San Libero – 373

22 ottobre 2008 n. 373

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Saviani

Anche oggi Marco ha preso il motorino, è uscito di casa e se n’è andato in cerca di notizie. Ha lavorato tutto il giorno e poi le ha mandate in internet a quelli che conosce. Fa anche un giornaletto (Catania Possibile) di cui finalmente anche i lettori hanno potuto vedere un numero (il primo solo i poliziotti incaricati di sequestrarlo in edicola) con relative inchieste. Non ci guadagna una lira e fa questo tipo di cose da una decina d’anni. Ha perso, per farle, la collaborazione all’Ansa, la possibilità di uno stipendio qualunque e persino di una paga precaria come scaricatore: anche qui, difatti, l’hanno licenziato in quanto “giornalista pacifista”. Marco non ha paura (nè della fame sicura nè dei killer eventuali) ed è contento di quel che fa.

Anche oggi Max è contento perché è riuscito a mandare in giro un altro numero della Periferica, il giornaletto che ha fondato con alcuni altri amici del quartiere. Il quartiere è Librino, il più disperato della Sicilia. Se ne parla in cronaca nera e nei pensosi dibattiti sulla miseria. Loro sono riusciti a mettere su una redazione, a organizzare non solo il giornale ma anche un buon doposcuola e dei gruppi locali. Non ci guadagnano niente e i mafiosi del quartiere hanno già fatto assalire una volta una sede. Max non ha paura, almeno non ufficialmente, ed è contento di quel che fa.

Anche oggi Pino ha finito di mandare in onda il telegiornale. Lo prendono a qualche chilometro di distanza (la zona dello Jato, attorno a Partinico) e contiene tutti i nomi dei mafiosi, e amici dei mafiosi, del suo paese. Non ci guadagna niente (a parte la macchina bruciata o un carico di bastonate) ma lui continua lo stesso, ed è contento di quel che fa.

Anche oggi Luca ha chiuso la porta della redazione, al vicolo Sanità. Il suo giornale, Napoli Monitor, esce da un po’ più di due anni e dice le cose che i giornalisti grossi non hanno voglia di dire. E’ da quando è ragazzo (ha iniziato presto) che fa un lavoro così. Non ci guadagna nulla, manco il caso di dirlo, e non è un momento facile da attraversare. Ma lui continua lo stesso, ed è contento di quel che fa.

Ho messo i primi che mi sono venuti in mente, così per far scena. Ma, e Antonella di Censurati.it? Sta passando guai seri, a Pescara, per quell’inchiesta sui padri-padroni. E Fabio, a Catania? Fa il cameriere, per vivere, ed è giornalista (serio) da circa quindici anni. E ti sei dimenticato di Antonio, a Bologna? Vent’anni sono passati, da quando gli puntarono la pistola in faccia per via di quell’inchiesta sui clan Vassallo e gli affitti delle scuole. Eppure non ha cambiato idea. E Graziella? E Carlo Ruta, a Ragusa? E Nadia? E… Vabbè, lasciamo andare. Mi sembra che un’idea ve la siate fatta. C’è tutta una serie, in Italia, di piccoli giornali e siti, coi loro – seri e professionali – redattori. Ogni tanto ne fanno fuori qualcuno, o lo minacciano platealmente; e allora se ne parla un po’. Tutti gli altri giorni fanno il loro lavoro così, serenamente e soli, senza che a nessuno importi affatto – fra giornalisti “alti” e politici – se sono vivi o no. Eppure, almeno nel settore dell’antimafia, il novanta per cento delle notizie reali viene da loro.

Saviano è uno di loro. Quasi tutti i capitoli di Gomorra sono usciti prima su un sito (un buon sito, Nazione Indiana) e nessuno, salvo chi di mafia s’interessava davvero, se l’è cagati. Poi è successa una cosa ottima, cioè che l’industria culturale, il mercato, ci ha messo (o ha creduto di metterci) le mani sopra. Ne è derivato qualche privilegio, ma pagato carissimo, per lui. Ma ne è derivato soprattutto che – poiché l’industria culturale è stupida: vorrebbe creare personaggi mediatici, da digerire, e finisce per mettere in circolo contenuti “sovversivi” – un sacco di gente ha potuto farsi delle idee chiarissime sulla vera realtà della camorra, che è un’imprenditoria un po’ più armata delle altre ma rispettatissima e tollerata e, in quanto anche armata, vincente.

