L’articolo che segue è di una quindicina di anni fa e venne pubblicato su Società Civile, la rivista milanese di Nando dalla Chiesa. Sciascia aveva duramente attaccato i “professionisti” dell’antimafia Orlando e Borsellino con una campagna pubblicata con grande evidenza sulle prime pagine del Corriere della Sera (direttore Piero Ostellino, chiamato da una discussa proprietà a prendere, dopo un breve interregno, il posto di Alberto Cavallari, “fatto fuori” perché antipiduista). Il Coordinamento antimafia di Palermo aveva reagito con durezza all’intervento di Sciascia, e il Giornale di Sicilia (vicino a discussi imprenditori palermitani e catanesi) aveva pubblicato, per tutta risposta, nomi cognomi e indirizzi degli iscritti al Coordinamento: il che, nella Palermo di quei tempi, non era esattamente uno scherzo simpatico. La maggior parte della stampa democratica prese, nell’occasione, le parti di Sciascia; unica eccezione Giampaolo Pansa, che riaprì la polemica e spinse gran parte dell’opinione pubblica a comprendere le ragioni dell’antimafia.
Del mio articolo di allora sono abbastanza orgoglioso (anche se fu scritto a lume di candela e viene riproposto, oggi, in condizioni non molto differenti): scritto da un giornalista siciliano, pubblicato da una rivista militante milanese, a rileggerlo oggi fa capire che cosa avrebbe potuto essere l’Italia se la sinistra perbene, invece di dar seguito a noi che lottavamo – al nord come al sud, fraternamente – contro la mafia, non avesse preferito parlar d’altro.
“Il vate e il potere”, 1987
Lasciamo perdere la letteratura, e vediamo i fatti.
Borsellino. Sciascia mette sotto accusa la nomina del giudice Borsellino a Marsala perché non ha abbastanza scatti di anzianità. In provincia di Trapani, negli ultimi tempi, sono emerse le piste più interessanti sui concreti rapporti fra mafia e politica: una loggia massonica di tipo piduista e una banca coi dirigenti mafiosi. Il trapanese è un crocevia importantissimo per gli equilibri mafiosi di alto livello; forse il più importante. Catanesi e palermitani vi operano con tutti i loro mezzi, tanto militari quanto finanziari. L’ultimo “professionista dell’antimafia” che ha cercato di Indagarci è stato il giudice carlo Palermo; minacciato, bombardato e infine costretto – non innocente il governo – a cambiare praticamente mestiere. Ora tocca a Borsellino. Del quale, dice Sciascia “nel momento in cui ho scritto nulla sapevo”.
Orlando. Non si tratta di generiche polemiche sul nongoverno. In questo momento, in Sicilia, il gioco politico è incontestabilemente nelle mani dell’onorevole Salvo Lima. Ha vinto le elezioni, sfrutta le fortune di Andreotti, è fortissimo nel partito. Adesso, nel momento in cui il Pci siciliano è allo sbando, scavalca tutti e propone alla Dc un’apertura ai comunisti. Il nome di Lima, come Sciascia sa, ricorre qualche decina di volte nei verbali dell’antimafia; adesso è quello del nuovo candidato alla guida del “rinnovamento” cattolico. Unico ingranaggio incompatibile, in questo meccanismo, è il sindaco Orlando: isolato, sotto tiro, scomodo per tutti, è nondimeno il segno di qualche cosa; bisogna passare su di lui prima di dar corso ufficiale alla restaurazione. E Sciascia individua in Orlando, qui e ora, il politico da contrastare. È suo diritto, naturalmente; e anche di Lima, del resto; ognuno fa politica come può. Che “Sciascia non fa politica, d’altra parte, è un mito da sfatare. Adesso, per esempio, Sciascia fa sapere di avere il sostegno di quei sindacalisti palermitani che da tempo cercano di opporre all’incontrollabile” (e indipendente) coordinamento antimafia un loro più malleabile comitato concordato fra le forze politiche ufficiali.
Processi. I processi alla mafia andranno, probabilmente, allo sfascio; non per una qualche metafisica “mostruosità giuridica” ma perché, più semplicemente, si sarà infine riusciti a impedirne il regolare svolgimento. A Messina, fra imputati, legali e testimoni, i morti ammazzati sono già mezza dozzina; a Palermo si è bloccato il processo per ottenere la lettura in aula di tutti gli atti: ma una volta ottenutala… gli atti sono stati letti in mezzo a un’aula deserta. Garantismo? Furberia da piccola pretura? Mah. D’altronde, sono tattiche difensive giustificabili, probabilmente, sul piano del rapporto professionale fra l’avvocato e il cliente, che paga e vuol essere ben servito; soltanto, non ci sembra il caso di proporle come modelli di civismo e democrazia.
Democrazia. Per quanto strano, qualche po’ di questa merce, in questi anni feroci, è attivato perfino in Sicilia. Gli studenti che hanno fatto i cortei (ma: “i ragazzi bisogna lasciarli a scuola” ammonisce Sciascia) hanno imparato, perlomeno, che la cosa pubblica attiene a ciascuno di noi; qualche professionista ha pur rischiato la pelle per svolgere onestamente la sua professione; qualche giornalista ha pur stampato per quattr’anni a duecentomila al mese per poter scrivere senza censure; una donna qualunque è pur andata, in feroce solitudine, al tribunale per denunciare – peraltro invano – gli assassini di suo marito; duecento cittadini comuni – insultati da Sciascia, guardati con sufficienza dalla sinistra perbene, denunciati alla mafia dal Giornale di Sicilia – hanno pur trovato il coraggio, vivendo a Palermo, di essere il Coordinamento Antimafia. Questa è la democrazia, cari amici milanesi, una democrazia per cui si può anche morire in Sicilia, come in Polonia o in Cile. Perché in Sicilia, purtroppo, oggi come oggi c’è ben poco da garantire; la Costituzione, qui, non ha mai avuto vigore se non nei discorsi ufficiali. Unico potere reale: i Rendo e i Lima. Unica reale opposizione: i movimenti antimafiosi.
