San Libero – 378

23 dicembre 2008 n. 378

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Settembre (Otto)

Il Partito Democratico non esiste più, esattamente come da un certo momento in poi non esistette più il vecchio Partito Socialista. Milano, i tranvieri e i “ghisa”, gli onesti ragionieri, i sindaci grigi e perbene, il primo maggio, le riforme, il divorzio, Strehler, “Ma mi”, Milva, lo statuto dei lavoratori: tutto questo, una volta, era stato il partito socialista. Onesto e pasticcione, vecchio quanto l’Italia,, profondamente buono. E da un momento all’altro (nel giro di alcuni anni, in realtà: ma quello in cui te ne accorgi è un momento preciso) ecco che non c’è più, ne restano caricature feroci: sfondi di cartapesta, piramidi, “nani e ballerine”. Quel momento preciso, quello che passa alla storia, è quello in cui Mario Chiesa, chino sul cesso di casa, cerca febbrilmente di affidare alla fogna le mazzette mentre alla porta tambura già, in forma di carabiniere, il Destino.

E qual è l’ultima foto, la foto storica, dei Democratici italiani? Secondo me, quella dell’assessore alla sicurezza Graziano Cioni. Nell’atto in cui telefona a Ligresti, confidenziale, subalterno – da cortigiano a granduca. Gli chiede, fra le altre cose, un favore servile: di finanziargli il libretto, l’opuscolo comunale, in cui Cioni-Rassi si gloria d’aver sbrattato Firenze dai lavavetri. Vittoria miserabile, che potrebbe valergli però la designazione a podestà scavallando – con manovrate “primarie” – un suo rivale; e dunque val bene una messa.

A Firenze, come in altri luoghi d’Italia, e nella stessa Milano di Mario Chiesa, ben altri erano certo gl’interessi, che non quella mazzetta finita al cesso o quella telefonata di sottomissione. Eppure l’uno e l’altro episodio sono i più emblematici, i più amari; i più stridenti, soprattutto, con le tradizioni di partiti già nobili e civili. Nel caso di Mario Chiesa, la “Baggina”, il Pio Albergo Trivulzio, i vecchi ricoverati dal Comune: illuminismo lombardo, socialismo umanistico, Ottocento; in quello dello sciagurato Cioni, servilismo a un potere – il siculo-milanese clan Ligresti – lontanissimo dalla città, non leopoldino o asburgico ma greve e barbaro, sultaniale; e una spietatezza feudale, da gabelloto, verso i poveri lavavetri. E questo nella città di La Pira, del David, del comandante “Potente” che “l’XI agosto MCMXLIV” – come si legge nella lapide – liberò coi partigiani Firenze, morendo nell’impresa.

Da quei fazzoletti rossi di partigiani, da quelle bottegucce sull’Arno, dalle fabbriche, dale elezioni vinte in nome di una speranza, da quelle regioni e comuni esemplarmente amministrati (erano loro, il socialismo reale!) per generazioni; da quelle povere solidarietà orgogliose che, anche negli anni del castagnaccio e delle prime lambrette, facevano che anche l’ultimo sanfredianino sapesse cos’era il Vietnam e cosa la Sicilia; da quella diversità bellissima, non padronale né borbonica ma popolana, ecco che si precipita nel ligrestume, nei pulcinella servi e avidi e nel feroce “via dal mio parabrezza!”.

E’ là che è finita quella storia. Non c’era bisogno, per capirlo, di magistrati. Torino che rincorre la Lega, Napoli che tradisce, l’Abruzzo che gela i votanti, la timida Basilicata (perfino lei!) che abbraccia i berluscones in nome delle mazzette: c’è poco da discutere, in tutto questo. Un’ecatombe di regioni e città perse per bestialità di satrapi, cedute al fascio in cambio di denaro. Le stesse conseguenze secondarie di questa catastrofe (ingigantito Berlusconi, che ne profitta per la dittatura; promossi i Di Pietro e i Grillo a capi carismatici, non meglio ma meno peggio di Veltroni; ulteriormente rincoglionita la sinistra, affidata a Luxuria e al Circo Togni) sono addirittura meno gravi della catastrofe morale (della morale, ma soprattutto del morale), che è tremenda. “Sei tedeschi sono bastati, per fare arrendere l’intero battaglione!”. Insomma: otto settembre.
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Dopo l’otto settembre non si discute più coi vecchi generali – i Graziani, i Badoglio, persino i “liberali” come Roatta. Son tutti similissimi fra loro. Non hanno più nulla da dire, salvo tradire del tutto e definitivamente o tirarsi da parte. Da loro lezioni non ne vogliamo più, di nessun tipo. Si parla invece, fraternamente e attentamente, con tutti coloro che “non mollare”, di qualunque tipo. Dal tenentino sbandato, ligio al suo Regio Esercito e al suo Ds, all’anarchico bestemmiante nel nome di Beppe Grillo; dal carabiniere fedele alle stellette e a Di Pietro alla ragazza precaria seguace di F.& Martello in una delle sue quattrodici varianti. Tutti possono fare, tutti hanno da dire qualcosa. Con tutti bisogna parlare, ciascuno di loro, per confuso che sia, comunque è meglio di tutti i generali sabaudi che hanno tradito.