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Ci sono tre cose precisissime che, in quanto antimafiosi militanti, dobbiamo a Saviano. Una, quella che abbiamo accennato sopra: la camorra non è la degenerazione di qualcosa ma la cosa in sè, il “sistema”. Due, che il lato vulnerabile del sistema è la ribellione anche individuale, etica. Tre, che lo strumento giornalistico per combattere questo sistema non è solo la notizia classica, ma anche la sua narrazione “alta”, “culturale”; non solo “giornalismo” ma anche, e contemporaneamente, “letteratura”. (Quante virgolette bisogna usare in questa fase fondante, primordiale: fra una decina d’anni non occorreranno più). Dove “letteratura” non è l’abbellimento laterale e tutto sommato folklorico, alla Sciascia, ma il nucleo della stessa notizia che si fa militanza.

Nessuna di queste cose è stata inventata da Saviano. Il concetto di “sistema”, anziché di semplice (folkloristica) “camorra” è stato espresso contemporaneamente, e credo sempre su Nazione Indiana, da Sergio Nazzaro (non meno bravo di Saviano: e vive vendendo elettrodomestici); e forse prima ancora, sempre a Napoli, da Cirelli. L’aspetto fortemente etico-personale della lotta non alla “mafia” ma al complessivo sistema mafioso è egemone già nelle lotte degli studenti (siciliani ma non solo) dei tardi anni Ottanta. La simbiosi fra giornalismo e “letteratura”, che è forse l’aspetto più “scandaloso” (e che più scandalizza; e non solo a destra) di Saviano è già forte e completa in Giuseppe Fava, e nella sua scuola.

Le “scoperte” di Saviano sono dunque in realtà scoperte non di un singolo essere umano ma di una intera generazione, sedimentate a poco a poco, nell’estraneità e indifferenza dell’industria culturale, in tutta una filiera di giovani cervelli e cuori. Alla fine, maturando i tempi, è venuto uno che ha saputo (ed ha osato) sintetizzarle; e che ha avuto la “fortuna” di incontrare, esattamente nel momento-chiave, anche l’industria culturale. Che tuttavia non l’ha, nelle grandi linee, strumentalizzato ed è stata anzi (grazie allo spessore culturale di Saviano, ma soprattutto dell’humus da cui vien fuori) in un certo qual senso strumentalizzata essa stessa.

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Questa è la nostra solidarietà con Saviano. Non siamo degli Umberto Eco o dei Veltroni, benevoli ma sostanzialmente estranei, che raccolgano firme e promuovano (in buona fede) questa o quella iniziativa. Siamo degli intellettuali organici, dei militanti (“siamo” qui ha un senso profondissimo, di collettivo) che hanno un lavoro da compiere, ed è lo stesso lavoro cui sta accudendo lui. Anche noi abbiamo avuto paura, spesso ne abbiamo, e sappiamo che in essa nessuno essere umano può attendersi altro conforto che da se stesso. Roberto, che è giovane, vedrà certo la fine di di questo orrendo “sistema” e avrà l’orgoglio di avervi contribuito: non – poveramente – da solo ma volando alto e insieme, con le più forti anime di tutta una generazione.

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I giovani come li vogliono loro

Livorno, circondano in quindici un mendicante e lo riempiono di botte. Canicattì, aggrediscono in cinque un rumeno e lo mandano all’ospedale. Varese, aspettano in piazza una marocchina che non gli aveva ceduto il posto in autobus e le spaccano la faccia. Bergamo, in sette picchiano a sangue un quindicenne. Roma, rapinano in sei un transessuale e lo lasciano tramortito per terra.