Certo, è una democrazia, la nostra, che Sciascia non può comprendere. “I ragazzi a scuola!”. Certo: e i preti a dir messa, e i sindaci chiusi in municipio, e i cittadini tranquilli, e le donne a casa; ciascuno al proprio posto, nella migliore delle Sicilie possibili. E i giudici? I giudici a farsi i loro processi in santa pace, lontani da ogni curiosità indiscreta: “non resta che applicare il pieno e intero segreto istruttorio. La rescissione di ogni legame, a parte le eventuali conferenze stampa fra giudici e giornalisti… “: il regime, insomma, nel nome delle garanzie; e al più con qualche mafioso “all’antica”, alla don Mariano Arena, raccontato in pensose pagine al pubblico italiano.
Non c’è una lapide, in Sicilia, non una piccolissima piazza che ricordi, tanto per dirne una, uno scrittore come Giuseppe Fava; anche lui siciliano come Sciascia, ma in ben diverso rapporto col potere mafioso; ucciso, e dimenticato. Per Sciascia, il potere s’è mosso, e con molto senso della tempestività: fra le molte istituzioni della Regione siciliana da ora ci sarà anche una Fondazione Sciascia, inaugurata in pompa magna dai rispettabili esponenti del buongoverno siciliano.
Sarebbe interessante studiare come mai tanta parte della letteratura italiana finisca, prima o poi, in feluca; e come mai il dannunzianesimo – il giudizio apodittico, la superficialità nel dar rapido conto di ciò su cui altri travaglia la vita, la facilità a dar dell’asino o del criptocomunista al diversamente pensante – abbia ancor tanto corso tra l’ufficialità intellettuale del Paese, e come mai soprattutto i problemi più seri da noi finiscano regolarmente in letteratura da terza pagina, in intrattenimento televisivo, in “spettacolo” culturale. Perché insomma in Italia, prima o poi, le questioni controverse finiscano sul tavolo del Vate Nazionale di turno, ex garibaldino o ex futurista o ex illuminista che sia.
Una cosa soprattutto ha destato scandalo nel comunicato del Coordinamento antimafia di Palermo (quello “ingenuo”, intendiamo, quello da cui era così “facile” dissociarsi), il fatto che fosse stato redatto da due studenti e un commerciante: gente ordinaria, ohibò!, certo strumentalizzata, ma da compatire. A me va benissimo che a prendere la parola, oltre ai Grandi Intellettuali di turno, siano anche gli studenti e i bottegai; specialmente quando rischiano ogni giorno la pelle in una città tradita. Mi piacerebbe se la sinistra civile su questa e su altre questioni desse loro, umilmente, qualche po’ di attenzione.
Cinzia Cardillo wrote:
<A proposito della zingarella e delle brillanti operazioni di polizia: non credo che siano molti gli italiani che marciano contro gli zingari. Dove la vedi tutta questa cattiveria in Italia? Io penso che gli italiani siano molto più docili di tutti gli altri europei e forse tutti i nostri problemi derivano dal fatto che facciamo lavorare molto più il cuore del cervello, ed è meglio così.meglio il disordine e tante, troppe parole, piuttosto che il freddo calcolo delle società perfette, pulite e raziocinanti. ma sì! Facciamoli divertire i fascisti razzisti, tanto, se non scrivono sui muri… cosa gli resta da fare?>
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Cara Cinzia, io non ho paura di Hitler e Goering, ho paura del tedesco perbene, quello tutto birra, lavoro e volkswagen. Tedeschi del ’36, dico. Gente che non bruciava gli ebrei ma che “gli ebrei comandano troppo”. Non avrebbero mai, non che spinto in una camera a gas, ma schiaffeggiato Chaim o Mariele. Ma non c’era bisogno che lo facessero loro. Bastava che lo lasciassero fare. Bastava che volessero non saperlo.
Cinzia, io so molto bene cosa vuol vire avere freddo. Tre anni fa ho preso la polmonite dormendo alla stazione. So che cosa succede quando non mangi per un giorno e mezzo. Ho una pena lancinante per tutti coloro che hanno freddo in questo preciso momento. Capisco, fisiologicamente, che cosa provano, che cosa hanno provato quella bambina e quella madre in quegli ultimi momenti.
Italiani brava gente? Una volta: adesso non più. Forse siamo più “docili” degli altri, ma non abbiamo più cuore. Penso al povero alpino di cinquanta, sessant’anni fa: ignorante, mandato da un governo bestia a combattere in Russia con quattro bei discorsi e tante bandiere, fortunato se sarebbe riuscito un giorno a tornare al suo paese; eppure un italiano così divideva il pezzo di pane con i “nemici”, soccorreva chi poteva soccorrere, italiano o “extracomunitario” che fosse. Sono passati millenni, da quegli italiani lì.