Infine, secondo me, un’idea ci sarebbe. E’ quella della lotta alla mafia, il modello vincente. E’ stata fino a questo momento l’esperienza unica – parliamo dell’antimafia vera, non di quella marmorea e da fiction che si diffonde ora – in cui lotta dura e unità si siano, in alcuni momenti e alcuni luoghi, fusi insieme e abbiano per qualche tempo anche vinto. Studiatela, se volete. Studiatela voi dell’Onda, soprattutto, ora che la vostra lotta sta già cominciando a rifluire (per mancanza di lingua e di memoria; eppure era una buona lotta); Cos’è successo nel ’93, in Italia? Non ho voglia di chiacchierarne ancora: andate sulle fonti, e studiatelo. In cosa ha funzionato, e in che cosa no, la strategia di allora? Che cosa hanno concluso i nostri uomini – alcuni ci sono ancora – di quel periodo, e in che cosa hanno sbagliato? Dove si sono fermati? Da dove si può riprendere? Da dove ricominciarono – nel fascismo primo – Gramsci e Gobetti?

Queste sono le domande di ora, Andrea, Leandro, Norma, Leonardo, Federico, Cristina. Non aspettatevi la risposta, non ve la darà nessuno e men di tutti io. Ma è facile trovarla da soli, se veramente vi serve e se davvero la volete.

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I primi giorni del dopo Prodi

< Sulla facciata posteriore di Palazzo Chigi si notavano anche, appena coperti da una barriera di siepi di alloro in vaso, cassonetti stracolmi di materiale cartaceo – centinaia di faldoni, cartelline, testi di e-mail con dicitura «priorità alta, riservato», appunti di dirigenti e consiglieri politici – tutto gettato via alla rinfusa e in gran parte finito in terra. Tutto materiale prodotto dagli uffici della Presidenza del Consiglio, ultimo governo Prodi, accantonato con il cambio di esecutivo. Pescando a caso, una cartellina piena di fogli e con scritta a pennarello rosso sul frontespizio: “Ddl Nicolais (ex ministro per l’Innovazione, ndr), modernizzazione pubblica amministrazione” >

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Bavaglio

È molto più facile legare le mani ad un giornalista della carta stampata: una firma scompare più discretamente di un volto televisivo. È quello che è successo a Carlo Vulpio, contattato dal suo direttore Paolo Mieli che lo ha invitato a lasciar perdere gli articoli sui panni sporchi della procura di Salerno e le indagini bloccate nella procura di Catanzaro.
“Caso de Magistris, toghe indagate/ Illeciti per sfilargli le inchieste” – era il titolo dell’articolo di Vulpio del 3 dicembre che gli è costato l’allontanamento da questo filone d’inchiesta. Un articolo che sembrava più che altro un elenco del telefono, dove in sole 4000 battute si fanno ben 25 nomi, tra cui quelli di molti indagati eccellenti. Tanto per capirci, gente che ricopre o ha ricoperto incarichi di deputato, ministro, sottosegretaro, segretario nazionale di partito, presidente della Regione, Generale della Finanza, procuratore della Repubblica, vicepresidente del Csm, procuratore generale della Corte di Cassazione o presidente dell’Associazione Nazionale Magistrati.

E qui si arriva ad un nodo cruciale dell’informazione: in che modo vanno date le notizie quando la merda schizza fino ai piani alti sui completi gessati degl alti papaveri?
Un esempio da manuale è lo scandalo Watergate. Gli articoli di Bob Woodward e il suo collega Carl Bernstein sarebbero rimasti nei loro taccuini senza l’appoggio di Benjamin Crowninshield Bradlee, che nel suo ruolo di “executive editor” del Washington Post ha difeso il diritto di cronaca dei suoi giornalisti anche davanti agli attacchi del governo più potente del mondo.
Per far cadere Nixon dal suo trono, il Post ha dovuto tenere la schiena dritta per più di due anni e per decine di articoli, continuando a fare nomi e a pubblicare articoli scomodi. Rileggendo oggi quell’episodio la domanda è automatica: che cosa avrebbe fatto Paolo Mieli al posto di Bradlee se avesse avuto tra le mani le carte del Watergate e le soffiate dell’informatore “gola profonda”?

