31 ottobre 2006 n. 343
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Informazione in Sicilia: un convegno per la libertà.
Chi: Casablanca, Isola Possibile, Tele Jato, Girodivite, Edizioni Le Siciliane, Le Inchieste, Itacanews, Città Nuove, I Cordai, Pizzino, La Primavera, Cittainsiemegiovani, Gapa, Addiopizzo, Malastrada Film, RadioAut, il Dialogo, Radio Zammù, Sicilia Libertaria, Step1, Terre Libere, Grilli dell’Etna.
Come: in due giornate di dibattito operativo. La prima fra i gruppi, testate e soggetti della società civile interessati a porre le basi per una rete siciliana dell’informazione. La seconda con i politici progressisti interessati a sostenerla (fra cui Nando dalla Chiesa, Beppe Giulietti, Saro Liotta, Orazio Licandro, Giusepep Cipriani, Giovanni Burtone e Margherita Samperi).
Quando: sabato 4 (ore 16.30, aula A1) e domenica 5 novembre (ore 16.30, Aula A1).
Dove: Catania, Facoltà di Lingue, piazza Dante, ai Benedettini.
Perché: per cominciare a coordinarci insieme in un progetto alternativo al monopolio. Per contribuire con un documento sull’informazione agli Stati Generali dell’Antimafia indetti da Libera per metà novembre. Per un disegno di legge che tuteli l’esercizio del diritto di cronaca. Per un concreto e deciso impegno delle forze politiche progressiste a favore della piccola editoria e del giornalismo civile.
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Sbavaglio. Casablanca, Isola Possibile e Tele Jato indicono per il 4 e 5 novembre un convegno sullo stato dell’informazione in Sicilia. L’emergenza è arrivata a un livello gravissimo e il monopolio si fa sempre più stretto in coincidenza coi nuovi grandi affari di Ciancio, il Berlusconi siciliano. Il caso Telecolor, gravissimo per dimensioni e arroganza, è solo l’ultimo di una lunga serie di imbavagliamenti e immotivate censure che hanno dei precedenti solo in dittature.
Il convegno, al quale sono invitate tutte le realtà dell’informazione libera in Sicilia, non serve a lamentare per l’ennesima volta l’inciviltà del monopolio, ma a organizzarne insieme concretamente il superamento.
Esistono ormai nell’Isola – e fuori – numerosi soggetti che, ognuno nel suo settore, lavorano a un’informazione libera e indipendente. E’ il momento di coordinarsi, di organizzarsi tutti insieme in un percorso lungo ma professionale e concreto che renda possibile il prerequisito essenziale dell’avanzamento culturale, economico e politico della Regione: la fine del monopolio dell’informazione e l’instaurazione di un regime europeo e democratico anche in questo settore.
I nuovi sviluppi tecnologici, a cominciare dall’internet, e un’intelligente integrazione di essi nel quadro di un media pluricentrico e multifunzionale, rendono finalmente realistico questo obiettivo. Su di esso chiamiamo a mobilitarsi, nelle giornate di studio a partire dal 4 e 5 novembre ma soprattutto nel lavoro concreto dei mesi successivi, tutte le forze civili della Sicilia.
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La Sicilia è la regione d’Europa con la più densa storia di giornalismo militante e civile: ben otto giornalisti sono stati uccisi qui nell’esercizio del loro mestiere. Contemporaneamente, la Sicilia è la regione in cui l’informazione ufficiale è meno pluralista e articolata: da ben prima di Berlusconi, qui, i media sono soggetti a un monopolio (Ciancio e soci) sempre più pervasivo e assoluto.
Degli otto giornalisti uccisi uno (Mario Francese) era un giornalista professionista e lavorava per una testata “ufficiale”. Uno (Giuseppe Fava) era giornalista professionista e lavorava per una cooperativa giornalistica indipendente. Uno (Mauro De Mauro) era professionista e lavorava per una testata d’opposizione. Tre (Cosimo Cristina, Giuseppe Spampinato, Beppe Alfano) erano semplici corrispondenti locali, e due di loro erano pubblicati solo dalla stampa d’opposizione che allora esisteva. Infine, due (Mauro Rostagno e Peppino Impastato) non venivano dal giornalismo ma dalla militanza politica e civile, pur essendo stati uccisi per una precisa attività d’informazione.
