scenderete in piazza, manifesterete per la barbarie con cui Israele tratta i “poveri e innocenti” palestinesi, senza ricordare, come sempre fate, che esistono le autobombe di Hamas, prima di tutto… Non è vero che gli studenti di sinistra hanno sempre manifestato pro-Palestina? E sbaglio a pensare che lo faranno ancora, appena Israele avrà risposto alle inevitabili azioni di Hamas? Non pensi che, se ciò accade, sarebbe un chiaro appoggio ai movimenti del terrore che partono dal Medioriente? Spero di avere la possibilità di discutere anche con altri “compagni” di tutto ciò. Se non altro per ricredermi. >

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Caro Massi, la vittoria di Hamas è una tragedia, come lo fu a suo tempo l’andata al governo di Sharon. Vedi, sia lo stato d’Israele che il movimento di liberazione della Palestina erano profondamente “europei”, venivano dalla sinistra dell’Ottocento. Nella loro ferocia, e nel loro – frequente – ricorso al terrorismo, essi cercavano tuttavia di affermare valori (la libertà, l’indipendenza, il miglioramento delle condizioni popolari) che sono in ultima analisi valori nostri. In questo senso, Arafat e Ben Gurion non erano sostanzialmente diversi. Nessuno dei due ha evitato, in certi casi, di ricorrere al terrorismo. Ma solo occasionalmente, e come risorsa disperata. Nessuno dei due era un fanatico religioso: Arafat era palestinese, molto prima che musulmano; e Ben Gurion era un israeliano laico, non un rabbino integralista (i religiosi erano rimasti fuori dalla nascita di Israele).

I loro successori – Hamas da una parte, Sharon dall’altra – hanno invece utilizzato il terrorismo come forma normale e “patriottica” non solo di guerra, ma anche di mobilitazione popolare: l’ideologia kamikaze di Hamas, il “vivere nella fortezza” di Sharon. È un atteggiamento antichissimo, in quella parte del mondo: Masada, i Maccabei, gli zeloti. Dal lato israeliano, il punto di svolta è stato l’assassinio di Rabin; da quello palestinese, la sconfitta di Arafat (favorita dall’intransigenza di Sharon: i “falchi” delle due parti si sono abbondantemente aiutati a vicenda). Dopodiché, hanno avuto campo libero i fanatismi, e quindi – quasi automaticamente – la trasformazione dello scontro da politico a religioso. In nome di un Dio che non si vede, si possono tranquillamente ammazzare anche i bambini.

E adesso? Da parte israeliana, gli ultimi mesi di Sharon hanno segnato una marcia indietro: a un passo dall’abisso totale, persino lui s’è reso conto che bisognava cambiare strada. Mi auguro che anche da parte di Hamas ci si renda conto che il terrorismo, come strategia, non paga e che la popolazione palestinese, che ha “giustamente” sostenuto Hamas in nome dei propri diritti, subisca la stessa evoluzione non dico pacifista ma almeno di stanchezza che s’è verificata dall’altra parte. Dobbiamo stare attentissimi a ogni segnale in tal senso: abbiamo sbagliato prima non sostenendo abbastanza i pacifisti israeliani e considerando tutto Israele un blocco monolitico di “colonizzatori”; cerchiamo di non sbagliare adesso attribuendo a tutti i palestinesi un’intransigenza che probabilmente già ora è minoritaria (le aperture “moderate” di Hamas fanno pensare a una base che, pur avendola votata, l’ha votata più per le sue attività sociali che per il suo terrorismo).

Anche così, però, la situazione è molto peggiorata rispetto a pochi anni fa. Intanto per il maggior peso, dalle due parti, dei fanatici religiosi, che prima non contavano e ora sono determinanti. E poi perché mentre prima la lotta era locale (palestinesi contro coloni) e dunque con molte possibilità di compromesso, ora a scontrarsi sono avamposti di schieramenti planetari (islam integralista da un lato, America imperiale dall’altro) che facilmente possono sacrificare gli interessi dei rispettivi seguaci in nome di strategie più ampie. Sia i palestinesi che gli israeliani, che prima avevano fortissime identità proprie, laiche e nazionali, ora tendono sempre di più ad essere la “carne da cannone” di fronti (religiosi, ideologici) molto più grandi di loro. Ritengo che la percezione di questo fatto. sia il principale movente della strana “moderazione” (e del successo popolare) di soggetti originariamente “duri e puri” come Sharon o Hamas: che, per quanto mi riguarda, considero assolutamente equivalenti.

L’ultima cosa da dire, infatti, è che in tutta questa storia i terrorismi sono due, fin dall’inizio; dapprima occasionalmente, ma poi come componente essenziale. Sia gli uni che gli altri ritengono di essere autorizzati, per la salvezza del proprio popolo, ad ammazzare bambini. Ed entrambi hanno delle “ragioni”. Nessuno, fra quelli che condannano – giustamente – gli israeliani per i loro delitti, ha mai mosso un dito per salvarli da Auschwitz. E nessuno, fra quelli che esecrano – giustamente – i delitti dei palestinesi gli ha mai detto che cosa debbono fare per restare padroni in casa propria. Facile criticare da lontano, strumentalizzare le paure e i dolori dei due popoli semiti, ieri per le nostre guerre, oggi per i nostri bancomat.

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SANT’AGATA

Quando si sono incontrati, venti anni fa,
erano due poeti.
Ora lui vive ancora
ma solo per ricordare
com’era gentile quel sorriso.
Lei, alla felicità,
non osa crederci più.
Lunghi lunghi lunghi
Gli anni senza.

Lotto per essere utile ma
non oso chiamarla vita.
Voi che volate adesso, voi che v’incontrate,
ricordatevi, se volete,
di due che sfidarono il mondo
insieme.

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“A che serve vivere, se non c’è il coraggio di lottare?” (Giuseppe Fava)