Chiedere alla disastrata stampa italiana di agire come un potere autonomo è probabilmente fatica sprecata. Per mantenere alta la bandiera del made in Italy ci consoliamo con il pensiero di aver inventato il “mielismo”, un genere giornalistico nato sulle pagine del “Corriere” all’inizio degli anni ’90, quando l’inossidabile Mieli provava a battere la concorrenza della televisione mescolando cronaca e gossip, generi alti e generi popolari, approfondimenti e pettegolezzi, inchieste e servizi glamour, informazione e intrattenimento. In poche parole: articoli seri e cazzate vendibili. E alla faccia di Bradlee e del Washington Post, quell’invenzione gli ha fruttato parecchio.
[garlo gubitosa]
Bookmark: /www.carlovulpio.it

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Vigili

Se Parma mena, Napoli non scherza. A Parma ti fermano e ti spaccano la faccia solo perché gli stai antipatico in quanto nero. A Napoli, ti spaccano la faccia perché sei un giornalista e fai domande “sbagliate”. Di tutti questi vigili, nessuno è stato cacciato e nessuno è finito in galera. A Parma come a Napoli, appena vedi un vigile per sì e per no chiama i carabinieri.

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Teatro

Antonio Fiumefreddo, sovrintendente del Teatro Massimo Bellini di Catania, è accusato dai dipendenti in protesta da un mese di gestire l’ente pubblico come se fosse un ente privato. Lui intanto proietta film, organizza balletti, appende gigantografie con volti di superboss. Fa la sua antimafia e non la nasconde. Anzi. La propaganda. In tribunale, però, qualcosa non torna.

Domenica: catanesi a iosa, con trombette, pacchi e pacchetti, invadono come onde e risacche i negozi di via Etnea. Alle 18 c’è il Teatro Massimo Bellini aperto. Che bello! Si fa antimafia… A destra dell’ingresso il volto di Matteo Messina Denaro, il superlatitante mafioso, il murales pop fatto da due ragazzi palermitani che volevano imitare Andy Warhol; a sinistra un’altra gigantografia. il Dance Attack organizzato da Fiumefreddo, il ballo antimafia che ricoprì lenzuolate di giornali perchè la scuola di un quartiere a rischio non vi prese parte. Nella gigantografia c’è un ballerino che riceve un’onorificenza dal presidente Napolitano.
In platea c’è una proiezione. Ovviamente antimafia. Proiettano “Io ricordo”. Bello. Parla di Falcone, Borsellino, Libero Grassi. Fiumefreddo ha appena rimesso il suo incarico nelle mani del presidente della Regione Raffaele Lombardo (di cui è avvocato): c’èaria tesa in platea fra addetti, segretarie e Tensione tra lavoratori e sovrintendente. “Quante iniziative: ma i soldi per noi?”, dicono i lavoratori. “Interessi di classe, lobby”, risponde Fiumefreddo. Così i lavoratori scioperano da un mese: saltano le prime del Massimo, le seconde, le terze…

“Un film di grande impegno civile – dichiara Fiumefreddo sul giornale di Ciancio – la sua proiezione al Bellini rientra nell’alveo di quelle numerose iniziative che abbiamo voluto riunire per sottolineare e incoraggiare la meritoria opera di chi giornalmente si batte per una Sicilia libera dal giogo mafioso”.
Poi volti pagina e becchi un bell’articolone: “Omicidio Scaringi: assolto presunto killer”. Segue noiosa storia di mafia e ammazzatine varie. Solito sangue. Soliti pentiti. Soliti agguati. Soliti clan. E infine: “Rosario Spina, del clan Cappello, pregiudicato acese, è stato individuato come autore di un omicidio grazie alle dichiarazioni di alcuni pentiti. Spina avrebbe ucciso l’affiliato Antonino Faro, che si suppone volesse passare dal clan Cappello a quelo rivale dei Santapaola”.
Ma chi è l’avvocato del pregiudicato mafioso Rosario Spina? Antonio Fiumefreddo, il sovrintendente del Teatro Bellini di Catania. Sì, proprio lui. Alla faccia dell’antimafia e della liberazione dal giogo mafioso. Come si chiamava quel film, “Io ricordo”? Appunto.
[giuseppe scatà]