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I giovani come li vogliamo noi

Scuole e università occupate dagli studenti che cercano di evitare la privatizzazione di queste (all’università solo chi ha i soldi) e la razzializzazione di quelle (a scuola solo chi è bianco). Commenti ufficiali: “Aizzati dai communisti”, “Non durerà”, “Non serve a niente”. Intanto son passati quarant’anni e ancora ‘sta voglia di ribellarsi, al ragazzo italiano, non sono riusciti a levargliela di dosso (sarà il troppo italiano che s’insegna a scuola).

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Africani

Bergamo. Riconsegnato ai genitori il bambino scomparso vicino al Portone del Diavolo (zona Celadina) pochi giorni fa. A ritrovarlo un operaio del Burkina Faso, che ha avvertito la polizia e si è preso cura di lui. Era nato in Burkina Faso anche Abdul Graibe, il ragazzo ucciso a sprangate a Milano da due italiani dopo essere stato insultato per il colore della pelle. Burkina Faso, laggiù, significa “paese degli uomini giusti”.

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Menzogne di Ciancio…

Ricordate l’editoriale di Vincenzo Santapaola pubblicato, sotto forma di lettera, da La Sicilia di Catania? Il direttore Ciancio s’era difeso affermando che il pezzo era stato autorizzato dal Gip di Catania.
Era una menzogna. Il presidente dell’Ufficio Gip, Materia, smentisce formalmente (“Nessun giudice ha autorizzato l’invio della lettera di Santapaola”) la giustificazione di Ciancio. Il quale, costretto a pubblicare la smentita – poiché il magistrato la pretende formalmente ai sensi della legge della stampa – la confina a pagina trentatrè di cronaca, in poche righe.
“La notizia così pubblicata – protesta il magistrato – risulta gravemente lesiva della dignità e professionalità dei Magistrati dell’ufficio Gip di Catania”. “Nessuno dei Magistrati del mio ufficio – precisa – succedutisi nella trattazione del processo a carico di Santapaola Vincenzo, ha mai autorizzato l’invio di qualsiasi missiva di Santapaola Vincenzo”.

La Sicilia aveva pubblicato la lettera del boss il 9 ottobre, senza alcun intervento redazionale. Proteste di Claudio Fava, riprese anche da noi; polemiche. Il 12 ottobre il giornale di Ciancio “riferisce” l’indagine del Dap sull’iter della lettera: “Un Gip catanese ha dato l’autorizzazione”. Il 13 ottobre pubblica una lettera di Luciano Granozzi, della Facoltà di Lingue, con argomentazioni logiche e legali contro la pubblicazione del boss; la lettera del docente è incastonata fra un pastone sulle discoteche e una lettera degli avvocati del boss: “Polemiche antimafia tutte sterili e montate, come avete visto il Gip ha dato l’autorizzazione, imprudente chi ha criticato il nostro assistito” (avvocati Francesco e Giuseppe Strano Tagliareni). Il 17 il presidente della sezione Gip catanese smentisce tutto: tutto falso, nessuna autorizzazione.

“L’articolo da noi pubblicato il 12 ottobre – prova ancora a difendersi il giornale di Ciancio -riproduceva un testo diffuso dall’Agenzia Ansa il pomeriggio del giorno precedente”.
La pezza peggio del buco: a questo punto il favoreggiamento potrebbe riguardare non solo La Sicilia, ma la stessa redazione locale dell’Ansa. Che, del tutto casualmente, ha sede nel palazzo della Sicilia in via Odorico da Pordenone (Ciancio in persona è vicepresidente e comproprietario dell’Ansa nazionale). Nei due uffici dello stesso palazzo, adesso, si attendono con una certa trepidazione le prossime mosse della Magistratura e dell’Ordine (romano) dei Giornalisti. Attendiamo anche noi.
[r.o., g.s.]

