26 maggio 2006 n. 334
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La chiave, pesantissima e rugginosa, a momenti cadia dalle dita della signoruzza. Lei la guardò e poi guardò il cancello, una firriata altissima, puntuta, da cui a vedi e svedi si sbirciava u’ jardinu. Zàgare, girsumini, lauri, cerase, aranci: e stu gran mare di ciauru, a undi, ammisculatu ‘nsemi, che esattamente indicava: “trasiti che cca c’è u’ paradisu”. Ma paradisu vietatu: canazzi e malecarni lo sorvegliano, colle zanne di fuori e i cuteddi pronti, ché mai si dica che u’ paradisu diventa terra di conquista ppi carusazzi e puvireddi. U’ paradisu è ppi signuri, difatti, e tutto lu muragliuni tornu tornu è costellatu di sangu siccu: non si passa. Tranne che dd’u canceddu, altissimu e kafkianu, di cui s’avia perduta da tempu immimurabili la chiavi.
E ora eccola qui in ‘sta manu di fimmina prisuntuosa e spaurita. U primu che la trovò, nun si sapi: durò picca comunque picchì Loro subito, comu che u seppiro, l’ammazzaru. U tempu ci fu a malapena di passarla a so’ frati: e u’ frati lestu a curriri, ccu sta’ chiavi mmucciata ‘nta cammisa sudatizza e i sgherri arreri. Scivola, dalla cammisa ‘nsanguinata, a’ chiavi giù per terra: ma ecco che passa un carusu e la ricogghi. “Posa ‘sta chiavi!”. Ma già ‘u caruso è luntanu, scappa come un dannatu fra l’erba alta e fra l’ulivi. E passa u’ communista – u’ carusu si torci in terra – si china sul corpiceddu e ricogghi la chiavi. “Posa ‘sta chiavi, posa, figghibottana!”. E lampu lu pigghia ddà, unni finisci l’erba e cumincia a trazzera. “Portala, avanti, pigghiala!” ansa cull’ultimo ciatu. E si ferma un parrinu e via ppi la trazzera, a’ tonaca rialzata mmi curri cchiù dispiratu. E si ferma u’ viddanu e u’ maestru di scola, e u’ giudici e a’ carusidda, e u’ capitanu e u’ pueta: e a manu a manu a’ chiavi va, sempre cchiu’ travagghiata e sempri cchiu vicina.
E ora eccola qua, nell’immenso silenzio della campagna siciliana. E lei che lentamente l’afferra, l’alza con gran fatica e lentamente l’infila nella serratura. Ci vuole forza assa’ per girarla. Ma tu, fratuzzu miu, Sicilianu, mittici puru a’ forza tua.
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Trenini fuorilegge. Bob Jacobsen e’ un criminale: il suo delitto e’ stato quello di aver regalato al mondo programmi liberi e informazioni tecnologiche dedicate agli appassionati di trenini elettrici, che devono lottare contro standard che variano da un’azienda all’altra per impedire ai trenini di funzionare con i binari della concorrenza. Bob non ha sottratto nessun segreto industriale, ma na semplicemente scritto un programma per collegare il suo computer ai suoi trenini in modo da controllarne i movimenti. La reazione per la scrittura e la diffusione in rete di un semplice programma e’ stata degna delle migliori spy stories: la Kam industries, produttore di software commerciale per trenini, ha sostenuto che il software scritto da Bob avrebbe violato un brevetto in suo possesso, e ha citato per danni l’ignaro modellista chiedendo un risarcimento pari a 203 mila dollari Usa. Lo studio legale incaricato di questa azione di bullismo informatico ha richiesto una copia di tutte le email e la corrispondenza cartacea del signor Jacobsen, per verificare altre eventuali violazioni dei loro brevetti. L’associazione “Right to create” (diritto a creare) ha preso le difese di Bob Jacobsen denunciando pubblicamente questa azione legale vessatoria, e sostenendo che la legge statunitense sui brevetti relativi al software crea piu’ problemi di quanti ne vorrebbe risolvere. [carlo gubitosa]
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Irene wrote:
< Caro Dott. O. Sono una delle tante ragazze impiegate nel ( con rispetto parlando: merdosissimo) settore dei lavori pubblici. Una di quelle che prepara dalla mattina alla sera “Documentazione richiesta da presentare a corredo per poter concorrere ad asta pubblica”. Per lei quello che scriverò qui di seguito sarò ovvio come è ovvio il fatto che l’acqua bolle a 100°. Ma giornalmente mi rendo conto quanto sia potente questa macchina infernale, quanto sia cambiata rispetto a quello che ho studiato in merito e quant’è impossibile da distruggere con i mezzi che attualmente. Sono convinta che se Cosa Nostra fosse un’abitazione sarebbero disponibili diversi mazzi di chiavi. Come è solito per evitare di rimanere fuori casa. I padroni di casa avrebbero il mazzo originale. Le copie ai figli/conviventi/vattelapesca.