Solo tre su otto, dunque, erano giornalisti “professionisti” (riconosciuti cioé formalmente dalle istituzioni come tali). Solo due su otto lavoravano per il monopolio, entrambi in posizione isolata ed entrambi disconosciuti da esso (uno degli editori di Francese mise in dubbio, in un’intervista, la matrice mafiosa della sua morte; il magistrato del caso Alfano dovè esercitare pressioni sull’editore per averne collaborazione).
Tutti i giornalisti uccisi si caratterizzavano per le loro inchieste sui poteri mafiosi, che viceversa trovavano pochissimo spazio sull’informazione ufficiale, che in più casi appoggiò esplicitamente componenti del sistema. Questo panorama complessivo ha trovato opposizioni anche forti – L’Ora, I Siciliani – che tuttavia non sono sono riuscite a sopravvivere al monopolio. Quest’ultimo è riuscito ad impedire la pluralità dell’informazione anche nei confronti di testate nazionali: ad esempio Repubblica, indotta a astenersi dalla cronaca catanese.
Il monopolio, con tutto ciò che ne consegue sul piano individuale e professionale, è dunque oggi la forma normale della pratica dell’informazione in Sicilia. Questo dato non può essere rimosso, a pena di trasformare ogni dibattito in proposito in un parlar d’altro. Implica una sostanziale estraneità del sistema dell’informazione al progresso democratico della Regione, un silenziamento di fatto dei giornalisti indipendenti (fisicamente estromessi dal sistema o costretti ad accettare o il compromesso o l’emarginazione interna), e dunque una sempre maggiore assuefazione dell’opinione pubblica e della categoria a questa situazione di “normalità” non-normale.
Manca dunque in Sicilia un aspetto essenziale della cultura occidentale ed europea, il controllo dell’opinione pubblica sulle scelte del potere. Ciò costituisce l’ostacolo principale all’evoluzione civile ed economica della Regione, subito dopo l’egemonia del sistema politico-mafioso di cui è peraltro una delle precondizioni essenziali.
Come si contrasta il monopolio? Innanzitutto, riconoscendolo come tale e conseguentemente negandogli lo status – che oggi vige – di interlocutore privilegiato. In secondo luogo, favorendo la crescita di testate locali alternative. In terzo luogo, stimolando fra i giovani esperienze di informazione semiprofessionale “dal basso”. In quarto luogo, spostando il baricentro del sistema dell’informazione sulle tecnologie di rete (internet in primo luogo) e ponendosi consapevolmente l’obiettivo di collocare la Regione all’avanguardia nel settore.
La non-collaborazione col monopolio è un valore civile, e si esplica a diversi livelli. A livello legislativo, evitando di emanare disposizioni che in qualsiasi maniera lo favoriscano, verificando le disposizioni vigenti, vigilando contro le agevolazioni di fatto che possano venirgli fornite da pubblici funzionari. A livello politico, evitando – in quanto soggetti politici – di affidare al monopolio la diffusione delle proprie idee e rivolgendosi viceversa alla stampa locale e nazionale libera e all’internet.
Le testate regionali e locali a carattere professionale sono sempre state ostacolate da difficoltà pubblicitarie, di accesso al credito, di diffusione in edicola e di partecipazione ai pubblici incentivi: in violazione non solo dei principi generali che tutelano formalmente, nelle Costituzioni italiana ed europea, il pluralismo dell’informazione, ma anche delle leggi del libero mercato. E’ facilmente verificabile l’esistenza di fatto di ciascuno di questi ostacoli: rarissimi gli imprenditori siciliani che diano pubblicità alla stampa indipendente; rarissima la pubblicità istituzionale, riservata quasi interamente al monopolio; il credito bloccato; la stessa diffusione in edicola ostacolata, e in qualche caso caso del tutto vietata.