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…e verità del tribunale

“Tra i numerosi episodi esaminati nel procedimento val la pena di segnalare quello relativo alle pressioni esercitate sulla stampa che si caratterizza per il fatto di essere emblematico della succubanza in cui la società civile ha vissuto e vive al cospetto della protervia della “famiglia” mafiosa. E’ accaduto infatti che Giuseppe Ercolano, cognato di Nitto Santapaola e padre di Aldo, abbia richiesto al direttore di un giornale locale di contestare in una sua presenza ad un giornalista dello stesso giornale il contenuto di un articolo pubblicato qualche giorno prima in merito ai controlli effettuati dal Nucleo operativo ecologico dei carabinieri all’interno dell’Avimec. Orbene, in presenza dell’Ercolano, il direttore del giornale contestava al giornalista il tono non imparziale del suo articolo ed invitava il medesimo, per il futuro, a non attribuire l’appellativo di boss mafioso all’Ercolano e gli altri componenti della sua famiglia, anche se tali affermazioni provenissero da fonti della Polizia e dei Carabinieri”.
(Procura di Catania, dagli atti dell’operazione antimafia “Orsa Maggiore”)

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Walhalla

Due alte cariche dello Stato Italiano (i presidenti delle regioni Friuli e Veneto) hanno presenziato ufficialmente – e senza essere ripresi dal presidente della Repubblica cui nominalmente appartengono – ai funerali di un tale nazista austriaco, morto per ubriachezza ed eccesso di velocità tornando da una “festa” fra camerati. Ai tempi di Hitler, purtroppo, le auto non andavano così veloci.

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Niente acqua ai rom

A Roma il presidente del municipio circoscrizionale Talenti-Prati Fiscali, un certo Cristiano Bonelli del Pdl, ha fatto chiudere le fontanelle dove andavano a bere i rom del vicino campo nomadi. Il “minisindaco” si è giustificato dicendo: “Dovevo dare una risposta alla mia gente”. Poi, sprezzante, ha ridacchiato: “Vorrà dire che andranno a prendere l’acqua a qualche altra fontana, tanto sono nomadi, si spostano, no?”.
L’allucinante personaggio, che aspira forse ad entrare nell’eletta schiera dei Tosi, dei Gentilini, dei Borghezio, ha precisato: “Questo non è razzismo, farò anche un piano di integrazione”. Prima di diventare presidente di circoscrizione Bonelli organizzava con “Azione giovani” quelle che spiritosamente definiva “spedizioni pulitive” per “sottolineare la situazione di degrado a Castel Giubileo-Salaria”. Nel suo curriculum elettorale si vanta di aver bloccato il progetto di introduzione dei menù etnici in una scuola del quartiere Montesacro. Che trovasse un seguito in uno dei quartieri più “neri” della Capitale non era difficile prevederlo (il suddetto ha precisato che dopo la chiusura delle fontanelle la sua gente lo ha ringraziato), il problema è che non si tratta più di quattro gatti.

I razzisti sono ovunque, non solo negli stadi; il fascismo non è più strisciante. È al governo (impronte ai bambini rom, classi differenziate per i figli degli immigrati, esercito nelle strade…) ed è nella società che veniva detta civile: uccisioni, pestaggi, insulti, umiliazioni sui mezzi pubblici contro neri, cinesi, omosessuali, rom sono casi pressoché quotidiani. Nei confronti degli ebrei finora ci sono state solo targhe commemorative distrutte e scritte offensive (l’ultima, qui a Roma, mette in discussione l’Olocausto), ma è avvertibile la sensazione che il limite potrebbe essere oltrepassato. Un conto, tuttavia, è se chi manifesta la sua vigliaccheria razzista è il bottegaio privo d’istruzione o il ragazzetto facilmente plagiabile, un altro conto se si tratta di poliziotti, vigili urbani o di esponenti politici e istituzionali, seppure “mini”. E poi, diciamolo, fa una tremenda paura, dal caso Unipol in avanti, la distrazione, l’indignazione di maniera, il pio-pio di una larga fascia dell’opposizione.
[riccardo de gennaro]