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Università

A Messina, tanto per cambiare, hanno rinviato a giudizio il rettore. In margine all’inchiesta telefonate minatorie del tipo “Sono soltanto un messaggero del Magnifico e con questo concorso sta scoppiando una bomba. Questo concorso lo deve vincere Macrì”. A Catania, una vittima, o forse due, o forse dieci, o forse anche di più, per le terrificanti condizioni di inquinamento dei laboratori di Farmacia. Ma stiamo parlando ancora di Università? E’ giusto dare ancora lo status di istituto scientifico a luoghi in cui si perpetrano delitti così gravi?

Sui giornali ufficiali sia di Messina che di Catania è già uscita (sempre con grande evidenza) più d’una lettera di studenti e studentesse che dichiarano di sentirsi vittime della stampa del nord.  “Ci criminalizzano perché siamo siciliani”, “Cercano lo scoop a tutti i costi”, “Perché non parlano delle cose buone che facciamo qui?”. Lettere vittimistiche, giustificazionistiche, omertose.
Ecco: la lunga agonia delle università di Messina e Catania sta producendo effetti gravissimi non solo materialmente, ma anche in quello che dovrebbe essere il principale terreno dell’università, la formazione umana. Avremo  laureati bestie (avendo studiato con  professori raccomandati), irresponsabili, queruli, omertosi. Certamente non tutti (ci mancherebbe!) ma una parte sì, sul modello preciso della classe dirigente attuale.

Forse sarebbe il caso di dare un segnale forte, di sospendere i corsi per un anno. Oppure di avere, per un intero anno accademico, una presenza fortissima della contestazione studentesca nelle facoltà. Nell’uno e nell’altro caso, non sarebbe – e non dovrebbe essere – un anno accademico normale. Perché “normale”, qua al sud, oramai vuol dire un’altra cosa.

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Libri

Carlo Ruta, Segreto di mafia. Il delitto Spampinato e i coni d’ombra di Cosa Nostra. Edizione Rapporti, Siracusa, pagg. 128, euro 10,00
Info: 347.4862409, accadeinsicilia@tiscali.it

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Pubblicità.

Gapa, Centro di aggregazione popolare S.Cristoforo, Catania. Fiera del Risparmio Solidale in via Cordai 47. Un mercato di vestiti nuovi in cui con minime donazioni volontarie (la maggior parte di 1 euro) si comprano capi nuovi di abbigliamento di buona fattura, confezionati in Italia. Vi aspettiamo e passate parola.
Info: 348.1223253, www.associazionegapa.org

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Cuore

Nando dalla Chiesa wrote:

< Uno come me dovrebbe essere solo felice di vedere il proprio partito discutere tanto di questione morale e delle spiegazioni e dei rimedi politici alla questione morale. Eppure non è solo lì l’origine dello smottamento elettorale e del crescente scetticismo – e persino fastidio – cui si è circondata l’esperienza del Pd.
Il fatto è che le vicende giudiziarie sono viste come il coronamento o l’effetto di una generale crisi di idealità, il segno di un partito che smarrisce la spinta verso le grandi battaglie riformatrici, che ha timore della democrazia interna, che non si cura più del prestigio e della credibilità delle persone; e che parla di rinnovamento preferendo un rinnovamento fatto di fedeltà personali o di innocui esordienti. Ma un partito che fa battere il cuore, che affascina il pensiero degli elettori può anche passare indenne per alcune vicende giudiziarie, che verrebbero viste a quel punto come anomalie o incidenti di percorso.
E’ il quadro generale del primo anno e mezzo di vita del Pd che va rivisto da cima a fondo, se si vuole stabilire un vero rapporto di fiducia con l’elettorato. Il dibattito di ora ha offerto diversi spunti positivi, ma resta la sensazione che non si abbia l’esatta percezione del disamore degli elettori e dei militanti democratici verso il progetto del Pd >
Bookmarx: www.nandodallachiesa.it

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Passioni

d.m. wrote:
< Un uomo che coltiva il suo giardino come voleva Voltaire,
chi è contento che sulla terra esista la musica,
chi scopre con piacere un’etimologia,
due impiegati che in un caffè giocano in silenzio agli scacchi,
il ceramista che premedita un colore e una forma,
il tipografo che compone bene una pagina che forse non gli piace… >

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“A che serve vivere, se non c’è il coraggio di lottare?” (Giuseppe Fava)