Su ciascuna di queste anomalie la politica può intervenire:
– verificando la correttezza pubblicitaria e sindacale delle imprese, e negando qualsiasi beneficio alle inadempienti;
– obbligando tutti gli operatori del settore (dagli editori ai diffusori) alla rigorosa osservanza delle leggi, a pena di esclusione da ogni beneficio regionale e, nei casi più gravi, fornendo assistenza legale ai soggetti danneggiati;
– distribuendo con equità la pubblicità istituzionale;- facendosi promotrice di sostegni alle cooperative giornalistiche indipendenti, verificandone la corretta utilizzazione e trasformandoli quando possibile in erogazione di servizi tecnici garantiti.
Tecnologie e cultura. E’ ormai veramente improprio parlare – sul piano tecnico – di “nuove” tecnologie. Nel giro di vent’anni, la tecnica dei computer si è affermata a livello diffuso, trasformando radicalmente i meccanismi di produzione e di mercato e producendo una serie di acquisizioni ulteriori – la più nota è l’internet – che modificano profondamente le culture dell’intera società. Proprio sul piano culturale, tuttavia, le tecnologie continuano ad essere “nuove”, nel senso che non siamo ancora arrivati a percepirne le estreme – e liberatorie – conseguenze. E’ come se stessimo usando già da tempo l’alfabeto fenicio ma senza avere abolito del tutto i geroglifici, e senza soprattutto aver compreso come l’alfabeto moderno, riservato a tutti e non a pochi sacerdoti, renda ormai obsoleti i vecchi inni ai Faraoni e consenta finalmente alla persona comune di comporre storia, cultura, scienza e anche canzoni d’amore.
Sotto questo profilo, l’alfabeto fenicio si sviluppò maggiormente in regioni periferiche, dove la comunicazione “ufficiale” non aveva raggiunto la complessità e prepotenza toccate altrove. La poesia moderna così nacque in Grecia, e non al centro dei vari imperi. E oggigiorno non c’è ragione per cui una regione relativamente povera, e certo molto deprivata sul piano della comunicazione ufficiale, non possa invece porsi consapevolmente l’obiettivo di essere fra le prime sul piano dei nuovi alfabeti. Questo implica un’attenzione eccezionalissima da parte della politica non solo alle applicazioni “istituzionali” dell’internet, quanto alle sue potenzialità culturali che possono dar luogo a mercati di massa nel giro di pochissimi anni.
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Peppino Impastato, Mauro Rostagno e Giuseppe Fava si distinsero anche per delle scelte tecnologiche allora molto innovative (la radio, la tv locale, la fotocomposizione autogestita dai redattori). Furono queste scelte a dar loro la possibilità tecnica di operare giornalisticamente in una situazione che altrimenti sarebbe stata completamente bloccata. Il loro operare giornalistico, tuttavia, non era caratterizzato solo da scelte tecniche illuminate ma anche – e soprattutto – da un contenuto civile, democratico, di liberazione. La tecnologia “svelta” era un mezzo, ma il fine era la libertà. Essi intuirono per primi questa correlazione.
I quotidiani arrancano (in Sicilia più che altrove: la gente si difende dai cattivi giornali non comprandoli), la televisione attraversa una fase profondissima di ridefinizione in cui l’infotainment (informazione non distinta dall’enterteinment) sembra il trend principale, negli Stati Uniti la politica comincia a passare più per il video e l’internet che per il quotidiano e la tv. Nel mondo dell’informazione sta cambiando tutto, non meno che nel periodo intercorrente fra gli amanuensi e Gutenberg o fra i manifesti murali e Addison.
Questi cambiamenti lasceranno alla fine ai media eterodiretti solo nicchie parziali (e di propaganda), e fra i media di massa sopravviveranno, come informazione reale, quelli che riusciranno a legarsi, in diverse maniere, al mondo dell’internet. Questo ci spinge a proporre una precisa attenzione alle forze politiche, e a organizzare professionalmente qui ed ora delle iniziative parziali ma conseguenti. Ma non dimentichiamo mai che il fine ultimo è quello dell’estensione sempre più ampia della libertà: libertà del singolo cittadino di accedere a informazioni veritiere e opinioni diverse, della società civile di poter sempre contare su opzioni alternative, dei giornalisti di potersi sempre esprimere liberamente e professionalmente.