Continuando ad ipotizzare, la stanza piu’ bella della casa potrebbe essere il salone centrale. Bellissimo e sontuoso. Tanto bello da dargli un nome: “Settore dei lavori pubblici” (o gallina dalle uova d’oro). Minchia, ma se così fosse, non sarebbe un vero peccato che nessuno degli “addetti ai controlli” entri nella stanza giusta continuando a frugare nello sgabuzzino?
Eppure le azioni e previsioni di Cosa Nostra potrebbero essere nascoste tutte lì. Potrebbe esserci una libreria immensa dove tra i vari libri storici (e non) ce ne sarebbero alcuni di spicco e di grande qualità professionale e morale. Quali:
– Come bandire una gara ad hoc per le aziende dei cavalieri dell’apocalisse mafiosa; (gara con requisiti richiesti e posseduti solo da “Costanzo”, “Rendo” e/o “Graci”);
– Legge Prodi – Amministrazione straordinaria;
– Legge B. – Legge sul falso in bilancio;
– Misteri sui ritardi della bancarotta fraudolenta dell’azienda IRA costruzioni srl;
E rispetto ai tempi in cui i “visitatori” di quella stanza erano Falcone e Borsellino, tante cose sono cambiate e peggiorate. Non bastano più gli “antimafiosi”. Serve di più.
Pur avendo scritto tutto e niente, La ringrazio comunque per l’attenzione datami. Cordiali Saluti. Irene C. >
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stefanomassimino@hotmail.com wrote:
< Ho deciso di scriverVi perchè proprio questa sera mi accingo a finire un libro che mi ha molto colpito: “Un anno – Giuseppe Fava – raccolta di scritti per la rivista i Siciliani – Fondazione Giuseppe Fava” e mi faceva piacere porlo alla Vostra attenzione per i motivi che di seguito espongo.
Gli scritti di Fava sono estremamente interessanti: racchiudono un’intelligenza ed un acume dialettico ben raro nel mondo giornalistico.
Fra i periodi che mi hanno colpito di più trovo (pag.215):
“In questa società comanda soprattutto chi ha la possibilità di convincere. Convincere a fare le cose: acquistare un’auto invece di un’altra, un vestito, un cibo, un profumo, fumare o non fumare, votare per un partito, comperare e leggere quei libri. Comanda soprattutto chi ha la capacità di convincere le persone ad avere quei tali pensieri sul mondo e quelle tali idee sulla vita. In questa società il padrone è colui il quale ha nelle mani i mass media, chi possiede o può utilizzare gli strumenti dell’informazione, la televisione, la radio, i giornali, poichè tu racconti una cosa e cinquantamila, cinquecentomila o cinque milioni di persone ti ascoltano, e alla fine tu avrai cominciato a modificare i pensieri di costoro, e così modificando i pensieri della gente, giorno dopo giorno, mese dopo mese, tu vai creando la pubblica opinione la quale rimugina, si commuove, s’incazza, si ribella, modifica se stessa e fatalmente modifica la società entro la quale vive. Nel meglio o nel peggio”. (luglio 1983)
E’ solo un esempio, piccolo. Così pure mi ha colpito molto l’analisi di Fava in merito alla condizione meridionale, vista in parte come lo sfruttamento del Nord sul Sud e non solo un fatto congenito al Sud stesso.
E questo mi fa pensare: da Siciliano, sento in giro per l’Italia molta gente che, a tavolino, mi dice di avere una propria idea: “..la Mafia è pericolosa e per questo forse è meglio conviverci ad accettarla per stare bene; la vita è una sola ed è meglio viverla bene…” Tutto ciò mi colpisce e mi ferisce perchè capisco che ‘I Siciliani’ sono più soli di quanto credevo, sono capiti solo in parte e forse per questo non vengono aiutati. Forse per questo alcuni muoiono ammazzati.