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Il vecchio e il giovane

< E così non c’è più Vittorio Foa, uno dei padri della Repubblica che il giornalista del Tg1 ieri sera, con faccia di circostanza, ha chiamato “Foà”. E’ confortante andarsene da padri della patria in questo modo. Io lo ricordo come una delle persone più intelligenti e anche generose conosciute. Nel 1994, quando già montava il “nuovismo”, ebbi la non difficile intuizione che saremmo stati sommersi da una marea di nuovi, ma fessi (o cialtroni). E così, per gusto della sfida, dedicai il mio “I trasformisti” a tre ultraottantenni: Norberto Bobbio, Alessandro Galante Garrone e, appunto, Vittorio Foa. Ora che non c’è più nessuno dei tre, dico che è una delle scelte politiche di cui sono più orgoglioso.

Orgoglioso anche di avere laureato il mio amico Mario molti anni fa. Molti davvero. Al punto che nel frattempo è diventato amministratore delegato di una grande azienda. Almeno fino a pochi giorni fa. Quando l’hanno licenziato dopo un dialogo di venti minuti. Si era rifiutato di licenziare in massa. Fatemi mandare via solo i lavativi, quei cinque o sei con i certificati medici falsi e sempre difesi dal sindacato (sempre complimenti). Fatemi contrattare qualche prepensionamento. Ma gli altri perché? L’azienda non ha bisogno di questa cura, le prospettive operative sono buone. Ha presentato il suo piano alternativo. Che rifiutava l’idea che si dovesse licenziare in massa solo per fare schizzare verso l’alto le azioni in Borsa, perché la Borsa impazzisce di gioia quando la gente viene mandata a casa. Gli hanno detto che non è più in linea con la filosofia del gruppo. Che se ne poteva andare subito. E lui, appena diventato padre disoccupato, è andato a prendersi i bimbi all’asilo. Vi sareste mai aspettati che un amministratore delegato bocconiano, seppur di sinistra, si giocasse il posto per non fare licenziare a casaccio i suoi dipendenti? Ecco un caso in cui la persona modifica il ruolo invece di farsene mangiare l’anima. Bravo Mario! E forza, farai sfracelli da altre parti.

Una bella notizia, come d’obbligo (ma anche quella di prima ha uno sfondo rosa…). Un gruppo di studenti della Cattolica di Milano ha capito la filosofia della Scuola di formazione politica intitolata ad Antonino Caponnetto e ne ha chiesto il logo per organizzare un ottimo ciclo di incontri sulla mafia e sul metodo mafioso. Vengono da due associazioni, la “formica democratica” e la “capra magra”. Sempre detto che degli animali ci si può fidare.
Triste invece l’altra notizia, che coinvolge sempre la Scuola Caponnetto. Maria, una delle sue colonne, qui conosciuta con il nome di Mariaaa, ha visto spegnersi il padre dopo una lunga malattia. D’improvviso, mentre progettava come assisterlo nei giorni di Firenze. Ti siamo vicini tutti, scovatrice di inediti, anche chi non ti conosce.
[nando dalla chiesa]
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Il 24 a Palazzo Vecchio seminario della Scuola Caponnetto su “Crisi della democrazia: sovranità, rappresentanza, regole, costi”.
Info: info@scuolacaponnetto.it

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sandro@bengodi.org wrote:

< Negli ultimi giorni di settembre è riesplosa a Foggia la guerra tra clan, ci sono stati infatti tre agguati in quattro giorni che hanno causato un morto e tre feriti, due dei quali erano passanti, un anziano e una ragazzina di 14 anni. La città sembra ormai assuefatta. Non ci stanno a lasciar spazio ai mafiosi invece i Cgil Cisl e Uil che hanno indetto una manifestazione per sabato 18 ottobre. Cercano di smuovere qualcosa anche i ragazzi del gruppo FOGGIA CONTRO LE MAFIE, che a pochi giorni dal lancio hanno ottenuto tantissime adesioni al loro appello e al loro gruppo su
www.facebook.com >
Bookmark: www.foggiacontrolemafie.blogspot.com

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eliocamilleri@libero.it wrote:

< Paul Krugman, prof. di Economia all’Università di Princeton, è stato insignito del Premio Nobel per l’Economia. Krugman ha espresso continue e circostanziate critiche sul neoliberismo, sul prevalere della finanza sull’economia reale, nonché sui princìpi informatori della politica estera di Bush (attacco preventivo ed unilaterale contro Afganistan ed Iraq). Oggi, Silvio Berlusconi, nel giardino della Casa Bianca ha dichiarato che la Storia definirà George W, Bush “un grande, un grandissimo presidente”. Le due news sono state diffuse quasi contemporaneamente. Quale delle due contiene il giudizio più verosimile su Bush? Ha ragione un premio Nobel o Berlusca? >

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Cecilia M. wrote:

< Il Satanismo (SanLibero 368) non ha nulla a che fare col Paganesimo. Si limita semplicemente a sostituire un Principio personale di Male assoluto al Principio personale di Bene assoluto. Ben diverso il caso dei vari casi di neo-paganesimo, vedi wicca ecc. >

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uffo03@libero.it wrote:
< Caro O., i picchiatori vanno sbattuti in carcere. Ma a te sembra giusto che alcuni si sentano in diritto di impedire la parola ad altri, e ne coprano i manifesti incollandocene sopra altri, per impedire che oltre la parola parlata anche il messaggio scritto sia diffuso? Si ha paura di misurarsi con le idee di Forza Nuova? Se fosse così, ben povero sarebbe il panorama intellettuale della sinistra. Oppure: in nome dell’antifascismo è lecito reprimere la libertà di parola? Il mio maestro Guido Calogero diceva che i fascisti hanno diritto di parlare, purché non impongano con la violenza le proprie tesi. O chi dice “i fascisti non devono parlare” – e dà a questo “non deve” il senso “non deve anche a costo di usargli violenza” – deve avere l’impunità? Se è questo che vuole la costituzione, la costituzione è ingiusta >

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Mimmo Lombezzi <mimmolombezzi@gmail.com> wrote:

Pubblicando i diari di Mussolini – iniziativa di indiscutibile interesse storico – l’on. Del’Utri ha evidenziato le “qualità umane” del Duce. Ora – sempre per la Storia – queste qualità andrebbero quantificate. Quante erano? Poche decine, come i colpi di palo che uccisero Matteotti ? Settemila, come gli ebrei arrestati dalla sua polizia e mandati a morire nelle camere a gas? Duemila, come gli ostaggi (civili) Sloveni fucilati solo a Lubjana obbedendo al suo ordine (“Massacrate!”)? Millecinquecento come i monaci fucilati a Debre Libanòs ? Diverse migliaia come i guerriglieri etiopici uccisi con i gas ? Per non parlare dei Serbi, dei Somali, dei Libici… Da Lubjana a Belgrado, da Tripoli ad Addis Abeba non è difficile trovare chi ancora oggi ricorda “le qualità umane” di Benito Mussolini >

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Crisi e dopo-crisi

Vittorio A.<vittorio@asti.com> wrote:

< Mercantuzzi politici gli Stati
Della Europa, or sì dotta in aritmetica,
Tutti stan pur nei Debiti affogati.
Gonfia di giorno in giorno la ipotètica

Fraudulenta cartacea Ricchezza,
Per cui l’idrope Europa alfin muor etica.
Niun, più sua firma che il suo onore apprezza;
Mercanti, e Regi, e Senatorie zucche,

Firman dei Pagherò, ch’è una bellezza.
E intanto a noi pingui ed ottuse mucche
Tutto vien munto il sangue, non che il latte,
E in iscambio ci dan le fanfalucche.

Trovato han vie più placide e più ratte
I Governi umanissimi presenti,
Per isfogar le loro voglie matte.

Nuovi balzelli non v’ha più chi inventi;
La spogliante final sentenza stampa
Un Pagherò, per cui del mille hai venti >

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“A che serve vivere, se non c’è il coraggio di lottare?” (Giuseppe Fava)