Crediamo, con questo, di trovarci inseriti in un filone antico e umano, del quale i nomi che abbiamo citato prima sono fra i maestri. Che tanti di questi maestri siano siciliani ci dà orgoglio, certo, ma anche una particolare responsabilità. Ad essa noi cerchiamo di rispondere indicendo questo convegno, ed invitando a parteciparvi attivamente tutti gli amici della voce libera in Sicilia e fuori.
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Ordine. Trentamila euro in due anni: è il compenso ricevuto dall’agente “Betulla”, al secolo Renato Farina, per i servigi resi al Sismi e costati un’indagine per favoreggiamento in inquinamento probatorio. Una megamarchetta finalizzata all’inquinamento delle responsabilità dei servizi italiani nel sequestro dell’Imam egiziano Abu Omar ad opera della Cia.
In un paese normale questo dato incontrovertibile basterebbe per trasformare Farina in persona sgradita a qualunque redazione e di fatto incompatibile con la professione di giornalista, così come lo sarebbe un medico scoperto a prendere soldi da una ditta di pompe funebri per far schiattare i pazienti di proposito. Ma qui siamo in Italia ed è l’Ordine dei Giornalisti che decide se un operatore dell’informazione pubblica può fare anche disinformazione segreta. E’ per questo che Farina non viene radiato dalla professione come sarebbe accaduto in un qualunque paese civile, ma solamente sospeso per 12 mesi. Franco Abruzzo, che presiede l’OdG della Lombardia a cui “betulla” continua ad essere iscritto, sostiene che Farina ha già pagato il suo debito con la categoria attraverso la “gogna mediatica” che ha fatto seguito alla scoperta dei suoi altarini.
A questo punto bisogna chiedersi cosa cosa bisogna fare per essere radiati dall’ordine dei giornalisti, visto che nel caso Betulla non è bastato imbastire false interviste per raccogliere informazioni su attività della magistratura con lo scopo di riferirle poi agli stessi indagati. A dispetto della mite sentenza ricevuta, Farina ha ripreso a scrivere su Libero precisando che i suoi non sono articoli, ma “lettere al direttore”.
Ma non tutti sono così fortunati: Maria Chiara, aspirante giornalista conosciuta a Modena, scrive da anni per la stampa locale, ma la pagano solamente quattro euro a pezzo, e di conseguenza anche con dozzine di articoli al suo attivo non ha raggiunto quei 2000 euro in due anni che l’ordine dei giornalisti dell’Emilia Romagna considera il guadagno minimo necessario per fregiarsi del titolo di giornalista. Maria Chiara, fatti furba: vai in Lombardia, dove non c’è il limite dei 2000 euro, e se vuoi arrotondare la paghetta passa dalla redazione di Libero e chiedi del signor Betulla. [carlo gubitosa]
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Lo Stato contro Pinco Pallo. Accusato di essersi spacciato per ufficiale dei carabinieri, usando il titolo per ottenere la fiducia di una donna che ha spolpato ben bene economicamente parlando. Armi usate: un distintivo e una pistola d’ordinanza, poi rivelatasi falsa. Si procede d’ufficio. Due anni di processo. Spostamenti, giornate di lavoro perse per testimoniare, testimoni ascoltati e riascoltati. Arriva finalmente la sentenza. La pistola non fu mai trovata addosso al sedicente carabiniere (ma non era falsa?), e il reato di usurpazione di titolo non esiste. Depenalizzato. Ma c’era bisogno di un anno e mezzo di processo, per dirlo? [antonella serafini]
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“Es un gobierno de mierda, pero es mi gobierno” (cartello a una manifestazione popolare, Santiago del Cile, estate ’72).
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Spot. www.lacamorrafaschifo.ilcannocchiale.it. Sinistra Giovanile vs/ Potere Nero.
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Antonella Consoli wrote:
La mia vittoria
< Ma che importa
io posso ancora raccontare
ed è questa
la mia vittoria >
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“A che serve vivere, se non c’è il coraggio di lottare?” (Giuseppe Fava)