Vi scrivo nella speranza che vogliate trovare il tempo di parlare di un uomo di cui nessuno più parla. Un uomo “bloccato” con cinque pallottole alla nuca perchè diceva, con una dialettica acuta, ciò che pochi allora, e quasi nessuno oggi, osano dire a Catania: che la Mafia c’è e che controlla molte scelte.
Un uomo che ha tentato di rompere l’omertà dell’informazione in un città dove c’è solo un quotidiano (“La Sicilia” di Ciancio) e non esistono quotidiani a tiratura nazionale che danno la cronaca locale (leggi Repubblica o Corriere della Sera). L’informazione a Catania è ‘una’ e si lamenta con il Sole24ore perchè le sue analisi statistiche sono sballate: le nostre ben amate cittadine sono sempre all’ultimo posto nelle classifiche sulla vivibilità delle Città (poveri i nostri amministratori siciliani bisfrattati!!).
La libertà, credo, inizia dalla libertà dai bisogni e dalla libertà delle idee, quali esse siano.
Concludo sperando solo di averVi interessato.
Vi invio un saluto e Vi faccio un imbocca al lupo per il Vostro lavoro >
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QUASI UN PROMEMORIA
ai ragazzi dell’Alba
Scacciato dai padroni della terra
anche il ragazzo Michele molti anni fa se ne partiva
per città senza mare, schiavo
– come tanti prima di lui – dei vincitori
Se la Sicilia ha bandiera, non ha trinacrie alate,
non colori brillanti di baroni e di re.
Una zappa fangosa è il nostro unico stemma,
una valigia pesante, per le strade del mondo, il nostro regno.
Così per molti secoli. Antichi padroni di schiavi
e baroni feudali, “sorci” di Re Ferdinando,
e borghesi di “Talia”, notabili grigi di paese
e rozzi gerarchi neri, padroni dell’eroina e Cavalieri:
dalla Sicilia stessa in una ininterrotta catena
sortivano gli sfruttatori dei siciliani.
E così per molti anni. Di quando in quando
uno degli sfruttati gridava. Capi di ribelli organizzarono
– alle radici del tempo, sotto Roma – tre rivolte di schiavi:
Spartaco, loro fratello, lottò contemporaneamente a loro
che fecero della rocca di Enna la capitale degli schiavi.
Furono crocifissi. Re Federico, nel medioevo,
squartò e arse vivi a decine i servi della gleba ribelli:
fuggivano nei dammusi. Il conte
di Modica, signore di vita e di morte
dovette fuggire una volta dalla folla
– che pochi giorni dopo fu decimata – dei contadini.
Così passarono i secoli. Poi gli antichi baroni,
man mano che il progresso cresceva
e nuove cose venivano dall’Europa
si trasformarono – ma sempre
restando se stessi – in “galantuomini” e “civili”.
Arrivò Garibaldi: ma un’altra abile trasformazione
li mise per altre sette generazioni al riparo
dalla sete di vivere dei siciliani. Ed è passato il tempo
e i Cavalieri di oggi non sono affatto casuali:
catene infinite li legano alle radici
dell’ingiustizia arcaica, nata all’origine, su questa terra.
Neanche noi lo siamo. Dopo generazioni di sconfitti
le generazioni dei giovani sempre si sono riannodate
all’insaputa di tutti. Le bandiere rosse nei feudi
– Portella delle Ginestre, Turiddu Carnevale, Miraglia –
fiorirono sulla lunghissima catena.
Ed altro tempo è passato. Oggi i discendenti degli schiavi
hanno finalmente un ponte da attraversare:
possono forse vincere, dopo anni e anni,
se fantasia e ragione s’allargheranno dappertutto
a partire da qui. E questo è tutto. Nelle poche ore
e nelle cose modeste che ci tocca fare
c’è un concentrato antichissimo, grande, di lotte e di dolori
che ora vengono al nodo. Per questo esistiamo,
ora che una strana ironia – benevola, probabilmente –
affida ai deboli, agli sparpagliati, ai ragazzini
la sorte dei cavalieri e degli ultimi baroni.
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“A che serve vivere, se non c’è il coraggio di lottare?” (Giuseppe Fava)